“Divine e Avanguardie”. Viaggio nella Russia al femminile

A Milano, nelle sale al pianoterra di Palazzo Reale, fino al prossimo 12 settembre è possibile visitare la mostra “Divine e Avanguardie. Le donne nell’arte russa”. L’esposizione è curata da Evgenia Petrova e Joseph Kiblitsky e comprende poco meno di un centinaio di opere, per la maggior parte dipinti – anche se non mancano sculture ed esemplari di arti applicate – provenienti prevalentemente dal Museo Russo di San Pietroburgo, del quale Evgenia Petrova è Direttore Scientifico.    
Il percorso ideato dai curatori è strutturato in otto sezioni tematiche e, come intuibile dal titolo stesso, è interamente incentrato sulla presenza femminile nel panorama sociale e culturale russo, con particolare riguardo al periodo compreso fra XIX e XX secolo. Sebbene questo tipo di impostazione potrebbe apparire lineare, la distribuzione delle opere è in realtà piuttosto articolata. Le otto sezioni, infatti, si suddividono a loro volta, ad un livello più ampio, in due grandi “macroaree”: la prima include sette degli otto temi e in essa viene indagato il modo con cui gli artisti si sono confrontati con la presenza femminile in qualità di soggetto e nel suo rapporto con la società; la donna, quindi, vista come fonte di ispirazione, simbolo o portavoce dei più svariati valori.     
La seconda macroarea coincide invece con l’ottava sezione, ben più ampia delle altre e dal suggestivo titolo “Le amazzoni dell’avanguardia”: le sale che la compongono sono dedicate a quelle artiste che, nei primi decenni del Novecento, sono state creatrici e protagoniste del panorama culturale russo, in particolare quello legato alle Avanguardie.      

Fig. 1. Madonna Odigitria Smolenskaja, XV secolo, San Pietroburgo, Museo Russo

La mostra si apre con una selezione di opere che indagano, con un taglio più storico, la presenza femminile in due istituzioni cardine della società e della cultura russa, almeno sino ai primi anni del Novecento: la religione e il potere imperiale.     
La figura della Vergine, protettrice della Russia, assai venerata, occupa quindi la prima sala, dedicata ad una delle forme più tipiche dell’arte devozionale del paese, che affonda le proprie radici in tempi assai remoti: l’icona dipinta su legno. Il legame con il tema del femminile è insito non solo nel soggetto stesso della Madonna con bambino, ma anche perché si deve ad una donna, la principessa Olga, l’introduzione in Russia del cristianesimo ortodosso come religione di stato, intorno al 957 d.C.
La severa fissità e la ieraticità delle icone riecheggiano nel ritratto, realizzato da un artista anonimo intorno al 1682, della zarina Marfa Matveena, che introduce alla sala dedicata alle numerose imperatrici che guidarono la Russia fra la seconda metà del Seicento e il 1917. Pur mantenendo il loro carattere di opere ufficiali, queste effigi rendono l’idea del susseguirsi di stili pittorici, ma anche di cambiamenti nella moda e nel gusto occorsi nell’arco dei tre secoli e, allo stesso tempo, restituiscono efficacemente le personalità di queste donne, raffigurate in modo più o meno idealizzato, accompagnate da oggetti e simboli che rimandano ai loro meriti e alle loro imprese, oppure indagate in modo più informale e introspettivo.
La mostra, da questo punto in poi, prosegue con una panoramica a trecentosessanta gradi sulla presenza femminile all’interno delle diverse classi – contadina, operaia e borghese – che componevano la società russa fra Otto e Novecento: l’interesse, in questo caso, si struttura su più livelli, poiché alla rappresentazione sociale e di costume si accompagna la varietà di linguaggi adottati dai pittori. Sullo sfondo, sempre presente anche quando non viene esplicitamente menzionata, la Rivoluzione del 1917, che segna lo storico passaggio dalla Russia imperiale all’Unione Sovietica e con la quale artisti e intellettuali non possono fare a meno di confrontarsi.

