Sulle orme di Dada, verso il mondo contemporaneo

“Neo dada”, “Nouveau réalisme”, “À 40° au-dessus de Dada”, “The Art of Assemblage”: non siamo negli anni Venti, ma a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta e quelli appena citati sono i nomi di alcuni dei principali movimenti ed eventi artistici che segnarono l’arte occidentale di quei decenni. Già questo elenco, pur nella sua brevità – sebbene si riferisca ad accadimenti che si concentrarono nell’arco di pochi anni – rende l’idea di ciò di cui abbiamo avuto modo di discutere in alcuni dei precedenti articoli, ovvero di come le sperimentazioni condotte nel contesto delle avanguardie storiche, più precisamente in ambito cubista, dada e surrealista, impressero un cambiamento radicale nel modo di fare e di guardare all’arte, che avrebbe segnato tutto il XX secolo. All’origine di questi importanti trasformazioni si situano in particolare le nuove tecniche del collage, del fotomontaggio, dell’assemblage o del ready made.        
Una breve disamina sul contesto che caratterizzava i circuiti artistici negli anni Cinquanta aiuta a comprendere la genesi della riscoperta di questi linguaggi. Ciò che si presentava era innanzitutto una mutata geografia, anche in ambito culturale: l’emergere di nuove spinte durante gli anni tra le due guerre aveva contribuito infatti a spostare gli equilibri dall’Europa agli Stati Uniti, in particolare a New York, città nella quale si erano per altro stabiliti diversi artisti europei: fra gli altri, Marcel Duchamp, Man Ray, Salvador Dalì e André Breton.
Proprio negli Stati Uniti, nel corso degli anni Cinquanta, si era affermato un nuovo linguaggio artistico, esclusivamente pittorico, che il critico d’arte Harold Rosenberg (New York, 1906 – 1978) aveva denominato Action Painting e che aveva fra i massimi esponenti Jackson Pollock (Cody, 1912 – Long Island, 1956). Il nuovo stile, la cui peculiarità era la tecnica del dripping, con cui il colore veniva scagliato o fatto gocciolare sulle tele, aveva fra i propri fondamenti il rifiuto del figurativismo e l’utilizzo della pittura come mezzo per esprimere la propria interiorità, con un utilizzo del colore in modo astratto e antinaturalistico. Caratteristiche, queste, che si contrapponevano decisamente all’esaltazione dell’oggetto reale situata, ad esempio, alla base dei ready-made.            
Con il progredire del decennio, tuttavia, l’immaginario collettivo, soprattutto nella società americana, si identificava sempre più nei prodotti commerciali e nelle nuove icone del consumismo, ampiamente divulgati dai mass-media. A questo nuovo clima iniziarono ad attingere anche alcuni artisti, interessati a creare un legame diretto con la società contemporanea. Si assistette dunque al ritorno a idee e tecniche già ampiamente sperimentate dalle avanguardie storiche, basate sull’inclusione nelle opere di oggetti tratti dalla quotidianità.    
Negli Stati Uniti questo rilancio della cultura dell’oggetto, in opposizione all’Action Painting, avrebbe portato alla nascita delle nuove correnti del Neo Dada, che ebbe fra i maggiori esponenti Jasper Johns (Augusta, 1930) e Robert Rauschenberg (Port Arthur, 1925 – Captiva Island, 2008), e della Pop Art. In Europa, un analogo rifiuto delle tendenze anti-figurative sfociò nel movimento del Nouveau Réalisme.       

