Risale a questi ultimi anni il processo di riscoperta e rivalutazione di Carlo Fornara (1871-1968), artista originario di Prestinone, oggi frazione di Craveggia, in Val Vigezzo, esponente di punta della pittura locale e fra i protagonisti, nonostante lo scarto generazionale, della prima fase del divisionismo.
Di questo movimento, nonché dello stesso Fornara, abbiamo già trattato in diversi articoli del blog: di recente abbiamo proposto una sintesi delle vicende legate alla tecnica divisa attraverso cinque opere realizzate da altrettanti artisti, mentre data ad ottobre dello scorso anno la recensione, scritta da Marco Audisio, della mostra “Carlo Fornara. Alle radici del divisionismo”, inaugurata nel maggio 2019 presso Casa de Rodis, a Domodossola: qui la recensione Carlo Fornara, alle Radici del Divisionismo.
Proprio quest’ultima esposizione s’inseriva nel contesto di una serie di eventi volti a ricordare, come da prassi sempre più comune, il cinquantenario dalla morte dell’artista, avvenuta nel 1968 all’età di novantasette anni. Le commemorazioni si erano aperte nel 2018 con la mostra “Carlo Fornara. Autoritratti” presso la Galleria Maspes di Milano e si sono concluse con l’esposizione “Carlo Fornara e il Divisionismo”, andata in scena fra il 2019 e il 2020 presso il Museo archeologico regionale di Aosta. Comune denominatore di questa trilogia di eventi era la curatela di Annie-Paule Quinsac, docente emerita della University of South Carolina: una garanzia di qualità, dal momento che la Quinsac è annoverata fra i massimi esperti del divisionismo, a cui ha dedicato la propria carriera, ed è considerata la più grande conoscitrice al mondo dell’opera di Giovanni Segantini.
Lo scopo di questa nutrita serie di eventi era quello di “sprovincializzare” la figura di Fornara, restituendogli il ruolo di artista internazionale che gli fu proprio soprattutto negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento e di riaffermare la sua individualità, smentendo il luogo comune che lo relegava al marginale ruolo di autore “locale” e mero imitatore di Giovanni Segantini, del quale pure fu grande amico e ammiratore.
Gli approfonditi studi e le ricerche eseguiti in preparazione delle mostre, nonché l’operazione di rilettura critica e filologica della produzione dell’artista, hanno permesso di ricostruire con maggiore precisione le vicende relative alla sua formazione e ai rapporti con il resto del panorama culturale del tempo, restituendo una panoramica più completa. Ma procediamo con ordine.
![Figura 1[11992]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/07/figura-111992.jpg?w=736)
Come già detto, Carlo Fornara era nato a Prestinone, in Val Vigezzo, nel 1871. Il territorio vigezzino era teatro di una secolare tradizione di ritrattisti e affreschisti, che erano soliti esportare la propria arte all’estero, nelle vicine Francia e Svizzera, ma anche in Belgio o Inghilterra. Lo stesso Carlo era stato avviato a questo tipo di professione e, per tale motivo, aveva iniziato a frequentare, in giovane età, la locale scuola di Belle Arti Rossetti Valentini di Santa Maria Maggiore, sotto la guida di Enrico Cavalli (Santa Maria Maggiore, 1849 – 1919).
Nonostante il territorio geograficamente lontano dai maggiori circuiti artistici, gli allievi che seguivano le lezioni di Cavalli potevano contare su un’impostazione internazionale e aggiornata. L’artista si era infatti formato a Lione intorno alla metà dell’Ottocento, in un ambiente che, memore delle lezioni di Ingres e Delacroix, oscillava ancora fra romanticismo e grande pittura di storia, ma si apprestava anche ad aprirsi alle nuove tendenze della modernità. Nella città francese Cavalli era rimasto particolarmente affascinato dalle sperimentazioni sulla pittura di paesaggio di Adolphe Monticelli (Marsiglia, 1824 –1886), il quale componeva le proprie immagini a partire dalla forma e dalla materia pittorica, stesa mediante pennellate cariche di pigmento, senza l’ausilio del disegno o della linea di contorno. Questa innovativa tecnica, che permetteva di costruire il dipinto con brevi pennellate, venne introdotta da Cavalli nella scuola di Santa Maria Maggiore, insieme alla pratica della pittura en plein air, con la quale era possibile indagare dal vivo i fenomeni luministici, in linea con le coeve sperimentazioni d’oltralpe. Il piccolo centro vigezzino non era dunque una realtà provinciale e isolata, ma, al contrario, era ben aggiornato e attento a recepire le novità del contemporaneo panorama artistico.
