Giovedì 14 febbraio 2019
In occasione della mostra allestita al Palazzo reale di Genova, dedicata al grande scultore Anton Maria Maragliano, decidiamo di recarci nel capoluogo ligure non solo per ammirare le maestose macchine da processione dello scultore genovese, ma anche per visitare alcuni dei luoghi più belli della città, ricchi di arte, storia e cultura.
La sveglia, come tutte le volte che la giornata si stende lunga di fronte a noi per vedere più cose possibili, suona alle sei di mattina e il treno per Milano centrale ci attende alle 7:04.
Una volta arrivati a Milano saliamo sul treno diretto a Genova Piazza Principe che ci mette un’ora e mezza per giungere a destinazione, attraversando nell’ultima parte del tragitto numerose gallerie attraverso gli Appennini e passando in un punto dal quale si intravede il ponte Morandi, tristemente noto alla cronaca per la recente tragedia che ha colpito la città.

Dopo essere arrivati in stazione ed esserci rifocillati con cappuccino e brioches ci dirigiamo alla prima tappa della nostra visita, Palazzo Doria, anche conosciuto come Villa del Principe, la dimora del più importante membro della dinastia, ovvero Andrea Doria, che la fece costruire nel 1529, scegliendola come luogo di riposo in seguito alle sue lunghe imprese e come luogo di residenza per i suoi successori. La villa, un tempo situata al di fuori dal centro della città, in una posizione di rara bellezza che affaccia direttamente sul Golfo della repubblica marinara, oggi si trova immersa nel traffico della grande città, avvolta da una parte da una trafficata strada cittadina e dall’altra parte dall’autostrada. Anche la vista che si apre sul mare è inficiata dalla presenza del porto e dalle sue grandi gru. È un peccato che non si sia preservata la bellezza di questo luogo dove sorge la villa, un tempo suburbana, simbolo della grandezza di una gloriosa dinastia rinascimentale. Palazzo Doria ospitò anche l’imperatore Carlo V nelle sue sale, il quale, grazie all’abile politica di Andrea, concesse l’indipendenza dall’impero alla città di Genova, episodio che ricorda la potenza dei Doria e lo splendore che doveva caratterizzare il palazzo.

Una volta fatto il biglietto per visitare le sale del palazzo e dopo aver salito una rampa di scale ci siamo ritrovati nella Loggia degli Eroi, le cui arcate erano in passato aperte sul giardino sottostante e sul mare, ma che ora, per conservare gli affreschi presenti, è protetta da alcuni vetri schermati che non lasciano filtrare i raggi del sole che batte tutto il giorno. Gli affreschi che decorano le pareti sono di Perin del Vaga (giunto in città nel 1528, in fuga da Roma dopo il disastroso rovescio del sacco) e raffigurano dodici guerrieri in abiti di antichi romani, tutti recanti lo scudo decorato con lo stemma della famiglia Doria, l’aquila nera su fondo oro e argento. I dipinti vogliono esaltare la dinastia Doria, una famiglia di guerrieri valorosi che hanno portato gloria a Genova, tra cui spicca la figura del capostipite Andrea.
Le cinque volte della loggia raffigurano, invece, altrettanti episodi tratti dalla storia romana che rappresentano il sacrificio del singolo per la patria, scene che si inseriscono sempre nel progetto di esaltazione della casata.
Dalla loggia si può uscire su un ampio terrazzo che si estende lungo tutta la facciata del palazzo da cui si può vedere il giardino sottostante, dominato dalla fontana di Nettuno, la città di Genova e il mare (spettacolo che sicuramente un tempo doveva essere più suggestivo senza l’intermezzo dell’autostrada, della statale e del porto).
Alla sinistra della Loggia degli Eroi si aprono le stanze private della principessa, tra le quali risalta la sala di Nettuno in cui sono conservati gli arazzi che raffigurano le vicende della battaglia di Lepanto, avvenuta nel 1571, che vide la vittoria delle potenze cristiane contro il nemico musulmano. A guidare le navi genovesi c’era Gianandrea Doria, pronipote di Andrea, di cui i panni ne celebrano l’impresa, descrivendo i vari passaggi della battaglia.

