American Animals, thriller del 2018 diretto da Bart Layton, è un film a cui non avrei pensato di dedicare molta attenzione. Questo in parte per mio gusto personale, visto che non amo il genere thriller, e in parte perché le scene iniziali non avevano catturato da subito il mio interesse. Ho infatti recuperato questa pellicola su consiglio del mio professore di Bibliologia e non mi ero informata molto sulla trama, anzi, per nulla. Certo, avrei potuto immaginare che in qualche modo il tema trattato si riallacciasse ai libri, e in particolare ai manoscritti antichi, ma, come poi durante la lezione il mio docente ha sottolineato, è buffo e in qualche modo paradossale che l’accostarsi a questi tesori di carta generi, in American Animals, il violento desiderio di rubarli. L’ironia si accresce poi se pensiamo anche che ad avere l’idea di progettare un furto in grande stile è un giovane studente di arte e letteratura, che dovrebbe quindi avere ben presente non solo l’importanza di conservare con le giuste precauzioni e cure le opere d’arte, ma anche il grande valore educativo che queste ultime, patrimonio culturale della società, rivestono.
Grande valore, sì, per la precisione di 12 milioni di dollari. Cominciamo a calarci nella logica del film.


Spencer Reinhard è il nostro studente d’arte, riflessivo, silenzioso, annoiato dall’andazzo ripetitivo della sua vita. È il cortocircuito da cui parte la scintilla necessaria a dare il via agli eventi, il nostro punto di svolta. Spencer è alla ricerca di qualcosa che cambi per sempre la sua vita, che sconvolga la sua esistenza e lo faccia accedere in qualche modo al nocciolo della verità. Ecco, come ogni artista che si rispetti, il nostro protagonista ricerca quel di più che gli faccia scampare la condanna di comune mortale. Ma, come ci ricorda The Boss, Bruce Springsteen, nella sua grintosissima Dancing in the Dark, la scintilla è propedeutica all’accensione di un fuoco. Il nostro fuoco è Warren Lipka, interpretato da un Evan Peters che, per certi versi, non si discosta molto dal Tate di American Horror Story. Warren Lipka è, passatemi il cambio di lingua, un weirdo, un outcast. Arrivato al college (e a breve diremo anche che college) grazie a una borsa di studio sportiva, si rifiuta però di presentarsi agli allenamenti e passa invece le sue giornate a partorire contorte elucubrazioni mentali che Spencer ascolta. Spencer però non è l’unico amico di Warren ed è anzi proprio grazie alle sue più o meno improbabili e discontinue amicizie che da due i partecipanti alla grande rapina diventano quattro. Quattro giovani ragazzi, inesperti ma svegli e attenti nella progettazione di ogni aspetto, dalla logistica all’entrata sul mercato di contrabbando, si imbarcano allora nel furto della preziosa edizione di The Birds of America di James Audubon, conservato, in perfette condizioni insieme ad altre altrettanto rare opere dello stesso autore, alla Transylvania University di Lexington, Kentucky.

È proprio durante una visita guidata al reparto riservato della biblioteca di ateneo che Spencer si incanta davanti la teca sotto cui è conservato The Birds of America. Il tempo sembra fermarsi per il ragazzo, che rimane indietro dal gruppo di compagni e si china contro il vetro. I movimenti di camera suggeriscono questo colpo di fulmine ruotando intorno al nostro protagonista ma, dopo che la bibliotecaria lo richiama alla realtà, Spencer si allontana dalla preziosa opera esposta con più di una semplice emozione di ammirazione e stupore. La pagina su cui è aperto il libro di Audubon è quella in cui è raffigurato il disegno di un volatile, forse un fenicottero, dai colori accesi e vivaci. Per quanto la posizione dell’animale possa sembrare inquietante e poco realistica, noi stessi spettatori ne veniamo stregati, avvertiamo quasi un significato mistico dietro quella illustrazione.
Stacco, Spencer a dialogo con Warren. È qui che un po’ per gioco e un po’ paurosamente sul serio Spencer instilla l’idea di rubare il bellissimo volume. Certo, scherza, ovviamente. Eppure Warren lo prende quasi subito sul serio e piano piano Spencer realizza come inconsciamente fosse stato serio lui stesso, fin dall’inizio. Ecco la svolta che cercava, l’evento che avrebbe potuto finalmente rompere con il corso normale della sua esistenza e li avrebbe costretti, volenti o nolenti, a cambiare per sempre i loro piani di vita.


Fino a qui mi sono limitata a raccontare brevemente in modo non particolareggiato la trama di American Animals. Questo articolo, del resto, non vuole contenere spoiler. C’è però un espediente narrativo adottato dal film su cui vorrei soffermarmi.
Fin dall’inizio della pellicola veniamo catapultati in una sovrapposizione di piani temporali. Vediamo i quattro ragazzi organizzatori del furto da adulti, in quella che sembra essere una vita comune e tranquilla. I fotogrammi con le testimonianze dei protagonisti da adulti sono sapientemente mischiati a quelli dove invece i quattro ragazzi appaiono nella loro giovinezza al college, mentre programmano il colpo del secolo. Il montaggio è molto utile a farci capire come la ricostruzione degli eventi sia confusa nelle menti degli adulti, Spencer a volte confonde chi, fra lui e Warren, abbia detto una certa battuta. Cambia di conseguenza il fotogramma che noi vediamo/ rivediamo sullo schermo, con i ragazzi che prima agiscono secondo la versione di Spencer quarantenne e poi, viceversa, secondo ciò che si ricorda Warren quarantenne. Il gioco di scambi, interruzioni e sovrapposizione rende così più movimentato il racconto e aiuta anche a farci conoscere in poco tempo e senza eccessivo sforzo didascalico anche il carattere forse più complesso di Warren: Spencer e gli altri ragazzi infatti lo descrivono come se fossero voci fuori campo e queste testimonianze si alternano con le battute di Warren stesso.

American Animals è un film avvincente, che difende bene il suo essere thriller. Non vi fate ingannare dalla trama che vi ho descritto, però: non stiamo parlando di una pellicola che tratti in maniera specialistica aspetti della conservazione o fruibilità di manoscritti e libri antichi. Semplicemente le pagine manoscritte una volta raccolte dentro una legatura, diventano oggetti libri che qui, al posto di diamanti o soldi, sono gli elementi privilegiati su cui si posa l’attenzione dei personaggi. L’oggetto libro (antico) è qui l’espediente per uscire dall’ordinario, per stravolgere la quotidianità, ma non nel senso più comune di avere una ispirazione, di leggere un racconto che ci entri così tanto nell’animo da spingerci a cambiare i nostri progetti di vita. The Birds of America è un mero mezzo per avere soldi e per determinare indirettamente lo statuto di ricercati, fuorilegge e quindi vivere al di fuori del patto sociale che regge le comunità in cui viviamo.
C’è infine anche un altro elemento da ricordare quando parliamo di American Animals e cioè il suo valore documentaristico: il film infatti dichiara subito dopo i titoli di testa, di basarsi in parte su una storia vera. Sembra infatti che alla Transylvania University, nel 2005, abbia davvero avuto luogo il furto di alcune preziose opere di carattere letterario e artistico a opera di quattro giovani studenti.
Vi ho incuriosito?
Non vi resta allora che guardare questo nuovo lavoro di Bart Layton.

Federica Rossi
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