Tali sono le vicende che compongono il ricco retroterra culturale della formazione e della successiva evoluzione di Fornara, il cui percorso si sarebbe ulteriormente arricchito grazie a due soggiorni francesi: il primo, effettuato con Cavalli a Lione, nel 1894, gli avrebbe permesso di completare la propria istruzione con lo studio dei grandi maestri del passato, ammirati al Palais des Beaux Arts, mentre il secondo, del 1896, lo avrebbe portato nel mezzo dei fermenti artistici, a Parigi.
![Figura 2[11995]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/07/figura-211995.png?w=736)
Nel 1891 Fornara, ventenne, espone due opere alla prima Triennale di Brera, l’evento che, lo ricordiamo, avrebbe consacrato il Divisionismo in Italia e all’estero: fra i dipinti da lui presentati vi è La bottega del calderaio, un’opera dal soggetto verista che richiama, anche in virtù dei toni terrosi della tavolozza, certi interni di Van Gogh. Nonostante il folgorante incontro, avvenuto in quell’occasione, con le opere di Segantini, Morbelli e Previati, l’impostazione di Fornara risente ancora degli insegnamenti della Scuola di Belle Arti, ed è quindi più prossima al neoimpressionismo. Tale tendenza è confermata, anche dal punto di vista tecnico, dall’opera Il seminatore, del 1895. Il dipinto raffigura un paesaggio innevato di montagna, nel quale si riconosce Prestinone. In primo piano un contadino, di spalle, si appresta a lanciare alcuni semi: il tema, così come la posa dell’uomo, sono di nuovo memori di Van Gogh, mentre il paese sul fondo è abbozzato mediante rapide e dense pennellate.
![Figura 3[11991]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/07/figura-311991.jpg?w=736)
La vera svolta nella carriera di Fornara avviene nel 1897, anno nel quale l’artista si presenta di nuovo alla Triennale di Brera con l’opera En plein air, che viene però rifiutata dalla giuria, la quale ne critica severamente le “barbariche stonature”. Del dipinto non si hanno tracce dal 1930 ed è giunta sino a noi solo una riproduzione fotografica in bianco e nero, dalla quale si percepiscono l’ambientazione, ancora una volta rurale, e, in primo piano, una donna con un bambino.
Il rifiuto accademico si rivela in realtà un evento fortuito, poiché l’opera, esposta in una galleria privata milanese, viene notata dal mercante d’arte Alberto Grubicy, fratello di Vittore, deus ex machina del movimento divisionista.
Grubicy ravvisa nei lunghi e accesi filamenti di colore giustapposti gli uni all’altri una variante della tecnica che lui e il fratello erano impegnati a promuovere sul mercato – a cui Fornara era peraltro giunto per via esclusivamente sperimentale, essendo probabilmente ignaro delle recenti scoperte nel campo della fisica ottica – e decide quindi di offrire la propria protezione al giovane artista. Quest’ultimo, nonostante la differenza di età con gli altri membri della Galleria, la diversa provenienza geografica e la conseguente estraneità ai circoli culturali lombardi, entra quindi a far parte, quasi per caso, del nucleo del primo divisionismo.
L’anno successivo Fornara trascorre il mese di agosto a Maloja con Segantini, assistendolo nella realizzazione del Panorama dell’Engadina, la gigantesca opera che avrebbe dovuto rappresentare la Svizzera all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Fra i due nasce un intenso rapporto di amicizia e Fornara elegge Segantini a proprio mentore: da questa esperienza scaturirà una serie di dipinti di meditazione e rielaborazione sull’opera del maestro, che contribuiranno a dare vita al luogo comune che, per lunghi decenni, ha relegato Fornara nell’ombra del più talentuoso e celebre divisionista: lo stesso Carlo, in una lettera del 1904, lamenterà la superficialità della critica dell’epoca, troppo incline a bollare la sua opera una “fredda derivazione segantiniana”.

Alcune opere immediatamente successive a tale esperienza, come Le lavandaie, precocemente conclusa nel 1898, richiamano effettivamente le medesime atmosfere evocate da Segantini nei dipinti ambientati nei Grigioni. Ad un’analisi più approfondita emergono, tuttavia, tutte le peculiarità dello stile proprio di Fornara: l’utilizzo materico, quasi aggressivo, della pittura e i volti appena abbozzati delle donne sono un’impronta della formazione neoimpressionista, mentre il particolare taglio del dipinto e la composizione dei soggetti sono prove del fatto che, come appurato dalle ricerche di Annie-Paule Quinsac, Fornara era fra gli artisti – non molto numerosi, in quel tempo – che conoscevano e si servivano del supporto della fotografia.
