Si intitola Rinascimento Privato, da Spanzotti a Defendente Ferrari nelle collezioni piemontesi la mostra in scena fino al prossimo 26 febbraio 2023 presso la Fondazione Accorsi-Ometto a Torino curata da Serena D’Italia, Luca Mana e Vittorio Natale. L’esposizione raccoglie ventiquattro opere provenienti, come dice il titolo, da diverse collezioni private torinesi e vuole raccontare la pittura piemontese dal principio del XV secolo fino alla metà circa del secolo successivo. Lo fa con opere davvero interessanti, spesso mai mostrate al pubblico fino ad ora, di esponenti della cultura figurativa del Rinascimento in Piemonte che ha come centro propulsore la figura del più grande pittore valsesiano del Cinquecento, vale a dire, Gaudenzio Ferrari.

La mostra non è eccessivamente lunga e le opere sono radunate in sole tre sale, le prime, dell’affascinante location della Fondazione Accorsi-Ometto. Nella prima sala sono esposte tre tavole interessanti, la prima di Giovanni Canavesio (Pinerolo, 1425 circa – 1500) raffigura un Santo Vescovo (forse Sant’Agostino, databile al 1500 circa) e la seconda di Tommaso Biazaci (artista documentato tra Busca, Albenga e Imperia nella seconda metà del XV secolo) rappresentante San Nicola da Bari (1480 circa). Queste opere dal sapore ancora tardogotico insieme a un dittico di Andrea de Aste pittore attivo in Piemonte nell’astigiano, in Liguria e a Napoli nella prima metà del XV secolo, raffigurante i Santi Giovanni Battista e Nicola nel registro principale e i Santi Domenico e Lazzaro nelle cuspidi soprastanti, sono gli antefatti delle origini della pittura in Piemonte.

Poco più avanti eccoci arrivati nella prima sala dove ad attenderci è un grande affresco, strappato dal restauratore Guido Nicola da una cascina fatiscente presso Borgo D’Ale, di Tommaso e Francesco Cagnoli esponenti di una prolificissima bottega di origini novaresi, raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra i Santi Nicola da Tolentino, un Santo vescovo, i due donatori inginocchiati e angeli reggi cartiglio (1499 circa). Lì accanto sta una piccola tavola di Antoine de Lonhy (documentato dal 1446 al 1490), pittore originario della Borgogna, attivo a Tolosa e Barcellona e in Piemonte, dove arriva ad Avigliana nel 1462, raffigurante un Profeta con turbante e filatterio da identificarsi forse come Salomone. La piccola tavoletta faceva evidentemente parte di un complesso più ampio le cui vicende non sono state ancora chiarite; tuttavia l’opera evidenzia una eccezionale qualità pittorica nonostante lo stato di conservazione non eccezionale. Accanto ci sono tre tavolette di Gandolfino Da Roreto (documentato dal 1493 al 1518) pittore attivo tra le città di Alba, Savigliano, Alessandria e la Liguria, rappresentante rispettivamente un San Giovanni Evangelista, un Sant’Andrea e un San Mattia databili al 1515-1520 circa. In questo caso ci si trova davanti a parti di una predella di un complesso più ampio verosimilmente smembrato durante le soppressioni napoleoniche. A questi santini sono da ricollegare anche quelli oggi custoditi presso la Pinacoteca di Cremona, un tempo uniti da uno stesso pezzo di legno sul quale furono dipinti. Le tavolette qui esposte evidenziano i debiti dello stile di Gandolfino con quello di Boccaccio Boccaccino cui queste tavolette erano un tempo attribuite. Spostandosi leggermente più a destra della sala troviamo alcune opere davvero interessanti. È il caso delle due tavole di Pascale Oddone (documentato 1523 al 1546), pittore attivo a Savigliano, a Saluzzo e dintorni e a Finalborgo, che raffigurano San Costanzo e San Martino con il povero e San Chiaffredo e San Defendente con il committente (entrambe le opere sono databili al 1535 circa). Le due tavole dovevano essere le ante laterali del registro principale di un più ampio polittico andato disperso; molto su questo complesso dev’essere ancora svelato, a cominciare, ad esempio, dalla sua originaria collocazione e dall’identificazione del committente inginocchiato nell’anta di destra.