Fig. 2. Kazimir Malevich, Mietitura, 1928-1929, San Pietroburgo, Museo Russo

Così, nella sezione dedicata alla società rurale, vengono proposte da un lato alcune immagini di donne contadine dal taglio tradizionale, che colgono momenti di vita quotidiana prerivoluzionaria, oppure descrivono gli usi e i costumi tipici di questa classe sociale, come nel caso delle Donne di campagna ritratte nel 1905 da Filipp Maljavin (Kazanka, 1869 – Nizza, 1940) in sontuosi abiti colorati.
Diversamente, altri artisti tentano invece di interpretare le mutate – e, spesso, difficili – condizioni sopraggiunte, in seguito alla Rivoluzione, con l’avvento dei Kolchoz, le cooperative agricole gestite da piccoli proprietari terrieri, oppure adattano il proprio linguaggio ad espressioni più comprensibili, per meglio comunicare con il nuovo pubblico contadino e operaio. È il caso di Kazimir Malevich (Kiev, 1879 – Leningrado, 1935), fondatore del suprematismo, uno dei più significativi movimenti d’avanguardia russi, e autore del celeberrimo Quadrato nero (1915); l’artista opera in questi anni un ritorno al figurativismo, ideando un nuovo stile che egli stesso definisce “supronaturalismo”. L’opera Mietitura, tratta dalla serie Ragazze nel campo, ne è un esempio: i soggetti sono resi in un linguaggio concreto e riconoscibile, ma i colori innaturali, le pose ieratiche e la straniante assenza dei volti conferiscono in ogni caso alle opere un carattere irreale e astratto.        

Fig. 3. David Sterenberg, Ritratto della moglie dell’artista, 1925, San Pietroburgo, Museo Russo

Le opere successive proseguono sul medesimo doppio livello di lettura, sociale da una parte e storico-artistico dall’altra. Le donne, avviate verso una sempre maggiore indipendenza, sono ritratte nei ruoli più disparati: osserviamo musiciste, esponenti del panorama culturale, come la poetessa Anna Achmatova (Bol’soj Fontan, 1889 – Mosca, 1966) o la gallerista Nadežda Dobičina, operaie e lavoratrici dei kolchoz distintesi per l’attiva rivendicazione dei propri diritti o per i ruoli di responsabilità ottenuti, come E.S. Fedorova, Presidente del II “Congresso dei kolchotsiani e infaticabili lavoratori”, ritratta fra il 1935 e il 1938 da Sof’ja Dymšits-Tolstaja (1884 – 1963).
D’altro lato, emerge anche in questo caso la molteplicità di stili e di linguaggi di cui gli artisti si fanno interpreti, dall’impressionismo, al realismo, sino a manifestazioni più avanguardistiche, in continuo scambio e confronto con il panorama occidentale. Il ritratto che David Sterenberg (Zhitomir, 1881 – Mosca, 1948) esegue della moglie nel 1925, ad esempio, è un’interpretazione prossima agli esiti più qualitativamente elevati dello stile che imperava in quegli stessi anni nella Germania della Repubblica di Weimar, oscillante tra espressionismo e Nuova Oggettività.           
Dopo una disanima sui temi della famiglia e del corpo femminile, che completa la rassegna dedicata alla donna come soggetto delle rappresentazioni, ha inizio “Le amazzoni dell’avanguardia”, una sorta di mostra nella mostra, incentrata sulle protagoniste delle arti dei primi decenni del Novecento.        

Fig. 4. Olga Rozanova, Composizione non-oggettiva, 1916 circa, San Pietroburgo, Museo Russo

Le numerose opere esposte nelle sale successive cercano di illustrare, nel modo più esaustivo possibile, il significativo contributo apportato dalla presenza femminile al progresso delle avanguardie; nonostante, infatti, le donne avessero avuto accesso alle scuole di belle arti sono dalla metà del XIX, ben presto molte di loro erano arrivate a ricoprire ruoli di pari dignità a quelli degli uomini ed era sempre più frequente la loro partecipazione alle mostre e nelle gallerie più prestigiose. Tuttavia, al pari di quanto accaduto in Europa centrale e occidentale, nonostante il successo, molte di loro sono state riscoperte solo in tempi recenti.           
Alcune delle artiste che si incontrano lungo il percorso espositivo, come Natalja Goncharova, Ljbov Popova, Oga Rozanova, Aleksandra Ekster, hanno avuto, pur nelle loro specificità, delle caratteristiche in comune e si mossero soprattutto fra cubo-futurismo, una particolare declinazione russa del futurismo, e suprematismo. Olga Rozanova (Melenki​, 1886 – Mosca, 1918) ad esempio, allieva di Malevich, era considerata dai contemporanei fra i migliori coloristi dell’epoca.  

