Vi sono alcuni monumenti pubblici dislocati nelle piazze o nelle corti dei palazzi, che fanno ormai parte della nostra quotidianità e, probabilmente, molti di noi hanno avuto modo di vederli almeno una volta. I comaschi, ad esempio, conosceranno bene il monumento a Giuseppe Garibaldi che domina Piazza Vittoria; gli abitanti di Torino, invece, saranno magari abituati alla statua celebrativa situata in Piazza Castello, raffigurante l’Alfiere dell’Esercito Sardo. Ed ancora i cittadini di Airolo, in Canton Ticino, avranno sicuramente presente il rilievo bronzeo che commemora le Vittime del lavoro, situato nella stazione della città, all’ingresso della Galleria ferroviaria del San Gottardo; gli esempi potrebbero essere ancora molti.
Probabilmente è meno noto, invece, il fatto che, dietro a queste e molte altre opere pubbliche ormai iconiche, si celi uno dei più grandi scultori italiani della seconda metà Ottocento: Vincenzo Vela (Ligornetto, 1820 – Mendrisio, 1891).
Le poche opere sin ora citate esemplificano alcuni aspetti che caratterizzarono non solo il percorso creativo dello scultore, ma anche la sua vita privata, come l’impegno politico e civile e il desiderio di partecipare in prima persona agli eventi che segnarono la sua epoca.
Un impegno non scontato, se si considera che Vela era originario di Ligornetto, nei pressi di Mendrisio, una realtà all’epoca piuttosto decentrata e conservatrice; nonostante ciò, gli ideali democratici e anticlericali sostenuti da Mazzini lo avevano raggiunto e affascinato. Ciò lo aveva portato, già nel 1847, a partecipare in prima linea alla guerra del Sonderbund, combattuta in Svizzera fra Cantoni conservatori e Cantoni liberali, seppur cattolici, come il Ticino, dal quale egli proveniva. L’anno successivo, avrebbe invece combattuto al fianco dell’esercito lombardo-piemontese in occasione delle Giornate di Como, durante la prima guerra d’Indipendenza della Lombardia contro il governo austriaco.
Proprio nel suo luogo di origine, il mendrisiotto, Vela era stato avviato, ancora bambino, al mestiere di scalpellino. Una volta adolescente, intorno al 1834, si era poi recato a Milano, per raggiungere il fratello Lorenzo, a sua volta scultore d’ornato: qui aveva proseguito il proprio apprendistato presso la Fabbrica del Duomo. La formazione era quindi continuata con l’iscrizione all’Accademia di Brera, nel 1835, per poi perfezionarsi nell’atelier dell’affermato scultore Benedetto Cacciatori (Carrara, 1793-1871), artista ufficiale di re Carlo Felice di Savoia.
Un percorso articolato e completo, dunque, nel solco soprattutto delle ricerche condotte da Lorenzo Bartolini (Savignano di Prato, 1777 – Firenze, 1850) e dal maestro Cacciatori, fra i primi artisti a coniugare, nelle proprie opere, gli stilemi ancora persistenti del classicismo con la nuova esigenza di realismo che iniziava ad affermarsi, dovuta alle richieste della committenza borghese e dalla volontà di avvicinare l’arte a tematiche più sociali e vicine al popolo.

