BELLOTTO E CANALETTO, LO STUPORE DELLA LUCE.

Devo ammettere che il vedutismo veneziano non è il genere di pittura che più si avvicina alla mia sensibilità, tuttavia la mostra dal titolo Bellotto e Canaletto, lo splendore della luce, in scena alle Gallerie d’Italia in Piazza Scala a Milano fino al 5 marzo prossimo ha suscitato la mia curiosità e il mio interesse: dopo tutto non capita spesso di vedere una mostra su un tema così inconsueto, io personalmente non ne ho memoria. Curata da Bozena Anna Kowalczyk, l’esposizione raduna per la prima volta in Italia circa un centinaio di opere di Bernardo Bellotto (Venezia 1722 – Varsavia 1780) e Canaletto (Venezia 1697 – 1768) e ripercorre idealmente i viaggi che i due pittori hanno fatto in giro per l’Europa. Bellotto che ha appreso il mestiere dallo zio Canaletto entrando nella bottega veneziana di quest’ultimo nel 1736 e rimanendovi fino al 1740 circa elabora da subito una sua personalissima visione di intendere la pittura di veduta. La sua pittura possiede un carattere decisamente più realista rispetto a quella di Canaletto, mostrando grande attenzione verso la psicologia dei personaggi che animano i suoi dipinti. Bellotto è un personaggio con un carattere difficile: spesso lunatico, saturnino avrebbe detto Rudolf Wittkower, sempre pronto a creare scompiglio fin da quanto entra in rotta con lo zio Canaletto firmando i suoi dipinti con il nome di quest’ultimo, suscitandone l’ira. Anche la critica ha fatto fatica nei secoli a distinguere i lavori dei due maestri proprio a causa del fraintendimento tra i due “Canaletto”.

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Bernardo Bellotto, Il Castello Sforzesco di Milano, 1744, Repubblica Ceca, The National Heritage Institute.

Sta di fatto che il 30 settembre 1740 Bellotto parte alla volta di Firenze per poi approdare a Roma, dove realizza la serie dei cosiddetti Capricci, cioè delle vedute che comprendevano l’inserimento nella composizione di luoghi e monumenti appartenenti a città diverse sistemate coerentemente in un’unica eccentrica composizione. Nel 1744 Bellotto giunge a Milano che in quel momento è in pieno sviluppo illuminista e ne dà subito la sua visione del tutto personale, raffigurando una veduta del castello sforzesco come noi oggi facciamo fatica ad immaginare. Per Bellotto l’immagine è sempre legata alla realtà, una realtà piena di atmosfera e di atmosfere dove la prospettiva è interpretata per vivere la scena. Le sue immagini si avvicinano molto a quelle sequenze cinematografiche di oggi lasciandoci tuttavia liberi di immedesimarci in quelle scene, lasciandoci liberi di comprenderle di afferrarle, di viverle. Nel 1747 Bellotto da Venezia parte alla volta di Dresda e una volta giuntovi realizza le quattordici vedute della città su commissione di Augusto III. Contemporaneamente Canaletto dal 1746 e per i seguenti nove anni a intervalli regolari compirà diversi viaggi a Londra realizzando diverse vedute della città. In seguito Bellotto da Dresda si sposta anche a Vienna e Monaco per giungere a Varsavia.

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Bernardo Bellotto, Dresda dalla riva sinistra dell’Elba, il castello a sinistra, la Hofkirche di fronte, 1748, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen.

Qui oltre che a dipingere vedute della città e dei suoi più importanti monumenti si cimenta con generi tipicamente ottocenteschi come il ritratto equestre e gli studi anatomici. Muore a Varsavia nel 1780. Rispetto alla tecnica ineccepibile di Canaletto portatore di una lucida e perfetta consapevolezza della prospettiva e del colore, i lavori di Bellotto risultano in qualche modo più “sporchi” meno lucidi e quindi opachi, ma tuttavia più carichi di oniriche atmosfere e sentimenti. Le sue figure sono dimesse al limite tra la luce e l’ombra ma cariche di effetti teatrali. Il vedutismo è in qualche modo l’antico antenato della fotografia, o meglio della cinematografia, che i nobili stranieri che visitavano Venezia commissionavano per portarsi con se un ricordo indelebile di quella splendida città. Certamente non a buon mercato, le vedute erano un genere che veniva alimentato da un mercato e da una committenza di alta levatura.

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Canaletto, La piazzetta verso la libreria, Venezia, 1739 circa, collezione privata.

In mostra ho ammirato particolarmente la veduta con il Ponte di Rialto e la Piazzetta verso la libreria a Venezia di Canaletto, le varie angolazioni da cui è ripreso il Canal Grande, la Piazza San Marco (immagine di copertina) ripresa verso ovest e verso sud-ovest (affascinante il particolare con le maschere veneziane), le vedute con punti di vista diversi di Vaprio e Canonica in Lombardia, le vedute di Dresda e Varsavia dipinte da Bernardo Bellotto.

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Bernardo Bellotto, La piazza San Marco verso ovest, Venezia, 1743 circa, Alnwick Castle, the Duke of Northumberland Collection.

La mostra mi sembra concepita in maniera intelligente, senza troppi orpelli e con una discreta ricerca scientifica che sta alle spalle sia della mostra, sia del catalogo (Silvana Editoriale, non troppo costoso: 29 euro in mostra, 34 in qualsiasi altra libreria). L’illuminazione è buona, unica pecca sono gli ambienti troppo angusti per opere di dimensioni di una certa importanza e decisamente troppo affollate. L’esposizione mi sembra una bella occasione per poter ammirare e conoscere le opere di questi due abili pittori, provenienti anche da molto lontano e per la prima volta, lo ribadisco esposte in Italia.

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Bernardo Bellotto, La Kreuzkirche a Dresda, 1753 circa, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage.

I confronti tra Canaletto e Bellotto non mancano, anzi spesso alle opere del maestro sono sempre affiancate quelle del nipote evidenziando allo spettatore le analogie e le differenze che animano i dipinti dei due più importanti vedutisti veneti. Generosa è anche la parte dedicata ai disegni che mostra il processo di realizzazione dell’opera e mette a confronto i due diversi modi di azione dei due vedutisti: più tecnico e matematico quello di Canaletto, più empirico e atmosferico quello di Bellotto.

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Bernardo Bellotto, La piazza San Marco verso ovest a Venezia, particolare maschere veneziane, 1743 circa, Alnwick Castle, the Duke of Northumberland Collection.

La mostra termina con una sezione dedicata alla biblioteca posseduta da Bellotto nella sua casa di Dresda andata per la maggior parte distrutta in un incendio nel 1760. Numerose erano le pubblicazioni di proprietà del pittore veneziano tra cui spiccano: l’Adone di Giambattista Marino, l’Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam, le Commedie di Carlo Goldoni, le Opere Drammatiche di Pietro Metastasio, la Pamela di Richardson e poi opere di architettura tra cui quelle di Pietro Aretino, Francesco Borromini e Ferdinando Bibiena a dimostrazione che Bellotto non fu solo un abile vedutista ma anche un onnivoro divoratore di romanzi, commedie, tragedie e opere di architettura. Una mostra che merita di essere vista: mi raccomando, andatela a vedere!

Marco Audisio

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