Girando ancora per la stanza ci si imbatte in due magnifiche tavole di Giovanni Martino Spanzotti (Casale Monferrato, 1455 circa – Chivasso, 1526-1528) rappresentanti un Santo Tebeo e San Lorenzo e San Nicola (1496-1500 circa). Di qualità pittorica eccezionale, le tavole forse frutto della collaborazione di Spanzotti con un suo fedele collaboratore, da indentificare prudentemente con Defendente Ferrari suo allievo, dovevano far parte di un unico più ampio complesso su cui al momento non si conosce altro. A poca distanza dalle tavole dello Spanzotti sono esposte due tavole con i Santi Gregorio e Stefano e i Santi Tommaso e Rocco (1520 circa) dell’eccentrico Pietro Grammorseo (1490 circa -1530), un pittore originario di Mons capoluogo della contea dell’Hainaut nell’attuale Belgio ma molto attivo nel Piemonte Meridionale, nel casalese in special modo, a partire dagli anni Venti del XVI secolo e imparentato con Francesco Spanzotti (era il suocero), fratello di Martino. Queste due belle tavole, la prima giunta fino a noi integra nelle sue dimensioni a dispetto della seconda, ahinoi, tagliata brutalmente a metà e di cui ci rimane solo la parte superiore, dimostrano di aver meditato sulla cultura figurativa piemontese in particolar modo sulle opere di Defendente Ferrari e del grande Gaudenzio, nonché di aver guardato ai pittori delle cerchia leonardesca ma anche allo Pseudo Bramantino elaborando però un linguaggio del tutto personale e inconfondibile che risente ancora profondamente della sua formazione nordica. Chiude il giro della sala la presenza di due fronti di cassoni dipinti, il primo databile al 1480-1490 circa, già appartenuto all’antiquario Pietro Accorsi, raffigura sul suo prospetto una raffinata quanto consunta Annunciazione; mentre il secondo fronte di cassone, appartenuto all’ingegnere Vittorio Tornielli, meglio conservato e databile all’ultimo quarto del XV secolo, raffigura nel suo prospetto dei Guerrieri colti in diversi atteggiamenti. Quest’ultimo cassone dipinto era stato attribuito da Vittorio Viale al Maestro di Crea alias Francesco Spanzotti fratello di Martino; tuttavia oggi Vittorio Natale, curatore della mostra e della scheda di catalogo, ritiene di dover retrocedere il dipinto ad un anonimo pittore attivo a Casale Monferrato, idem dicasi per il fronte di cassone con l’Annunciazione, anche se per entrambe le opere lo studioso evidenzia comunque una matrice spanzottiana.

Prima di passare nella terza e ultima sala che ospita la mostra, il visitatore percorre una specie di diaframma, un piccolo ambiente di passaggio dove si trovano due piccole tavole di Gandolfino da Roreto, pittore già incontrato in precedenza. Si tratta dello Sposalizio e della Morte della Vergine. Sono tavolette deliziose databili tra il 1510 e il 1515 circa, cioè appartenenti alla fase tarda del pittore e sono parte di una predella di polittico andato perduto. In queste piccole tavole la cultura figurativa di Gandolfino è aggiornata sulle novità lombarde e in particolare di Donato Bramante; si pensi ad esempio alla scena dello Sposalizio dove chiaro è il riferimento alle soluzioni spaziali delle architetture adottate dal pittore e che dimostrano di guardare all’incisione realizzata nel 1481 da Bernardo Prevedari su disegno di Bramante.

Eccoci giunti finalmente alla terza e ultima sala della mostra. Anche qui sono esposte numerose opere, vorremmo iniziare da quelle che ci hanno colpito di più, come ad esempio la Natività (1515-1520 circa) di Sperindio Cangoli (Novara, documentato dal 1505 – morto prima del 1530). Questa bellissima tavola di Sperindio, sodale di Gaudenzio quando questi si trovava a Novara, riflette l’interesse di Sperindio per lo stile di Gaudenzio e in particolare per gli esiti stilistici che si possono vedere nel celebre Polittico della Natività della Basilica di San Gaudenzio a Novara. Il tema della natività della tavola esposta presso il museo torinese dimostra di aver meditato certo con una rielaborazione personale proprio sul pannello centrale del registro superiore del grande polittico novarese. Questa tavola faceva parte di un polittico smembrato e disperso di cui esiste però un altro elemento, delle stesse dimensioni, ovverosia il bel Noli me tangere oggi conservato presso il Museo Civico di Palazzo Madama a Torino.