Una delle prime opere di Vela, La preghiera del mattino (1846), aveva suscitato grande clamore proprio per la sua incredibile adesione al reale. L’opera era stata commissionata dal Conte Giulio Litta per la propria dimora milanese e raffigura una giovane, a grandezza naturale, intenta alle preghiere mattutine: il cuscino su cui poggia la fanciulla e la camicia da notte che indossa, rifinita sin nei minimi dettagli, non lasciano dubbi riguardo l’azione da lei compiuta. La scultura, dal soggetto popolare e inconsueto, sembra tradurre nel marmo alcuni esiti della contemporanea pittura romantica di Francesco Hayez (Venezia, 1791 – Milano, 1882), a sua volta grande protagonista della fase risorgimentale.
I valori emblematici del Risorgimento, come la libertà e il riscatto dalle prevaricazioni per i quali Vela si era battuto in occasione della già citata Guerra di Como, trovarono concretizzazione, qualche anno più tardi, in una delle sue opere più significative, Spartaco, la cui versione in marmo – il gesso era stato completato nel 1847 – venne esposta a Brera nel 1851, consacrando la fama dello scultore nel panorama culturale milanese. L’opera, che, oltre a simboleggiare i principi più prossimi agli ambienti liberali, costituiva per lo scultore la prova della sua abilità di cimentarsi anche nel tema del nudo, per di più colto in una posa assai dinamica, raffigura naturalmente Spartacus, lo schiavo che guidò la celebre rivolta degli schiavi scoppiata a Roma nel I secolo a.C.

L’anno successivo, lo scultore si stabilì nella più liberale Torino e diede inizio alla lavorazione del monumento dedicato a Gaetano Donizetti (Bergamo, 1797 –1848), completato nel 1855 e collocato nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a Bergamo. Per celebrare il grande compositore, Vela scelse in questo caso un’allegoria, genere poi praticato in numerosi altri casi: la parte superiore del cenotafio è occupata infatti da una giovane donna, a grandezza reale, abbigliata con una tunica e reggente una lira fra le mani: si tratta della raffigurazione simbolica dell’Armonia, volta ad esaltare, mediante una figura umana, resa con grande naturalismo e con abbondanza di dettagli, le grandi doti del musicista.

In Piemonte iniziò la fase più prolifica e matura della carriera di Vela, diviso tra la docenza di Scultura all’Accademia Albertina e importanti commissioni pubbliche e private, soddisfatte grazie alla vivace attività dei tre atelier da lui gestiti. Nella città sabauda, fra il 1857 e il 1859, lo scultore portò a termine il monumento all’Alfiere, offerto dal popolo milanese all’esercito piemontese, il quale, di lì a poco, dopo le vittorie di Palestro e Magenta, avrebbe liberato la Lombardia dall’occupazione austriaca, dando avvio alla Seconda Guerra d’Indipendenza. L’Alfiere venne raffigurato nell’atto di brandire la bandiera nazionale con fare eroico; il volto, l’abbigliamento e i dettagli minuziosi avvaloravano la fedeltà alla tendenza verista e naturalista ormai fermamente perseguita dallo scultore.

L’adesione alla causa risorgimentale proseguì e trovò conferma nello straordinario monumento a Camillo Benso Conte di Cavour (Torino, 1810 – 1861), il primo in assoluto a lui dedicato in Italia, commissionato dalla Borsa Merci di Genova.
Lo statista, che Vela aveva avuto modo di conoscere di persona, durante il suo soggiorno torinese, venne ritratto seduta in una poltrona, in una posa assai informale, abbigliato secondo la moda borghese del tempo. Di nuovo, colpiscono l’assoluta attenzione alla resa dei particolari, l’accuratezza del ritratto del volto e, soprattutto, la sua espressione pensosa e, al tempo stesso, arguta; ritornava qui una delle qualità più peculiari della scultura di Vela, la capacità pressoché unica di “animare” i suoi soggetti, già assai realistici, facendo trapelare le caratteristiche psicologiche e interiori.
Le prestigiose committenze e i successi che ne derivarono culminarono nel trionfo all’Esposizione Universale di Parigi, nel 1867. In seguito all’esperienza francese e conclusasi la più entusiasmante fase risorgimentale, Vela tornò a Ligornetto, nella sontuosa villa fatta edificare da Cipriano Ajmetti, architetto della Corte Sabauda. La dimora venne ideata ed elaborata dallo stesso scultore non solo per essere un’abitazione privata, ma anche un luogo avente la funzione di atelier e, soprattutto, uno spazio espositivo delle proprie opere, in largo anticipo sui tempi futuri e sui più tardi modelli di “casa-museo” d’artista.
Il ritorno nel luogo di origine, più decentrato e lontano dai fermenti che avevano animato il Risorgimento lombardo e piemontese, non influì sulla qualità e sui soggetti della produzione degli anni Ottanta, che continuò a prediligere i nuovi “eroi” della contemporaneità, nel segno di un ancora più marcato verismo, quasi brutale, ad esempio, nel rilievo di denuncia sociale Le vittime del lavoro. Presentata al pubblico in occasione dell’Esposizione Nazionale Svizzera del 1882, l’opera venne eseguita da Vela di propria spontanea iniziativa, per commemorare i minatori deceduti durante i lavori di scavo della Galleria ferroviaria del San Gottardo.