Fig. 5. Da sinistra: Natalja Goncharova, Contadini (dal polittico in nove parti La vendemmia), 1911, San Pietroburgo, Museo Russo e Natalja Goncharova, Fabbrica, 1912, San Pietroburgo, Museo Russo.

Una delle avanguardiste più note è Natalja Goncharova (Negaevo, 1881 – Parigi, 1962), il cui interesse per i nuovi linguaggi artistici si spinse oltre i confini del paese natale: per un breve periodo, infatti, l’artista guardò con attenzione anche al futurismo, come testimonia Fabbrica, una personale declinazione di uno dei temi più praticati dai seguaci di Marinetti, conosciuto in occasione di un viaggio in Italia, nel 1914. Della Goncharova, tuttavia, viene evidenziato non solo l’aspetto più innovativo e aggiornato, ma anche il contributo apportato al Neoprimitivismo, movimento che promuoveva la riscoperta delle radici popolari dell’arte russa; come numerosi artisti della sua generazione, agli inizi degli anni Dieci, l’artista si accostò a icone, stampe popolari, decorazioni su telai, che divennero per lei oggetto di nuova ispirazione. I due monumentali polittici dal titolo La vendemmia e La mietitura, con i loro colori brillanti e i disegni marcati e spontanei, costituiscono un richiamo e un omaggio alle pratiche tradizionali della pittura di oggetti e dell’intaglio del legno.   

Fig. 6. Vera Muchina, studio per il complesso scultoreo L’operaio e la kolchoziana, 1936, San Pietroburgo, Museo Russo.

L’esposizione si chiude con la scultrice Vera Muchina (Riga, 1889 – Mosca, 1953), che, a differenza delle artiste precedentemente illustrate, non apparteneva all’ambiente delle avanguardie ma, al contrario, fu una delle massime esponenti del realismo socialista, il linguaggio artistico ufficiale imposto dal regime sovietico a partire dal 1932. In mostra è possibile ammirare il bozzetto del suo monumento più celebre, L’operaio e la kolchoziana, la cui fusione finale, in acciaio inossidabile e alta più di 24 metri, fu scelta per rappresentare il padiglione dell’Unione Sovietica all’Esposizione Universale di Parigi nel 1937 e campeggia oggi presso il Centro Panrusso delle Esposizioni di Mosca. Il linguaggio immediato ma, allo stesso tempo, monumentale e la decisa carica simbolica testimoniano il passaggio ad una diversa concezione dell’arte, non più terreno di sperimentazioni ma mezzo per trasmettere e celebrare le imprese del regime.         
“Divine e Avanguardie”, nel suo illustrare le vicende della presenza femminile in Russia, offre molteplici livelli di lettura, che si incrociano e si sovrappongono lungo il percorso espositivo. Proprio la presenza di differenti punti di vista fa sì che la mostra possa incontrare gli interessi più eterogenei, sia che si preferisca soffermarsi sulla rappresentazione visiva della società e delle importanti trasformazioni dell’ultimo secolo, sia che si prediliga un approfondimento più mirato sul panorama artistico del primo Novecento, osservato dal punto di vista delle donne che vi hanno contribuito. Non da ultimo, le opere esposte, nel loro spaziare tra stili, linguaggi e tecniche differenti, si caratterizzano per l’alta qualità, ma anche per la modernità, ed aiutano ad allargare lo sguardo sulla realtà culturale russa, portando alla conoscenza del pubblico nomi meno noti e un diverso modo di guardare all’arte contemporanea.

Chiara Franchi

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