Una volta tornati alla Loggia si accede alla parte destra dell’edificio dove si trovano gli appartamenti del principe e le sale di rappresentanza. In questa ala del palazzo si trova la sala della Caduta dei Giganti che prende il nome dal monumentale affresco di Perin del Vaga che ricopre il soffitto realizzato tra il 1530 e il 1536 circa. Proprio in questo luogo, dove venivano ricevute le più importanti personalità, che svolgeva la funzione di salone di rappresentanza e in cui venivano date feste e balli, fu collocato il trono dell’imperatore Carlo V quando soggiornò nel palazzo. Sulla parte di fondo è presente un sontuoso camino, realizzato su disegno di Perin del Vaga, con al centro raffigurato Prometeo che dona il fuoco agli uomini, mentre le altre pareti sono ricoperte da due arazzi che rappresentano alcuni episodi mitici legati alla figura di Alessandro Magno.

La grandiosità dell’affresco di Perin del Vaga si confà all’uso a cui era adibita la sala, che era il cuore di palazzo Doria, e la scena che viene raffigurata, ovvero Giove che sconfigge i Giganti ribelli, può essere accostata alla potenza di Carlo V, trionfatore sui suoi nemici. Il grande affresco si rifà a modelli all’epoca di spiccata importanza e innovazione, tra i quali non si può non riconoscere la scena di medesimo soggetto affrescata da Giulio Romano a Mantova a Palazzo Tè. Anche altri sono i modelli figurativi ai quali l’artista guarda, ad esempio Michelangelo e Raffaello.
Gli altri ambienti della villa custodiscono diversi ritratti dei membri della famiglia Doria, alcune sculture di Filippo Parodi, uno dei più importanti scultori genovesi del Settecento, e sui soffitti, dove si sono conservate, scene mitologiche di vario tipo.
Una volta usciti dal palazzo ci addentriamo ancora un po’ nella città e ci fermiamo a magiare qualcosa prima di recarci a Palazzo Reale e cosa mangiare in Liguria se non una buona focaccia?

Dopo il pranzo entriamo, per curiosità, a vedere l’università di Genova, un luogo suggestivo, un grande palazzo storico al cui interno si trova un ampio cortile porticato a due livelli tra cui si aggiravano alcuni studenti alle prese con esami e lezioni; e in seguito ci dirigiamo verso Palazzo Reale e la mostra su Maragliano.
La mostra sullo scultore genovese Anton Maria Maragliano (Genova, 1664 – 1739) in scena al teatro del Falcone presso il Palazzo Reale di Genova fino al prossimo 10 marzo (quindi ancora per poco tempo) è curata da Daniele Sanguineti e rappresenta una tappa fondamentale per la conoscenza di questo straordinario artista del Barocco genovese. Uno scultore la cui fama è già registrata nel 1769 da Carlo Giuseppe Ratti nella biografia che egli dedica all’artista nelle Vite dei pittori, scultori e architetti genovesi. L’esposizione raccoglie circa settanta opere tra sculture, pitture, disegni e documenti atti a ricostruire (e non è cosa così scontata, ma anzi motivo di pregio), il contesto e l’epoca entro la quale operò Maragliano che, in tutta la Liguria, ma finanche nei pressi di Alessandria, manderà tra le più belle e suggestive sculture che il Settecento abbia mai visto. La mostra si articola in sezioni tematiche ma anche cronologiche e questo costituisce uno dei punti forti dell’esposizione. Immerse in una location davvero suggestiva, ma davvero troppo fredda (raramente ci è capitato di imbatterci in un clima così rigido per salvaguardare il benessere delle opere a scapito della salute dei visitatori), le sculture di Maragliano dialogano all’aprirsi dell’esposizione con quelle degli scultori immediatamente a lui precedenti, sulla scorta di un linguaggio ancora tardo manierista, come quello di Giovanni Battista Bissoni, o di Marco Antonio Poggio (che in mostra si può ammirare con la Decollazione di San Giovanni Battista) nonché del suo antico maestro Giovanni Andrea Torre; altri artisti che hanno influenzato il linguaggio di Maragliano sono Filippo Parodi e Domenico Piola. In un percorso che segue la peculiare fisionomia architettonica del luogo, dopo una prima sezione introduttiva ci si trova davanti alle opere giovanili dell’artista tra cui spicca il meraviglioso San Michele Arcangelo (1694) proveniente dall’omonimo oratorio di Celle Ligure, affiancato alla tela di omonimo soggetto di Gregorio De Ferrari e ai disegni della bottega dei Piola. Poco oltre come un’epifania si può ammirare lo stupefacente quanto naturalistico San Sebastiano (1700) dell’Oratorio della Trinità di Rapallo. Pochi passi più in là, si apre invece una sezione dedicata alla serie di Crocifissi lignei realizzati da Maragliano lungo tutto il corso della sua carriera, ancora una volta accostati a esempi di scultori immediatamente precedenti e immediatamente successivi (e che tuttavia non reggono il confronto con quelli autografi); vale la pena ricordare su tutti il Crocifisso (1720-1725 circa) proveniente dalla chiesa di Santa Maria in via lata a Genova.

