Storie e Segreti del mercato dell’arte. Un mondo destinato forse a rimanere intangibile e inconoscibile per davvero.

Lo storico dell’arte, nonché direttore del Museo Bernareggi di Bergamo e curatore della mostra su Simone Peterzano andata in scena nelle sale dell’Accademia Carrara lo scorso autunno (si fa per dire, data l’emergenza sanitaria scoppiata poco dopo l’apertura della mostra), Simone Facchinetti, nel 2019 ha pubblicato per i tipi de “Il Mulino”, un libro che si intitola Storie e Segreti del Mercato dell’arte. Il libro è composto da 229 pagine e costa 15 euro.

Il volume riunisce tutta una serie di interventi che Facchinetti ha pubblicato su diverse riviste specialistiche, legate ovviamente al mondo della storia e del mercato dell’arte. Il libro è diviso in quattro parti, rispettivamente Attribuire, Vero o Falso?, Il mondo dei collezionisti: in pubblico e in privato, il valore delle opere d’arte e le montagne russe del mercato. In queste parti del libro lo storico dell’arte prova a districare un bandolo della matassa davvero affascinante e complesso come quello del mercato dell’arte. È un mondo quello del mercato dell’arte che Facchinetti sembra conoscere come le sue tasche; né conosce infatti i retroscena, le attribuzioni imprecise ed errate, ne critica i meccanismi a volte perversi e dediti allo spreco di denaro. Racconta un mondo difficilmente accessibile ai non addetti ai lavori, compresi numerosissimi storici dell’arte e questo è assolutamente un punto di forza del libro. Tuttavia ritengo di dover affermare fin da subito che il risultato che l’autore si è prefissato non è stato pienamente raggiunto. Lo storico dell’arte si sofferma troppo a lungo su alcuni aspetti che difficilmente si possono conoscere se non vengono raccontati e pienamente esemplificati da chi li sta scrivendo, in questo caso Facchinetti. La sensazione che ho avuto leggendo questo interessantissimo libro è stata quella di una intenzionalità nel non rendere pienamente accessibili le pagine che stavo leggendo. Il libro è infatti infarcito di aneddoti anche biografici (dell’autore) non pienamente raccontati, di attribuzioni non chiaramente svelate, di questioni non sufficientemente esemplificate. Ciò può essere dettato dal fatto che questi interventi nascono per riviste specialistiche, con un taglio tipico dell’articolo di giornale, il che non li deve rendere comprensibili ad un vasto pubblico, ma evidentemente soltanto agli specialisti che di quegli aneddoti sanno già tutto o quasi. Tuttavia dato che si è voluta dare una nuova vita a questi testi, pubblicandoli cioè in un libro che ci si aspetta sia venduto ad un ampio pubblico di lettori, sarebbe stato il caso, forse, di ampliarli un poco di più, rendendoli forse meno oscuri ad un pubblico di non specialisti, che ripeto possono tranquillamente essere anche degli storici dell’arte che magari, come il sottoscritto, non masticano a colazione, pranzo e cena argomenti strettamente legati alla compravendita di opere d’arte sul mercato dell’arte. Anche il linguaggio utilizzato non è sempre dei più chiari. I testi sono scritti con linguaggio accessibile che però è solo apparente, poiché se poi il lettore cerca di andare fino in fondo per capire un mondo del quale vuole saperne di più e che il libro si prefigge come scopo quello di accontentarlo, il lettore ne rimarrà un poco deluso. Certe questioni attributive, certi aneddoti autobiografici sono destinati a rimanere chiari solo nella mente di chi li ha scritti o di chi li ha vissuti in prima persona: in questo caso lo si ribadisce, l’autore del libro stesso.

Fig. 1. Copertina del libro.

All’inizio del libro Facchinetti si propone di spiegare al lettore i misteri che stanno dietro una attribuzione partendo da alcuni esempi di grandi storici dell’arte del passato come Giovanni Morelli o Giovanni Battista Cavalcaselle, tuttavia una volta che il discorso arriva alla fine, il lettore non credo che sappia ancora che cosa sia e come si fa un’attribuzione. Si potrebbe obiettare che il lettore non potrà mai conoscere questo tipo di strumento nelle mani degli storici dell’arte perché non è il suo mestiere, ma allora non capisco perché cercare di spiegarglielo per poi non arrivare fino in fondo in modo chiaro ed esaustivo. Lo storico dell’arte afferma all’inizio del volume che fare un’attribuzione è una pratica vista come una sorta di stregoneria, ma che in realtà è il risultato di anni e anni di studio sulle opere d’arte, ma se poi non si dà al lettore la lente o la chiave di lettura entro cui capire questa stregoneria, questo fenomeno, tale costrutto gli rimarrà oscuro esattamente come quando ha iniziato a leggere il testo. E i buoni propositi vanno sfumando nell’incomprensione. Semplificando troppo il rischio è infatti quello di non rendere pienamente chiaro ciò che si ha intenzione di dire. Questo è il mio modestissimo parere.

