Follie di Brooklyn è stato il mio primo approccio all’opera narrativa di Paul Auster, scrittore americano molto amato e che con il suo ultimo libro 4321 ha conquistato un posto speciale nel cuore di molti, facendo parlare di sé.
Fin dalle prime pagine anche io sono stato conquistato dalla prosa di Auster, una scrittura scorrevole e densa allo stesso tempo, capace di coinvolgere il lettore e di guidarlo nelle sue acrobazie. Mi è piaciuto fin da subito il tono della narrazione, ironico, dolce-amaro, ricco di arguzia e intelligenza.

Il romanzo ha per protagonista Nathan Glass, un assicuratore ormai in pensione, che dopo una brutta malattia, dalla quale si è ripreso, e un matrimonio naufragato, decide di trasferirsi a Brooklyn, in un tranquillo quartiere residenziale, per avere un luogo in cui finire la sua esistenza con serenità. Nathan, nelle prime pagine del libro, ricorda la sua vita, riassume gli eventi più importanti che lo hanno coinvolto, parla della sua famiglia e dei rapporti che ha con la figlia, la ex moglie e i nipoti; per poi passare a narrare la sua nuova vita a Brooklyn. Quel luogo, che nei piani di Nathan doveva essere solamente un buon posto per morire, diventa un nuovo inizio, il principio di molte avventure.
A Brooklyn Nathan incontra inaspettatamente il nipote Tom, figlio di sua sorella, che da studente aveva di fronte a sé un brillante futuro accademico, ma che sembra aver perso la sua strada, infatti lavora in una libreria gestita da Harry Brightman, suo amico. Nathan aveva perso i contatti con il nipote e all’inizio lo stupisce vederlo come commesso in una libreria, sembra che Tom si sia arreso, non avendo terminato gli studi e avendo abbandonato i suoi progetti per il futuro. Tom, infatti, studiava letteratura all’università e stava per concludere il dottorato di ricerca che lo avrebbe quasi certamente portato a diventare professore. Nathan e il nipote iniziano a vedersi con costanza, tutti i giorni pranzano insieme e si raccontano tutto ciò che è capitato alle loro vite da quando si sono persi di vista. I due si danno supporto a vicenda, costruiscono un bel rapporto durante la narrazione che porterà benefici ad entrambi: Nathan e Tom recuperano la loro vitalità, la loro voglia di vivere e di vedere cosa la vita ha in serbo per loro.