Accanto a questa tavola si trova una bella Madonna col Bambino (1530 circa) di Gerolamo Giovenone (Novara, 1490 circa – Vercelli, 1555) che risente anche in questo caso delle invenzioni del geniale Gaudenzio come la Pala degli Aranci (1529) in San Cristoforo a Vercelli. Un’altra opera che merita menzione è la tavola di Oddone Pascale rappresentante San Giorgio e il drago (1525 circa). L’opera è davvero deliziosa: in primo piano si trova un grande drago che sembra uscito da un cartone animato di Walt Disney, appena trafitto dalla lancia di un San Giorgio dal volto androgino e agghindato con una tunica dalle eleganti decorazioni con un aspetto che lo fa apparire davvero poco capace di compiere gesti violenti in sella al suo nobile cavallo bianco. Sulla destra si trova la principessa, dai connotati non molto differenti rispetto al Santo guerriero, in preghiera con le mani giunte è vestita con abiti che richiamano i colori degli abiti del San Giorgio, armatura alle gambe e alle braccia a parte. Tutta la scena è ambientata in un paesaggio da favola con un ruscello appena oltre la figura del drago e del Santo e dei monti scoscesi sullo sfondo sui quali si erge una fortezza; tutta la scena sembra davvero uscita dal racconto di una favola medievale, dove oltre all’accuratezza del dettato pittorico, l’attenzione è posta sull’intensità della gamma cromatica dai toni gemmei e sulla qualità primaverile della luce, nonché sul tono prezioso ma dal sapore arcaico di cui è pervasa l’intera scena. Il dipinto è verosimilmente lo scomparto centrale di un polittico non altrimenti noto.

Ancora di grande interesse risultano essere cinque tavole di Defendente Ferrari (Chivasso?, 1480-85 circa – Chivasso?, dopo il 12 novembre 1540), le prime due raffigurano la Presentazione al tempio e la Vergine con due Evangelisti (1505-1510 circa), mentre le altre tre raffigurano rispettivamente un Santo Stefano, una Sant’Agata e un San Giovanni Evangelista (1525-1535 circa). Queste tre tavole facevano parte di un grande polittico di cui si conoscono altre sette tavole, tre conservate presso i Musei Civici di Torino, tre in collezioni private e una già sul mercato antiquario. Due di queste tavole furono acquistate nel 1966 da Pietro Accorsi per la cifra di 9 milioni di lire. Nel medesimo anno l’antiquario torinese aveva acquistato da Giovanni Agnelli otto tavole di Defendente fra le quali è molto probabile che ci fossero anche quelle in esame. Non si conosce purtroppo l’originaria collocazione delle tavole né tanto meno la committenza, tuttavia si è ipotizzato che questo grande complesso potesse trovare posto in qualche chiesa dell’ordine agostiniano per il quale Defendente realizzò diverse opere. Per quanto riguarda invece le prime due tavole poc’anzi citate, nel 1880 esse appartenevano al marchese Emanuele di Saint’André, inoltre va sottolineato come entrambe le scene siano incorniciate da sontuose architetture dipinte con larghissimo uso dell’oro che ne suggerisce l’appartenenza a una commissione artistica di estremo prestigio anche se ancora non identificata. La scena con la Vergine con due Evangelisti richiama, specie per lo sfondo, gli esiti di Vincenzo Foppa nella Pala Bottigella della Pinacoteca Malaspina di Pavia; mentre il magnifico sfondo aureo della Presentazione al tempio richiama la cultura milanese e in particolar modo bramantesca come si può vedere nell’incisione Prevedari già richiamata poco sopra. Inoltre l’ambientazione della Presentazione al tempio rimanda a un’altra opera di Defendente, vale a dire lo splendido Sposalizio della Vergine (1504) del Museo Civico di Torino, opera giovanile ancora influenzata dai modi del maestro di Defendente, Martino Spanzotti.