Fig. 2. Lo storico dell’arte, direttore del Museo Bernareggi di Bergamo, Simone Facchinetti.

Se la pratica sciamanica, occulta, o esoterica dell’attribuzione non riesce a mio avviso ad essere esemplificata nel migliore dei modi, ci sono tuttavia brani di notevolissimo interesse, come ad esempio, le pagine relative ad alcuni storici dell’arte e grandi conoscitori e attribuzionisti come Giovanni Morelli e Luciano Bellosi. Bellissime le pagine dedicate a Filippo Maria Ferro uno psichiatra imprestato alla storia dell’arte, e per fortuna verrebbe da dire. Tuttavia anche in questo caso il rapporto tra Ferro e Facchinetti raccontato nelle pagine del libo suona più come una sorta di celebrazione che non una vera e propria esemplificazione di un metodo scientifico nel rapportarsi e nell’indagare la storia dell’arte e le opere che ne fanno indissolubilmente parte. Anche nel raccontare la sua caccia all’archivio Longhi o la sua permanenza nella casa della grande storica dell’arte Mina Gregori (una delle pochissime allieve ancora in vita di Roberto Longhi), la narrazione ha più l’aria dell’aneddoto fine a se stesso che non quello di un ipotetico insegnamento. Forse è questo il vero scopo del libro e chi scrive non ha capito niente, tuttavia ritengo che se si scrive e soprattutto si pubblica un libro, questo deve avere il preciso compito di insegnare qualcosa, anche gli aneddoti devono essere il principio di qualcosa di altro che non sia la celebrazione fine a sé stessa. Nel tentare di descrivere un mondo sconosciuto a molti si dovrebbero fornire delle chiavi di lettura per decifrare quel tipo mondo. Gli aneddoti descritti così come sono avvenuti e poco altro non contribuisce, per quanto sia apprezzabile la penna dello storico dell’arte, ad ampliare la conoscenza di quello stesso mondo che è destinato a rimanere una bolla per pochi addetti ai lavori.

Fig. 3. Alessandro Rosi, Allegoria dell’amor di virtù, già Monaco, Neumeister. Questa è una delle tante opere discusse nel libro di Facchinetti, scelta a titolo puramente esemplificativo.

Anche nella descrizione delle magnifiche collezioni di grandi figure di collezionisti contemporanei come Massimo Firpo, Gimmo Etro, Marco Voena, o Luigi Koelliker, viste di persona da Facchinetti, si ha l’impressione che il racconto sia steso con l’unica o quasi finalità di far vedere, come in una vetrina, un ambito al quale o si appartiene oppure è destinato a rimanere luccicane ma intangibile, abbacinante ma inconoscibile per davvero. Non si fraintenda, il libro di Facchinetti ha sicuramente il merito di portare alla luce un mondo del quale il lettore medio non ha nessuna coscienza, ma se si va oltre a quella superficiale conoscenza, a quelle regole del gioco che lo animano e che, diciamolo, mi sono rimaste in parte oscure, ci si rende conto che quello stesso mondo è descritto in modo non totalmente trasparente e che c’è e ci sarà sempre qualcosa che al lettore medio, ma anche allo storico dell’arte non specialista di questo tipo di ambito, non è dato di sapere, di conoscere, di vedere fino in fondo. Forse non è il modo con il quale viene raccontato da Facchinetti, forse quel mondo non è semplicemente esprimibile con chiarezza a parole o con aneddoti semplicemente perché per capire quel mondo bisogna esserci dentro, bisogna conoscerne le dinamiche profonde, le regole del gioco. Chi lo sa!?

Fig. 4. Andrea Pozzo, San Tommaso, già Genova, Cambi. Questa è un’altra delle tante opere discusse nel libro di Facchinetti, scelta a titolo puramente esemplificativo.

Scorrono sotto gli occhi del lettore opere d’arte interessatissime, dalla tavoletta raffigurante un San Rocco riconducibile al pittore ligure/lombardo Carlo Braccesco (uno dei risarcimenti di Longhi) alla splendida tela con San Tommaso di Andrea Pozzo fino all’Allegoria dell’amor di Virtù di Alessandro Rosi, che proprio grazie e in virtù del fatto di essere passate sul mercato dell’arte e quindi presso importanti e meno importanti case d’asta italiane o straniere, gli storici dell’arte, i conoscitori, hanno potute conoscere e studiare, e così facendo chiarirne al meglio le attribuzioni. Attribuzioni fatte il più delle volte dalle stesse case d’asta per il solo scopo di vendere al meglio quell’opera piuttosto che quell’altra. È impossibile in questo poco spazio a mia disposizione elencarle, rimando perciò alla lettura sicuramente interessante del volume di Facchinetti che pur con qualche criticità ha il grande pregio di aprire un poco la porta verso un mondo che altrimenti sarebbe rimasto nell’oscurità più totale.

Marco Audisio

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