La trama del romanzo ha continui risvolti inaspettati, ad ogni capitolo la situazione cambia, arrivano nuovi personaggi e si aprono nuovi scenari. Ho apprezzato molto questo aspetto del romanzo che ha tenuto viva la mia attenzione e mi ha fatto appassionare alle vicende dei due personaggi principali, i quali anche tra mille difficoltà hanno saputo reinventarsi e iniziare una nuova vita. Dire di più sulla trama del libro e anticipare alcune delle avventure di Nathan e Tom vorrebbe dire togliere il piacere della lettura, il piacere di vedere come la narrazione evolve attraverso le pagine, quindi evito di dire altro e vi invito, se leggerete il libro, a farvi piacevolmente coinvolgere dagli eventi.
Questo continuo sviluppo della trama suggerisce che anche la vita può stupirci con eventi imprevedibili che assumono un risvolto positivo; non è mai detta l’ultima parola e la realtà può superare la fantasia: Nathan, un uomo che sente che la vita ha ancora poco da dargli, viene coinvolto in qualcosa di inaspettato che gli dà nuova linfa. Mi ha colpito molto questo messaggio positivo che il libro vuole dare, la vitalità di queste pagine:
Quando hai vissuto a lungo come me tendi a pensare di aver ascoltato di tutto, di non poterti più stupire di nulla. Ti viene pure voglia di vantarti della tua esperienza del mondo e poi, ogni tanto, ti ritrovi di fronte a qualcosa che ti catapulta fuori dal bozzolo di goduta superiorità, ricordandoti da capo che della vita non capisci un bel niente.
Ho trovato molto interessanti e stimolanti anche i riferimenti che, all’interno del romanzo, vengono fatti alla letteratura americana: Tom è un esperto in questo campo e discutendo con lo zio di alcuni autori fondamentali per la cultura statunitense, come Whitman, Poe, Melville e Dickinson, testimonia tutta la sua passione. Tom ama la letteratura e lo si capisce dalle sue parole che vogliono spronare lo zio a non accantonare il suo progetto di scrivere Il libro della follia umana; Nathan dice di essere ormai troppo vecchio per diventare uno scrittore, ma il nipote dissente, dicendo che tra i più grandi scrittori si possono trovare le più diverse tipologie di uomini, giovani e vecchi, ideali e corrotti, sedentari e viaggiatori, ma tutti colpiti dalla “malattia” della scrittura:
–Joyce ha scritto tre romanzi, – disse Tom. – Balzac novanta. Che differenza fa adesso per noi?
– Per me nessuna, – risposi.
– Kafka ha scritto il suo primo racconto in una notte. Stendhal ha scritto la Certosa di Parma in quarantanove giorni. Melville ha scritto Moby Dick in sedici mesi. Flaubert è rimasto cinque anni su Madame Bovary. Musil ha lavorato diciotto anni all’Uomo senza qualità, ed è morto prima di riuscire a finirlo. Ci importa qualche cosa di tutto questo ora?
La domanda sembrava non chiedere risposta.
– Milton era cieco. Cervantes aveva un solo braccio. Christopher Marlowe fu ucciso a coltellate in una rissa da bettola prima di compiere trent’anni. Sembra che il coltello gli abbia trapassato un occhio. Cosa dovremmo pensarne noi altri?
– Non lo so, Tom. Dimmelo tu.
– Niente. Un bel cavolo di niente.
– Penso di essere d’accordo con te.
– Thomas Wentworth Higginson «corresse» le poesie di Emily Dickinson. Un trombone ignorante che definiva Foglie d’erba un libro immorale osò toccare l’opera della divina Emily. E il povero Poe, che morì pazzo e alcolizzato in un buco di Baltimora, ebbe la sventura di scegliere come curatore postumo della sua opera Rufus Grisworld. Senza sapere che Grisworld lo disprezzava, che quella sottospecie di amico e paladino avrebbe passato anni a tentare di distruggere la sua reputazione.
Molto bello è anche l’aneddoto su Kafka e la storia della bambola, aneddoto che Tom racconta allo zio per testimoniare la grandezza dello scrittore: Kafka durante una passeggiata al parco incontra una bambina in lacrime perché ha perso la sua bambola, lo scrittore allora si inventa che la bambola gli aveva mandato una lettera in cui diceva che era andata a fare un giro per il mondo; da quel momento tutti i giorni, per tre settimane, porta una lettera alla bambina al parco per farle sentire di meno la mancanza della bambola:
Ma a questo punto naturalmente la bambina non sente più mancanza della bambola. Kafka le ha dato in cambio qualcos’altro, e alla fine delle tre settimane le lettere l’hanno guarita dal suo cruccio. Lei ha la storia, e quando una persona è abbastanza fortunata da vivere all’interno di una storia, da vivere in un mondo immaginario, i dolori di questo mondo svaniscono. Perché fino a quando la storia continua, la realtà non esiste più.

Follie di Brooklyn è un libro che mi è davvero piaciuto, è bello leggere romanzi che hanno un messaggio costruttivo e che insegnano che la realtà può avere risvolti positivi e non soltanto negativi. Inoltre, secondo me, Auster, attraverso le pagine del romanzo dedicate alla letteratura, ha saputo rappresentare al meglio il mondo dei lettori, ha descritto la sua grande passione per gli autori del passato che si sono distinti per la loro eccezionalità multiforme, celebrando le grandi differenze che intercorrono tra uomini e donne che hanno creato arte attraverso la scrittura.
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Alessandro Audisio
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