Questa pandemia sta sconvolgendo le nostre vite, ormai è quasi un anno che combattiamo contro questo virus e che i governi di tutto il mondo cercano di prendere misure adeguate a impedire che il contagio si diffonda in maniera esponenziale tra la popolazione, misure che però molte volte dividono l’opinione pubblica e la cui efficacia è discutibile in certi casi.
Come al solito sembra che il mondo della cultura, della ricerca e dell’università sia l’ambito maggiormente sacrificabile e nel quale le misure prese sono le più stringenti e penalizzanti, forse proprio perché nel nostro paese non si riesce a capire l’importanza e il peso della cultura e soprattutto sembra essere ben salda nella mente di molti l’idea che il mondo culturale e della ricerca sia un mondo che non genera profitti e, se ne genera, alla nostra classe dirigente sembrano briciole facilmente buttabili al vento.

Per chi, come me che vi scrivo, sta svolgendo della ricerche per il proprio elaborato finale di un percorso di laurea magistrale, la situazione emergenziale ha tolto davvero moltissime opportunità: ad esempio gli archivi, una volta che hanno potuto riaprire al pubblico questa estate, nei quali è possibile solitamente consultare carte d’autore e documenti di qualsiasi tipo già con alcune difficoltà, sono stati oggetto di regole davvero castranti come l’obbligo di mettere sotto quarantena i faldoni consultati da un utente. Questo periodo di quarantena di quattordici giorni veniva applicato anche nel caso in cui un utente consultava delle carte e poi era sempre quello stesso utente a voler continuare a visionarle una seconda volta, magari in un altro giorno della settimana: questo non era possibile e quindi bisognava per forza aspettare due settimane per tornare in archivio e continuare il proprio lavoro da dove lo si era interrotto. Parlo al passato perché ho dovuto cambiare il progetto iniziale della mia tesi di laurea e in archivio non mi sono più recato, quindi non so come si siano evolute le norme da rispettare, ma credo comunque che date le varie chiusure la situazione non sia migliorata. È evidente però che queste regole estremamente restrittive portano ad un dilatarsi dei tempi e ad un rallentamento drammatico della ricerca.
La cosa poi lascia ancora di più interdetti visto che questa estate per tutti noi i vincoli imposti sono stati davvero pochi e scarsamente rispettati: si poteva tranquillamente fare le proprie vacanze, andare in giro per tutta Italia, fare compere e andare ai ristoranti e in alcuni casi anche andare in discoteca, ma per visionare lo stesso faldone di archivio due volte consecutivamente si doveva aspettare per ben due settimane!!!
Questo blocco forzato degli archivi non ha solo rallentato il sottoscritto che doveva scrivere la sua tesi di laurea, ma ha rallentato anche tutte quelle persone che lavorano nell’ambito della ricerca culturale, alcuni dei quali, i dottorandi per esempio, sono vincolati al loro lavoro di ricerca per ottenere anche alcuni scatti di carriera.
Tutto ciò ovviamente non importa a chi ci governa.

Ancora più problematica è la chiusura delle biblioteche perché in questo caso non risultano penalizzati “solo” coloro che svolgono ricerche approfondite, ma anche tutta quella fascia di popolazione appassionata alla lettura, ma che per accedervi magari preferisce non spendere venti euro a libro comprandoli in libreria. Sono tanti gli studenti universitari che hanno avuto non pochi problemi nel reperimento dei libri da studiare per i loro esami (io compreso): molte volte in programma ci sono libri non più stampati o ormai datati o dal costo esagerato e queste chiusure hanno creato ulteriori difficoltà in un ambiente che già ne ha diverse.
Molti sono anche gli studenti che stanno scrivendo la loro tesi di laurea, sia essa triennale o magistrale, e ancora una volta il problema è lo stesso: la chiusura di servizi che a quanto pare molti ritengono superflui, ma che in realtà sono essenziali!
Capisco la necessità di chiudere al pubblico le sale studio data la diffusione così rapida del virus, ma non capisco perché non mantenere attivi almeno i servizi di prestito, magari prenotabili su appuntamento per fare in modo che la cultura non si fermi per davvero e non solo per far funzionare uno slogan.
Se una persona necessita di andare in posta ci si può recare, se necessita di andare in banca ci può andare prenotando un appuntamento, ma soprattutto se vuole comprare un libro può andare in libreria, se invece vuole prenderne in prestito uno non può. Ecco quindi che l’aspetto del profitto diventa evidente, va bene sostenere la cultura, ma solo quella che almeno si paga.
Mi sembra giustissimo lasciare aperte le librerie per poter incoraggiare un settore così importante come quello editoriale, ma sarebbe altrettanto giusto e a mio parere con pochi rischi, lasciare aperte le biblioteche.
Questa situazione inoltre fa emergere ancora di più la scarsezza di risorse che vengono destinate al mondo delle biblioteche pubbliche e in generale della ricerca: la digitalizzazione delle nostre risorse documentarie e librarie è davvero carente. Se almeno si avesse a disposizione un database cospicuo delle digitalizzazioni dei testi presenti nei nostri archivi e nelle nostre biblioteche alcuni problemi sarebbero ovviati, ma purtroppo così non è, e l’unica soluzione per noi studenti, per i dottorandi, i ricercatori, i laureandi e le persone che vogliono semplicemente leggere un libro prendendolo in prestito è aspettare che l’emergenza finisca, ma nel frattempo è un anno che gli ostacoli sembrano insormontabili.

In molti casi poi da parte di chi lavora all’interno di queste istituzioni non interessa nemmeno troppo andare incontro alle esigenze degli utenti e sembrano anche tristemente aspettare con ansia che arrivi il momento di chiudere tutto così da poter stare a casa. Insomma non avete il materiale per poter scrivere la vostra tesi, arrangiatevi, la colpa è sempre di qualcun altro.
Sicuramente ciò che ho scritto non cambierà nulla, ma è davvero assurdo che la situazione sia questa ormai da mesi e mesi. Non so ancora (sto scrivendo queste parole il 27 novembre 2020) cosa ne sarà della divisione dell’Italia in varie zone di colore diverso né se le misure restrittive potranno allentarsi un poco, ma se davvero dobbiamo imparare a convivere con questo virus per molto tempo è necessario che anche il mondo della cultura, della ricerca e delle biblioteche si adegui. Se di nuovo ci dovesse essere una chiusura stringente delle attività si deve pensare che anche le biblioteche sono dei servizi e non dei servizi sacrificabili, ma essenziali per una popolazione che già sembra essere così distante dall’amore per la cultura.
Mi raccomando però questo dicembre apriamo gli impianti sciistici!
Alessandro Audisio
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