A cosa serve Michelangelo?… e la storia dell’arte?

“La vicenda del crocifisso cosiddetto «di Michelangelo» acquistato dallo Stato italiano è una metafora perfetta del destino dell’arte del passato nella società italiana contemporanea. Strumentalizzata dal potere politico e religioso, banalizzata dai media e sfruttata dalle università, la storia dell’arte è ormai una escort di lusso della vita pubblica”.


Queste sono le parole che si possono leggere sulla copertina di un libro bellissimo e insieme inquietante e triste pubblicato nel 2011 da Tomaso Montanari e che si intitola A cosa serve Michelangelo. Con mio dispiacere sono riuscito a leggerlo solo di recente ed è stato per me illuminante. Il libricino di 129 pagine è edito per i tipi di Einaudi e costa 12 euro. Soldi mai come in questo caso molto ben spesi. Il libro è una panoramica impietosa quanto il più oggettiva possibile di una vicenda che ha dell’assurdo. Lo storico dell’arte parte dal racconto della compravendita da parte dello stato italiano di una piccola scultura in legno attribuita da un manipolo di “storici dell’arte” a Michelangelo Buonarroti. Proprio per l’eccezionalità dell’attribuzione un team guidato da alcuni membri del comitato tecnico scientifico (una dicitura che in questi mesi abbiamo sentito tante, forse troppe volte) del Mibact, il Ministero per i Beni e le attività culturali e del turismo, ha deciso per l’acquisizione della piccola scultura per l’esorbitante cifra di tre milioni e duecentocinquanta mila euro spesi con i soldi pubblici. Dico esorbitante perché di Michelangelo quel crocifisso non ha assolutamente nulla.

Fig. 1. Copertina del libro.

La piccola statuina sarebbe da attribuire molto più verosimilmente (confronti alla mano) ad un anonimo intagliatore ligneo della prima metà del ‘500 e non sarebbe affatto un unicum ma un pezzo seriale, vale a dire un prodotto di una lunga serie di esemplari simili o molto simili tra loro, di cui sembra ne esistano in circolazione ben undici esemplari, forse qualcuno in più, forse qualcosa in meno. Cosa più tremenda è che la versione oggi esposta al Museo Nazionale del Bargello a Firenze non sarebbe nemmeno quella di migliore qualità. Sta di fatto che il crocifisso «di Michelangelo» è stata una sorta di grande truffa ai danni del Mibact ma soprattutto di noi contribuenti. Lo stato italiano avrebbe acquistato quel manufatto perché convinto (si ma da chi?) che la statua rappresentasse un bene culturale da vincolare e quindi da dichiarare di notevole interesse storico e artistico. Lo si è vincolato senza aspettare il parere di una commissione super partes, senza organizzare un convegno al quale potessero partecipare i veri esperti dell’artista toscano, senza aspettare i tempi della ricerca scientifica seria, a scapito invece della superficialità e della spettacolarità della notizia da gossip e da riviste patinate. Quei pochi storici dell’arte che si erano espressi contrariamente all’acquisto non sono stati ascoltati, complice un mondo, quello degli storici dell’arte, assai corporativo, fazioso e omertoso, un mondo che dovrebbe a sua volta cambiare dall’interno e che meriterebbe senz’altro un apposito approfondimento. Montanari nel suo libro prova un poco a raccontarlo senza però riuscire a fornire delle concrete via d’uscita. Ma il discorso ci porterebbe lontani e non c’è spazio sufficiente: torniamo al nostro crocifisso. Lo si è vincolato con un nome altisonante senza avere il tempo di mettere a confronto il presunto nuovo e di “suprema bellezza” Michelangelo con altre sculture dell’artista, senza avere il tempo di fare degli oggettivi confronti stilistici che permettessero ai veri storici dell’arte, di poter avvalorare o meno un’attribuzione fatta solo dalla fretta di vendere (da parte di un importante mercante-antiquario di Torino) e dalla smania di comprare (lo stato italiano in questo caso), un’opera di dubbio gusto e dubbia provenienza tra le altre cose. La vicenda si è spesa non dentro il mondo della cultura, ma dentro il mondo delle testate giornalistiche apparentemente più accreditate ma che sostanzialmente non hanno fatto altro che alimentare una ignobile bufala! Perché ormai la storia dell’arte è diventata questa, una escort di lusso della vita pubblica come afferma Montanari.