Gli ultimi monumenti pubblici furono dedicati ad altri grandi protagonisti dell’epoca risorgimentale: Agostino Bertani (1887), il medico che contribuì a organizzare le Cinque Giornate di Milano e le imprese garibaldine e, infine, lo stesso Giuseppe Garibaldi (1889), ritratto in una grande opera pubblica che celebrava le sue gesta durante le Giornate di Como. La figura del generale, inconfondibile nei tratti somatici e abbigliato con il tipico poncho sudamericano, si staglia su un alto podio: su un lato di esso, è possibile ammirare un bassorilievo raffigurante la Resa della caserma di San Francesco, vero e proprio esempio di virtuosismo scultoreo. Il tricolore adagiato sui gradini della base completa l’opera, dal marcato spirito eroico e patriottico.

Dopo la scomparsa di Vincenzo Vela, il figlio Spartaco (Torino, 1853 – Ligornetto, 1895), pittore, decise, seguendo le volontà del padre, di donare il complesso della Villa alla Confederazione Elvetica, la quale, nel 1898, aprì l’edificio al pubblico, permettendo così la fruizione non solo dell’atelier e del museo privato, ma anche degli ambienti abitativi, impreziositi da esemplari di arredamento scolpiti dallo stesso artista, come la virtuosistica Specchiera per camino, interamente lavorata in marmo, e del grande parco, comprendente un giardino all’italiana, uno all’inglese e un agrumeto.Ristrutturato dall’architetto svizzero Mario Botta (Mendrisio, 1943) nel 2001, il Museo Vincenzo Vela di Ligornetto è oggi un importante punto di riferimento per la vita e l’attività culturale del Canton Ticino. Sono numerose le raccolte lì conservate ed esposte al pubblico: oltre alla significativa gipsoteca, è possibile ammirare la collezione di scultura ornamentale di Lorenzo Vela, una selezione di dipinti dell’Ottocento lombardo e piemontese, il più antico archivio fotografico esistente nella Confederazione Svizzera e una selezione di progetti e opere grafiche dello stesso Vela e di altri artisti suoi contemporanei.
In occasione della celebrazione dei duecento anni dalla nascita dello scultore, lo scorso ottobre è stata inaugurata al Museo Vincenzo Vela la mostra “Poesia del reale”, a cura della Direttrice Gianna A. Mina, in collaborazione con Marc-Joachim Wasmer e Thilo Koenig. L’esposizione costituisce un approfondimento della collezione permanente conservata all’interno della Villa e, attraverso una selezione di più di trecentocinquanta esemplari, fra modelli e bozzetti, calchi, fotografie e disegni, narra le vicende biografiche e professionale di Vincenzo Vela. L’itinerario così delineato mette in risalto la capacità dello scultore di porre il proprio talento artistico al servizio dei più alti valori della sua epoca, il suo impegno su molteplici fronti, non ultimo quello didattico, la sua grande abilità di trasferire nel marmo non solo i tratti e i costumi delle persone da lui effigiate, ma anche le qualità più intime, coniugando, come suggerisce il titolo della mostra, realtà visiva e poesia interiore.
Chiara Franchi
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