Fig.1. Jasper Johns, Three flags, 1958, New York, Whitney Museum of American Art

L’attività di Jasper Johns è principalmente legata alla pittura: egli si concentra sulle icone della società e della cultura americane più vicine al popolo, riproducendole minuziosamente. In questo caso, la materia prevale sul significato e sull’identità dell’oggetto, tanto che, nonostante l’evidente aderenza alla realtà, le opere dell’artista possono essere assimilate anche all’astrattismo.
Il più celebre fra i suoi soggetti è la bandiera statunitense, protagonista di una popolare serieche Johns avviò alla fine degli anni Cinquanta con l’opera Three flags, costituita da tre tavole di dimensioni diverse raffiguranti il vessillo a stelle e strisce, posizionate una sopra all’altra. Vera protagonista dell’opera non è però la bandiera, ma la pittura stessa, la cui presenza è enfatizzata dall’utilizzo della tecnica a encausto, che conferisce una particolare consistenza al dipinto, quasi a voler travalicare il più possibile il confine tra finzione e mondo reale.
Qualche anno prima, partendo dagli stessi principi, Johns aveva dato avvio all’altrettanto fortunata serie dei bersagli, dipinti sempre ad encausto su tavola, arricchiti con l’aggiunta di calchi in gesso tratti da diverse parti del corpo umano. L’utilizzo della sequenzialità, soprattutto per riprodurre oggetti di comune utilizzo, anticipano i successivi esiti della Pop Art.     
La produzione Robert Rauschenberg risentiva invece dell’influenza della contemporanea Action Painting. Nell’opera Bed (1955), nello specifico, l’artista giunse ad un’interessante fusione tra questa espressione artistica e la più pura poetica dada. L’opera consiste infatti in un vero letto, una sorta di ready-made, issato verticalmente sulla parete; la parte superiore è coperta da rivoli di colore fatto colare dall’alto, utilizzando la tecnica del dripping. Si tratta di un tratto che distingue la maggior parte dei prodotti del nuovo dadaismo da quello storico: mentre, in quel contesto, gli oggetti erano semplicemente estrapolati dal loro ambito quotidiano e presentati al pubblico privati della loro funzione, nella produzione delle nuove generazioni assistiamo nella maggior parte dei casi a delle manipolazioni che trasformano gli oggetti stessi.

Fig. 2. Robert Rauschenberg, Monogram, 1958-1958, Stoccolma, Moderna Museet

Di Rauschenberg sono inoltre celebri i cosiddetti Combines, una sorta di sculture che integra oggetti di scarto trovati dall’artista per le strade di New York e superfici pittoriche, come in Monogram, un combine realizzato in più versioni, ottenuto dall’assemblamento della testa di una capra angora impagliata, uno pneumatico e una tavola dipinta.          
Analogamente a quanto accadeva oltreoceano con l’Action Painting, anche in Europa, nel corso degli anni Cinquanta, si era affermato un generale rifiuto nei confronti dell’arte mimetica e dell’idea di pittura come mezzo per riprodurre la realtà visibile. Questi nuovi linguaggi si raccoglievano sotto l’alveo della cosiddetta arte Informale: il concetto di “assenza di forma” era da intendere come la negazione delle consuete tecniche di costruzione dei dipinti, anche quelli astratti.     
Proprio per offrire un’alternativa a questo fenomeno, verso la fine degli anni Cinquanta il critico Pierre Restany (Amélie-les-Bains-Palalda, 1930 – Parigi, 2003) fondò il movimento del Nouveau Réalisme: il gruppo raccoglieva personaggi di diversa formazione e provenienza, dai mezzi e dai linguaggi eterogenei, accomunati però dalla decisa presenza della realtà nelle proprie opere. 

Fig. 3. Arman, Sveglie, 1960, Chicago, The Museum of Contemporary Art

Nonostante la matrice francese, la prima esposizione del gruppo venne allestita alla Galleria Apollinaire di Milano nel 1960, anche se fu la pubblicazione del manifesto teorico Les Nouveaux Réalistes, qualche mese più tardi, a sancirne ufficialmente la nascita. Ai firmatari del manifesto – Yves Klein, precursore della Body Art, Arman, François Dufrêne, Raymond Hains, Martial Raysse, Daniel Spoerri, Jean Tinguely, Jacques Villeglé – si sarebbero aggiunti in seguito altri artisti, che avrebbero gettato le basi dei principali movimenti dei decenni a venire: César, Mimmo Rotella, anticipatore e grande esponente della Pop Art italiana, Niki de Saint-Phalle, Deschamps e Christo, con i suoi grandi interventi di Land Art.
Fra i più vicini al Dada storico, il francese Arman (Armand Pierre Fernandez; Nizza, 1928 – New York, 2005), che esordisce come pittore, a partire dai primi anni Sessanta iniziò a inserire nelle proprie opere materiali di scarto. Prendevano così vita le Accumulations, cumuli, come suggerisce il nome, dello stesso oggetto, la maggior parte delle volte di uso quotidiano, che l’artista disponeva in grandi quantità all’interno di teche trasparenti, oppure immerse nel poliestere.  