Fig. 2. Anonimo intagliatore fiorentino, (già attribuito a Michelangelo Buonarroti) Crocifisso (Gallino), 1495-1497 circa, Firenze, Museo Nazionale del Bargello.

Una volta scoperta la bufala, alcuni storici dell’arte che in un primo momento avevano avvalorato l’attribuzione della scultura a Michelangelo sono tornati sui loro passi, ma ormai era troppo tardi. Data la sensazionalistica notizia su numerosissimi quotidiani nazionali e anche alcuni internazionali, la piccola statuina è partita alla volta di una tournée in giro non solo per l’Italia ma anche per l’Europa un po’ come fanno le star della musica oggi giorno. Il crocifisso è stato esposto in chiese, musei, luoghi della politica come la sala attigua al Senato della nostra Repubblica, il tutto con l’avvallo di politici, ministri, segretari, alti prelati, perfino con il bene placito di papa Benedetto XVI. Il crocifisso è stato esposto come le squillo che si vedono nelle vetrine di Amsterdam, come una prostituta! Con l’amara conseguenza di averne danneggiato il suo buono stato di conservazione, robe da matti! Montanari fa nomi e cognomi di chi è coinvolto in questa faccenda, come abbiamo già in parte accennato, si tratta di ministri dei beni culturali, politici, alti prelati, un Papa addirittura, storici dell’arte di navigata esperienza, mercanti d’arte un poco senza scrupoli, funzionari di soprintendenza, tutti a vario titolo coinvolti in questa losca faccenda che nulla ha a che vedere con la vera storia dell’arte, ma che all’occhio attento sembra proprio essere stata una questione beceramente mercantile e di marketing. Nei vari carteggi ministeriali si legge che la scultura sarebbe stata utile al fine del suo prestito come opera di Michelangelo in mostre dedicate all’artista fuori dall’Italia, una merce di scambio per assicurare prestigio all’Italia. Si legge ancora che data la sua buona conservazione sarebbe stato preferibile prestare il crocifisso rispetto ad altre opere di Michelangelo decisamente più fragili. Un acquisto, quello del presunto crocifisso di Michelangelo, da usare come merce di scambio tra i vari musei internazionali in cambio del quale il nostro bel paese avrebbe avuto prestigio e un tornaconto economico ben più misero di quanto ci si aspettasse nella realtà, insomma uno squallore. La vicenda è così ben raccontata nel libretto di cui stiamo parlando che lascio al lettore il (dis)piacere di leggere l’intera faccenda direttamente dalle parole di Montanari e di farsi venire, com’è venuto a me, l’amaro in bocca.

Fig. 3. Michelangelo Buonarroti (attribuito a), Crocifisso, 1493 circa, Firenze, Santo Spirito, sacrestia.

