Nato sotto una buona stella

Se cinquantadue anni fa l’Uomo riuscì a compiere quel piccolo grande passo sul terreno lunare che avrebbe premiato mesi di fatiche e realizzato secoli di aspirazioni, fu anche perché nel frattempo le persone negli Stati Uniti avevano potuto già vedere numerose immagini di mondi lontani che aspettavano solo di essere raggiunti. Nel secondo dopoguerra, infatti, l’esplorazione dello spazio era diventata un argomento familiare al pubblico d’oltreoceano, non più soltanto come possibilità relegata tra i confini della letteratura più fantasiosa, e ciò grazie soprattutto ad un’impresa divulgativa che si avvalse di un collaboratore eccezionale: l’illustratore Chesley Bonestell (San Francisco, 1888 – Carmel-by-the-Sea, 1986), la cui abilità stava nell’essere, allo stesso tempo, un affascinante visionario ma anche un osservatore meticoloso e un provetto conoscitore delle tecniche pittoriche.

Fig. 1. Chesley Bonestell

Artista versatilissimo, Bonestell (che aveva studiato architettura alla Columbia University di New York, conseguendo l’abilitazione pur non essendosi laureato) veniva allora da importanti commissioni; suoi infatti erano alcuni disegni per il Chrysler Building, in particolare gli interni, e le fasi di cantiere del Golden Gate Bridge. Inoltre si era prestato con altrettanto successo alla scenografia cinematografica, realizzando fra l’altro gli sfondi per Quarto potere di Orson Welles. Da quando però, ancora diciassettenne, aveva guardato nel colossale telescopio rifrattore del San Jose’s Lick Observatory – e da quell’esperienza aveva tratto una raffigurazione di Saturno, andata perduta nel terremoto della sua città natale –, la voglia di rappresentare il cielo e le sue meraviglie, ancora in fase di scoperta, non gli era mai venuta meno e nel 1944 iniziò la produzione che lo rese famoso e richiesto da riviste come Life, Look, Coronet, Pic Magazine, Mechanix Illustrated, Air Trails, Scientific American, Astounding Science Fiction e Collier’s.

Fig. 2. Chesley Bonestell, Saturno visto da Titano (1952)

Per un decennio ritrasse così vedute di paesaggi extraterrestri, donando forma, e una sorta di concretezza, alle ipotesi degli scienziati la cui attenzione, quegli stessi corpi orbitanti intorno al Sole, richiamavano così tanto. Fra essi la sorte volle che un nome di rilievo dovesse essere proprio quello del professor Wernher Von Braun, l’ex ufficiale nazista assoldato dalla NASA nella corsa per superare il traguardo che i russi avrebbero posto con il lancio dello Sputnik 1. Il contributo del pittore statunitense, diventato intanto suo amico, e ormai all’apice della notorietà, ebbe un ruolo cruciale nel diffondere l’idea che degli esseri umani potessero viaggiare nel cosmo e persino abitarlo. Unite all’approfondita descrizione di materiali e processi di messa in opera relative a quelle che sarebbero diventate le prime missioni interplanetarie, le tavole che accompagnavano i vari articoli firmati da Von Braun, e pubblicati su Collier’s dal 1952 al 1954, dimostrarono veramente che il futuro era a un soffio dall’essere afferrato, e che la tecnologia, da lui rappresentata con piglio ingegneristico, e dovizia di particolari, apparteneva alla sfera del realizzabile. 

Fig. 3 Chesley Bonestell, Superficie di Mercurio (1948), e Lancio di un razzo sulla Florida (1962)

Guardandole l’impressione che si aveva era proprio di trovarsi su quegli inesplorati pianeti, dove sembrava che si potessero avere visioni inedite degli altri oggetti celesti, mai stati così vicini, stagliati contro la volta del firmamento. Quelli che in passato erano punti più o meno luminosi sopra le nostre teste assumevano un aspetto differente, e accattivante. Marte, come la Luna, emergeva nella penombra dalle montagne di Fobos, uno dei suoi satelliti. E dello stesso Saturno, all’alba sopra Titano, non rimaneva che una falce sottile e quasi evanescente, circondata dai suoi anelli a mo’ di ellisse schiacciato, e incorniciata dalle asperità di un luogo sconosciuto.

Come si poté vedere in avvenire, merito anche delle escursioni satellitari, per quanto verosimile, non tutto questo corrispondeva esattamente alla realtà dei fatti, assai lontana dalle influenze del paesaggismo americano, notate dal collega Ron Miller, che trasparivano dai fogli patinati (cfr. Le visioni astronomiche di Chesley Bonestell, in Le scienze. Edizione italiana di Scientific American, a. 27, 53, 1994, n. 311, pp. 64-69). Eppure gli artifici rappresentativi, mutuati anche dalla frequentazione di Hollywood, e dei suoi maestri, si dimostrarono efficaci, se è vero come disse lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke, e come riportò lo stesso Miller, che in molti credettero di osservare delle avveniristiche fotografie a colori. 

Fig. 4. Chesley Bonestell, Marte visto da Fobos (1949), Costruzione di una stazione spaziale con equipaggio (1949) e Atterraggio sulla Luna (1953)

Anche dopo il fatidico allunaggio a stelle e strisce, nel corso delle pubblicazioni successive, l’opera di Bonestell continuò a stupire, nutrendo la speranza in un futuro di continui progressi nel campo delle conquiste spaziali. Il suo nome venne dato ad un cratere su Marte e a un asteroide, in memoria dell’impulso che diede all’immaginazione. Tutt’oggi, probabilmente, l’idea di raggiungere mete sempre più lontane da noi non avrebbe peso senza alcune sue profetiche rappresentazioni.

Niccolò Iacometti

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