![Figura 5[11996]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/07/figura-511996.jpg?w=736)
Le somiglianze con Segantini si fanno più accentuate nelle successive opere simboliste, corrente alla quale Fornara aderisce per un breve periodo, nei primissimi anni del Novecento. Nonostante gli esiti innegabilmente poetici e mistici e i richiami letterari, caratteristiche che si evincono, ad esempio, nell’opera Da una leggenda alpina, la vocazione di Fornara resta soprattutto naturalistica, mentre scarso si rivela l’interesse ad infondere nella natura quella componente divina e quasi soprannaturale che è cifra propria della pittura simbolista.
Dopo questa breve esperienza, nonostante la fama ormai allargatasi oltre i confini nazionali, Fornara torna nella natìa Prestinone, decisione dettata anche dal trauma causato dalla prematura scomparsa dell’amico Segantini. Il mentore resta per Fornara una sorta di faro, che illumina e segna le successive scelte di vita e di stile: l’artista si ritira su un solitario alpeggio e si dedica alla produzione di opere di grande formato aventi per soggetto proprio la celebrazione dei paesaggi vigezzini, ispirato da quanto Segantini aveva già compiuto nei confronti dei selvaggi scenari dell’Engadina.
![Figura 6[11997]](https://letterarti.files.wordpress.com/2020/07/figura-611997.jpg?w=736)
Fontanalba e Chiara Pace sono due capolavori appartenenti a questo periodo.
Il primo conclude la serie di opere dedicate all’alpeggio, sul quale Fornara trascorre le estati dal 1903 al 1905, e ritrae un suggestivo dirupo situato nell’omonima località, oggi appartenente al Parc National du Mercantour, nel cuneese: la rada vegetazione e il caratteristico, piccolo lago, rendono l’area immediatamente riconoscibile.
Di realismo ancora maggiore è poi la grande tela intitolata Chiara Pace, del 1903: la figura dell’uomo in primo piano (probabilmente il pittore Gian Maria Rastellini nelle vesti di contadino), assopito all’ombra di alcuni alberi, guida lo sguardo dell’osservatore verso il fondo, dove, “incorniciata” da due sottili tronchi, si apre una straordinaria panoramica del borgo di Craveggia, idilliaco e, allo stesso tempo, quasi primitivo nelle forme geometriche delle architetture.
Con il volgere degli anni Dieci del Novecento si conclude la fase più movimentata e intensa della carriera di Fornara, il quale attesterà la propria produzione successiva sulle caratteristiche tematiche e stilistiche che abbiano fino ad ora individuato. Un altro capitolo della sua vita degno di essere menzionato è costituito dal viaggio in Sud America compiuto fra 1911 e 1912, in occasione del quale ha modo di entrare in contatto con uno scenario naturale completamente nuovo, quello della pampa, fatto di sconfinate pianure e brulle distese: immortala questa esperienza oltreoceano l’opera La conquista della terra, completata nel 1916.
Alla produttiva attività pittorica si affianca, nel corso degli anni, la partecipazione a numerose mostre italiane ed internazionali: nel 1902 Fornara interviene ad un’esposizione organizzata dalla Galleria Grubicy presso il Museo della Permanente di Milano; vi tornerà, ormai artista conosciuto e affermato, nel 1916, quando espone ad una grande antologica con Gaetano Previati. Fra il 1907 e il 1909 aveva presenziato ad alcuni eventi a Parigi, mentre risalgono al 1921 le ultime grandi mostre nazionali alle quali partecipa: la I Biennale Romana e l’Esposizione dei Divisionisti Italiani presso il Museo del Paesaggio di Verbania. La scomparsa di Alberto Grubicy, nel 1922, determina, come era avvenuto con la morte di Segantini, la perdita di un altro punto di riferimento fondamentale e l’artista decide da quel momento di ritirarsi a vita privata. Il sostegno di pochi, affezionati collezionisti gli permetterà di continuare a dipingere e a raffigurare l’amata Val Vigezzo, tenacemente ancorato, nonostante l’avanzare del nuovo secolo e delle sue rivoluzioni, a quelle istanze che avevano segnato uno fra i momenti più prolifici ed interessanti della pittura italiana e del quale, ormai lo possiamo dire, Fornara non fu personaggio secondario e accessorio, ma protagonista dalla singolare individualità.
Chiara Franchi
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