Lo storico dell’arte procede poi nel riflettere su un mondo, quello della storia dell’arte, troppo trascurato da tantissime istituzioni a cominciare dal Mibact stesso ma anche e soprattutto dalle università e più in generale dal mondo della scuola. Se si verificano tali ignobili operazioni come quello dell’acquisizione della statuetta «di Michelangelo» è anche perché la gente comune tende a non interessarsi più di queste questioni che gli sembrano lontane dal loro vivere quotidiano. Tutto ciò è causato dalla trascuratezza con cui nelle nostre scuole (medie e superiori) viene trattata la storia dell’arte, sempre più relegata a materia marginale e di poco conto. In alcuni istituti poi la storia dell’arte non viene nemmeno più insegnata, complice l’orripilante riforma della scuola proprio guarda caso, del 2011. In alcune scuole medie invece la storia dell’arte è confinata a pochissimi minuti alla settimana a scapito delle ore di disegno: poveri noi! Più in generale, vorrei aprire qui una breve riflessione sul ruolo che gioca o meglio che dovrebbe giocare l’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole italiane. Si è ormai convinti che la storia dell’arte non serva a nulla, il che non potrebbe essere più sbagliato. Studiare storia dell’arte a scuola fin da ragazzi (penso alle scuole medie e superiori), serve anzi tutto per imparare che cos’è la bellezza e serve anche a imparare un modo di pensare, di agire, di essere cittadini consapevoli e informati, cosicché quando accadono queste ingiustizie i cittadini non si girano dall’altra parte obnubilati dalla loro ignoranza. La storia dell’arte serve per imparare a essere liberi, di pensare, di conoscere e di agire in conseguenza del proprio sapere, del proprio essere informati su ciò che ci circonda. La storia dell’arte è una disciplina viva e attuale che oltre a regalare piacere a chi la studia permette di imparare a leggere le opere d’arte quando si va a vedere una mostra, si entra in una chiesa, si visita un parco archeologico. La storia dell’arte permette quindi la conoscenza della nostra cultura, del nostro patrimonio culturale, ci permette di sapere attraverso il passato quello che siamo oggi; è attraverso quella conoscenza che noi siamo in grado di pensare, di riflettere, di non farci abbindolare da eventi futili, superficiali, rischiosi e dannosi per la spesa pubblica. L’arte così come la storia dell’arte non sono aspetti slegati dalla vita quotidiana, non servono a evadere dalla durezza della vita di tutti i giorni, sono strumenti che ci consentono di vivere meglio e di essere persone, prima ancora che qualunque altra cosa, informate su ciò che ci circonda, ci permette di avere consapevolezza di chi siamo e di chi eravamo. E non mi sembra che ci sia scopo più nobile di questo: la storia dell’arte ci insegna a vivere e a essere persone migliori. La storia dell’arte si affianca poi, è bene chiarirlo, a tante altre discipline tra cui la letteratura, la storia, la filosofia, ma più semplicemente ci dovrebbe insegnare a leggere il più possibile non solo di arte, ma a leggere i quotidiani in particolare gli inserti di cultura, dovrebbe metterci nella condizione di ampliare quanto più possibile i nostri orizzonti culturali, letterari, finanche politici, facendoci conoscere nuovi artisti, nuove opere, nuovi musei, nuove chiese, nuovi scempi edilizi, nuove ingiustizie, nuovi aspetti del sapere inteso nella sua più ampia veste, dovrebbe metterci in grado di conoscere sempre di più, perché solo se si conosce si è in grado di capire i danni che spesso e volentieri gente senza conoscenza si permette di provocare al nostro patrimonio culturale e di passarla liscia.

Fig. 4. Copertina del catalogo di presentazione del presunto Crocifisso attribuito a Michelangelo Buonarroti.