Chiudono la mostra un’altra bella tavola di Defendente Ferrari con il Bacio di Giuda (1520 circa) appartenuta negli anni trenta del Novecento al collezionista torinese Arturo Allomello, dalla composizione inusuale e dagli effetti luministici notturni davvero interessanti, e alcune opere più modeste per qualità e stato di conservazione. Pensiamo ad esempio alla Presentazione di Gesù al tempio e Gesù fra i dottori (1550 circa) provenienti dalla collezione di Giorgio Devalle come si desume da una iscrizione sul retro, parti di una modesta predella dedicata alla vita di Cristo di un complesso più ampio fin qui non rintracciato, eseguite in maniera molto corsiva del pittore vercellese Bernardino Lanino (Mortara, 1512 – Vercelli, 1578) allievo prima di Gerolamo Giovenone e poi di Gaudenzio Ferrari e provenienti dalla collezione di Giorgio Devalle. Modesta e in cattivo stato di conservazione è anche la Sant’Elena di Raffaele Giovenone (documentato a Vercelli dal 1572 al 1604) figlio del ben più che modesto Giovanni Battista Giovenone. Chiude la mostra l’Adorazione dei Magi (1530-1540) di Jacopino Longo pittore documentato ad Alba e attivo nel Piemonte occidentale dal 1517 al 1545. La tavola, concepita come dipinto di devozione privata, proviene dalla collezione di Camillo Franco importante storico che nella prima metà del XX secolo compì ricerche sulla storia e la cultura figurativa della Val Sangone alle porte di Torino. Il dipinto che idealmente chiude la mostra, riprende un’opera di Defendente Ferrari che nell’Ottocento si trovava nel castello dei Carron di San Tommaso a Sommariva Perno. La cultura arcaizzante della tavola dimostra di guardare alla cultura figurativa milanese e in particolare bramantiniana come già quella dell’ipotetico maestro del Longo, vale a dire di Defendente Ferrari.

La mostra così come il relativo catalogo che contiene le schede delle opere ci è parso un evento ben riuscito e che sicuramente merita una visita in questo luogo così suggestivo di Torino. Tuttavia la storia delle opere ricostruita in parte nelle schede, se ne evidenziano in particolar modo i passaggi collezionistici, non si avvantaggia di ricerche inedite specie per ciò che concerne – lo si sarà capito – l’originaria provenienza, la committenza e il contesto entro il quale queste opere un tempo dialogavano. È chiaro però l’intento di voler far conoscere queste opere ad un pubblico più ampio evidenziando il fatto che dietro l’acquisto di questi dipinti si celava il grande mercante collezionista torinese Pietro Accorsi che dà il nome all’istituzione che ospita le opere radunate per la mostra. Tuttavia forse sarebbe stato il caso di procedere ad un’analisi più approfondita sugli aspetti che abbiamo appena menzionato. In molti casi infatti le opere fanno parte di complessi più ampi di cui ancora nulla si conosce. Discutibile poi la scelta di separare, per fortuna nella stessa sala, le tre tavole di Defendente Ferrari provenienti certamente da un medesimo complesso oggi disperso. Due delle tre tavole infatti sono inframmezzate ad un’altra opera che non c’entra nulla con quelle tre, e ci si chiede quale sia stato il ragionamento logico che abbia portato i curatori ad una tale scelta. Non sembra giustificabile, infatti, il fatto che una delle tre tavole sia stata separata da un’altra opera dello stesso Defendente ossia il Bacio di Giuda in quanto questa tavola non sembra aver mai fatto parte del polittico disperso a cui appartengono le tavole in esame.

In ultimo, la mostra vuole raccontare un tratto della storia dell’arte piemontese poco conosciuto al grande pubblico, ma certamente noto agli specialisti degli studi di storia dell’arte del Piemonte. La mostra ha il pregio di mostrare opere di autori che vanno meglio a chiaroscurare un panorama dominato, a ragione, dall’asso piglia tutto Gaudenzio Ferrari, provando invece a raccontare una storia dell’arte più complessa, fatta di tanti nomi con un prima, un durante e un dopo Gaudenzio. Lo fa guardando quel tratto di storia dell’arte con gli occhi del collezionismo e del mondo dell’antiquariato, ma certamente il risultato che ne scaturisce, anche se con qualche piccola pecca, è a nostro parere, lodevole.
Marco Audisio
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