Fig. 4. Tinguely, Heureka, 1967, Zurigo, Zürichhorn

Sulla scia della poetica dell’oggetto si collocano anche Tinguely e Spoerri, mentre un nutrito numero di Nouveau Réalistes, che include, Hains, Villeglé e Mimmo Rotella sperimentarono la tecnica del décollage, consistente nello strappare lacerti di immagini, spesso tratte da manifesti cinematografici. L’ispirazione al Dada storico è confermato esplicitamente dal movimento, che intitolerà la propria mostra parigina del 1961 “À 40° au-dessus de Dada”, “40° sopra il Dada”, espressione che cercava di localizzare anche visivamente la posizione del movimento, con i punti in comune e le divergenze, rispetto all’avanguardia che lo aveva preceduto.             

Fig. 5. Piero Manzoni, Merda d’artista, 1961

Per quanto riguarda il caso dell’Italia, oltre al già citato Mimmo Rotella, anche Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano, 1963) può essere collocato assai vicino ai Nouveaux Réalistes, sebbene non vi aderì mai ufficialmente. In ogni caso, l’approccio ironico con cui l’artista affronta temi quali il mito dell’artista e la sacralità della creazione ricordano da vicino la  poetica di Duchamp, alla quale si aggiunge però la critica verso la neonata società dei consumi, che include anche i fruitori dell’arte, e una notevole componente concettuale.     
Facendo proprio il dissacrante principio secondo il quale per dare vita a un’opera sia sufficiente l’intervento dell’artista, tra il 1959 e il 1961, Manzoni produsse uova sode, distribuite poi al pubblico per essere consumate, diede il via alla celebre serie della Merda d’artista, nonché alle Basi magiche, piedistalli che trasformavano in opera d’arte vivente chiunque vi fosse salito. Negando le manipolazioni sugli oggetti operate da altri esponenti Neo-Dada e dal Nouveau Réalisme, nelle opere di Manzoni l’intervento dell’artista è ridotto al minimo.         
Nel 1961, presso il Museum of Modern Art di New York, una grande mostra dal titolo “The Art of Assemblage”, curata da William C. Seitz (Buffalo, 1914 – Charlottseville, 1974), consacrò i due recenti movimenti, mettendo a confronto le ricerche americane con quelle europee e inserendole in una più ampia visione, che aveva come filo conduttore la centralità dei materiali e le sue declinazioni più peculiari i collage e gli assemblage. Appariva chiaro il riconoscimento tributato alle avanguardie storiche, grazie alla presenza, fra gli altri, di tutti i più celebri ready-made di Duchamp e Man Ray, dei merzblid di Kurt Schwitters e dei collage di Gino Severini. Accanto a loro, figuravano gli artisti delle nuove generazioni, come Jasper Johns e Rauschenberg e i Nouveau Réalistes, ma anche esponenti di correnti più vicine all’opposta esperienza dell’Informale, come Alberto Burri.
Come accennato nel corso dell’articolo, il recupero della dimensione oggettuale dell’arte, il ritorno all’utilizzo di tecniche e mezzi che, agli inizi del XX secolo, avevano scardinato i tradizionali dettami che governavano il panorama a culturale, aprì la strada a quei linguaggi che, ormai da qualche decennio, popolano stabilmente il sistema dell’arte. Quando pensiamo ad espressioni come la Pop Art, Body Art, la Land Art, l’arte cinetica o le installazioni e alla loro rilevanza, appare ancora più evidente il ruolo pionieristico delle avanguardie storiche. Per quanto a tratti scioccanti e forse ancora oggi di difficile comprensione, è chiaro quindi come le innovazioni da loro introdotte abbiano contribuito ad imprimere un cambiamento che si estende al di là del solo gusto artistico e che coinvolge pressoché tutte le espressioni della contemporaneità.

                                                                                                                                       Chiara Franchi

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