Impressionante poi la sezione con le macchine lignee processionali per le più importanti confraternite della Liguria, di questa sezione (su due sale) vanno citate almeno le composizioni con il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria (1735-36 circa, Sestri Levanti, chiesa di San Pietro in Vincoli), quella con Sant’Antonio Abate contempla la morte di San Paolo Eremita (1709-10, Mele, Oratorio di Sant’Antonio Abate), quella de l’Incoronazione di Spine (1690-1695, Savona, chiesa di Santa Lucia) e quella con la Deposizione dalla Croce (1720-1725, Genova, chiesa di Nostra Signora della Visitazione). Vincente l’idea di esporre (nella prima parte della mostra) accanto alle sculture, i documenti relativi alla commissione delle opere; altrettanto intelligente la scelta di esporre accanto alle opere i disegni preparatori a cui questi si riferiscono: così facendo si è andata a chiarire la pratica di lavoro della bottega di Maragliano. Interessante anche la presenza in mostra di alcuni bozzetti preparatori come quello in terracotta e cera rossa di Agostino Storace (uno degli allievi di Maragliano), rappresentante Sant’Ambrogio in adorazione della Santissima Trinità. L’ultima sezione della mostra racconta invece l’eredità della lezione maraglianesca con la presenza di opere degli allievi dello scultore genovese: il già citato Agostino Storace e Giovanni Maragliano (rispettivamente nipote e figlio dello scultore), le cui opere arriveranno fino in Spagna. Una mostra con un buon livello di ricerca scientifica e una buona idea museografica e museologica (pannelli di sala sintetici ma chiari, didascalie puntuali, luci quasi perfette, un catalogo di tutto rispetto che dà conto delle ricerche svolte sull’artista) volta alla riscoperta di uno tra i più grandi e straordinari scultori e per estensione artisti del panorama genovese e in generale italiano del Settecento.

Una volta viste le impressionati sculture di Maragliano ci dirigiamo verso le sale di Palazzo Reale, che nacque come residenza della famiglia nobile dei Balbi che lo fecero costruire tra 1643 e 1650, che in seguito fu acquistato dalla famiglia Durazzo nel 1679 e che infine divenne palazzo reale della famiglia Savoia nel 1824 con Vittorio Emanuele I. Il palazzo reca traccia degli interventi di tutte queste tre nobili famiglie che negli anni lo abbellirono e lo decorarono, secondo le diverse esigenze, dando grande importanza agli ambienti di rappresentanza. Di grande sfarzo e impatto è la galleria degli specchi realizzata sul modello di quella di Versailles sotto la proprietà dei Durazzo, affrescata da Domenico Parodi e contenente alcune sculture di Filippo Parodi, padre del pittore, oltre che la bellissima statua raffigurante Il ratto di Proserpina, opera di Francesco Maria Schiaffino.
Altro ambiente d’effetto è la sala del trono di gusto ottocentesco, realizzata in seguito all’acquisizione da parte della dinastia sabauda.