Montanari nell’affrontare l’aspetto dell’insegnamento della storia dell’arte nelle università e nella scuola fa un ragionamento assai importante. Da qualche decennio a questa parte c’è stato un proliferare di facoltà apparentemente professionalizzanti (ma che di fatto è bene dirlo, non lo sono affatto, anzi), che hanno però progressivamente slegato il mondo della storia dell’arte da quello della letteratura, della filosofia, della storia. Questo ha comportato il fatto che le facoltà di Lettere venissero separate da quelle legate ai Beni Culturali. Le facoltà di Beni Culturali hanno progressivamente abbandonato le discipline umanistiche a favore di presunte materie, appunto professionalizzanti come il management, il marketing, il diritto e l’economia legato alle Aziende Culturali (una bestemmia, lasciatemelo dire). Ecco allora che sono fioriti come funghi o come parassiti, che è a dir meglio, master organizzati dalle case editrici che spesso realizzano dal nulla mostre Blockbuster senza un minimo di ricerca scientifica alle spalle, ma solo con lo scopo di fare cassa, con la promessa di fornire allo studente che si iscrive, pagando qualche migliaio di euro, strumenti volti alla realizzazione di una mostra d’arte. Si promette al giovane sprovveduto una carriera come curatore di mostre ed eventi in cambio della sua ignoranza in campo critico e storico artistico. Perché diciamocelo chiaramente chi studia in queste pseudo facoltà non ha e non può avere una serie formazione storico artistica! Questi master, queste facoltà spesso legate non più al mondo degli studi umanistici ma alle facoltà di Economia stanno distruggendo un mondo fatto di conoscenze in favore di un mondo fatto di apparenze e superficialità. E poi ci si chiede perché avvengano certe cose! La banalità del Male vien da dire!! Questo effetto si ripercuote nel mondo della cultura e dei musei. Oggi i direttori dei cosiddetti “super musei” non sono più degli storici dell’arte ma dei manager con “comprovate” capacità dirigenziali di diritto e soprattutto di economia, che trattano i musei alla stregua di aziende commerciali che per sopravvivere devono fatturare, cioè produrre utili. Il patrimonio culturale che dovrebbe essere di tutti è usato da pochi per pochi, come merce per fare cassa, per produrre utili. Invece di preservarle dalla distruzione e dalla rovina, le opere d’arte vengono usate come merce di scambio per mostre inutili e dannose, vengono fatte uscire dal nostro paese per partecipare a mostre internazionali prive di reali fini culturali e scientifici; in cambio lo stato italiano che ormai ha venduto l’anima al diavolo, percepisce un obolo, ossia un pagamento in denaro che spesso si attesta su qualche migliaio di euro, a fronte del rischio altissimo del loro danneggiamento, cosa che avviene quasi sempre e con il bene placito di istituzioni museali, ministeri dei Beni Culturali e Università. Così la cultura, l’arte si svilisce per le luci della ribalta e null’altro. Oggi questi master e queste facoltà di economia dei beni culturali insegnano a trattare l’arte come una merce o come bene monetario tralasciando del tutto l’aspetto culturale e storico dell’opera d’arte stessa. Ecco che allora avremo manager e mercanti capacissimi ma ignoranti dal punto di vista della loro preparazione storico artistica e che non sono più in grado di riconoscere una scultura prodotta in serie da un autentico Michelangelo. Avremo direttori di musei avvezzi a maneggiare il denaro ma non a maneggiare il linguaggio della conservazione, della tutela e per estensione della conoscenza in abito storico artistico. Avremo abilissimi politicanti e sempre meno storici dell’arte capaci di porre rimedio agli scempi delle politiche del marketing e del management: una disgrazia!

Fig. 5. Tomaso Montanari.

Come poter mettere un fine a tutto questo si chiede ancora Montanari alla fine del suo libro? La risposta è talmente semplice da essere dannatissimamente difficile da realizzare. Occorre far ritornare la storia dell’arte o meglio l’insegnamento della storia dell’arte all’interno delle facoltà di Lettere e abbandonare o meglio disertare i master e le pseudo facoltà di diritto, di economia, di marketing e di management legate ai beni culturali. L’arte non deve essere trattata come merce, il denaro dev’essere speso per le opere d’arte, per la loro conservazione, protezione e tutela, perché fare cultura se fatta bene non può produrre soldi né ora né mai, ma deve far spendere soldi! Occorre che prima di ogni altra cosa lo studente impari a studiare che le opere d’arte sono strettamente collegate alla storia, alla letteratura, alla filosofia, alle materie umanistiche e non al mondo della finanza come ormai siamo un po’ tutti portati a credere ahinoi! Per fare ciò la storia dell’arte dev’essere insegnata come si deve fin da ragazzi, a cominciare dalle scuole medie. E poi dev’essere ripristinato l’insegnamento della storia dell’arte anche in quegli istituti tagliati fuori della “riforma” del 2011. Solo se sapremo mettere in campo un comportamento virtuoso a comunicare dal mondo delle università e della scuola si potrà porre rimedio a uno scempio che per il momento non ha nessuna intenzione di finire.

Marco Audisio

Per conoscere più succulenti dettagli di questa bieca vicenda, oltre a leggere il libro di Montanari allego qui di seguito un link che rimanda ad un articolo online scritto dallo stesso storico dell’arte e pubblicato sul sito del giornale “Il Fatto Quotidiano”
https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/20/finto-michelangelo-acquistato-dallo-stato/192454/

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