Lasciati gli ambienti di Palazzo Reale procediamo, attraverso le lunghe e strette vie Genovesi, verso la cattedrale dedicata a San Lorenzo, ma prima ci imbattiamo nella chiesa della Santissima Annunziata del Vastato che stupisce per la ricchezza della decorazione pittorica che si estende sulle volte e nella cupola, opera del pittore Andrea Ansaldo, e per la presenza di una composizione scultorea di Maragliano e dei suoi collaboratori che raffigura San Pasquale Baylon in adorazione del Santissimo Sacramento. Prima di uscire dalla chiesa notiamo che la stupefacente Ultima Cena di Giulio Cesare Procaccini, che pochi mesi fa è stata al centro di una mostra alle Gallerie d’Italia a Milano, è stata restituita al luogo per cui è nata.

Una volta usciti dalle strette strade del centro si apre di fronte a noi la vista della Cattedrale che con la sua imponente facciata domina la piazza. All’interno la chiesa mostra le linee geometriche e austere del romanico con una bicromia dei marmi sul bianco e il nero. Gli stili si sovrappongono gli uni agli altri così come si sono succeduti i secoli ed è possibile, infatti, notare alcuni inserti del XVI e del XVII secolo, che dialogano con la parte più antica del luogo.

La raffinata quanto maestosa chiesa del Gesù è la nostra ultima tappa programmata, al suo interno sono custodite opere d’arte di grande prestigio come l’Assunta di Guido Reni, La circoncisione e Sant’Ignazio guarisce un’ossessa del grande Peter Paul Rubens e La crocifissione di Simon Vouet. Una menzione a parte merita la pala raffigurante la Vergine Immacolata con il Bambino tra le braccia di San Stanislao Kotska di Andrea Pozzo, l’artista trentino che più di tutti ha saputo influenzare i pittori del Settecento lombardo e che, dopo la parentesi Genovese, continuerà la sua carriera nella città eterna: Roma. Le pale d’altare dalle grandi dimensioni stupiscono lo spettatore, peccato che a quel momento della giornata la luce del sole, seppure con un bell’effetto, pervadesse l’atmosfera creando riflessi sulle opere che quindi potevano essere ammirate solo di sbieco e con qualche difficoltà.

La piazza De Ferrari, antistante alla chiesa del Gesù e dominata al centro da un grande fontana, ha un effetto molto scenografico e costituisce uno dei punti più centrali della città, da cui si diramano le vie principali di Genova.

Sulla via del ritorno verso la stazione ci imbattiamo nella piccola chiesa di San Matteo, nella quale è custodita un’altra opera di Maragliano, una Deposizione di Cristo, e nella quale è sepolto Andrea Doria, all’insegna del quale si era aperta la nostra giornata.
Così si conclude la nostra giornata trascorsa alla ricerca di nuove storie, di arte e cultura, nonché all’insegna della scoperta di un grande scultore genovese che si rifiutava di far parte di una delle cosiddette arti minori perché la sua arte può essere tutto tranne che minore.
Un po’ stanchi ma con gli occhi appagati dalle tante bellezze vedute saliamo sul treno del ritorno che ci riporta a casa.
Alessandro Audisio e Marco Audisio
Tutte le immagini, scattate per l’occasione, sono state realizzate dagli autori di questo articolo, ad eccezione della foto della macchina del martirio di Santa Caterina di Maragliano.
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