I sorrisi di Donatello in mostra a Firenze

Ha dell’incredibile la mostra in scena fino al prossimo 31 luglio 2022 a Palazzo Strozzi e al Museo del Bargello a Firenze intitolata Donatello, il Rinascimento, curata da Francesco Caglioti con la collaborazione di Paola D’Agostino (direttrice del Bargello), Laura Gavazzini, Aldo Galli e Neville Rowley. Ci sono prestiti da circa sessanta istituzioni museali di tutto il mondo, tra quelle nazionali e internazionali come spiega il poliedrico e carismatico direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi Arturo Galansino; oltre centotrenta opere sono radunate tutte a Firenze nelle due sedi espositive, tra cui circa una cinquantina sono capolavori di Donatello alcuni dei quali hanno lasciato per la prima volta la loro collocazione originaria.

Fig. 1. Una delle sale della mostra. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Da queste premesse è bene dire fin da subito che l’autore di questa recensione non si addentrerà, come invece è solito fare, in discussioni legate alle attribuzioni o a una disamina approfondita della vita e delle cronologie delle opere dell’artista. Questo essenzialmente perché chi scrive non è un conoscitore di scultura e ogni tentativo di entrare in questioni che non gli competono sarebbe goffo e maldestro nonché farebbe perdere tempo sia a lui che al lettore; questa recensione vuole invece puntare sugli aspetti più eclatanti dell’esposizione dell’anno, così com’è stata battezzata dai più. Sono d’altra parte certo che gli specialisti, con le loro malelingue, non faranno mancare la loro opinione sull’argomento.  

Ebbene incominciamo. Si parte subito con il botto, con un confronto strepitoso tra il David marmoreo – destinato a uno dei contrafforti delle tribune absidali del Duomo di Firenze – e il Crocifisso per la cappella Bardi di Santa Croce messi a confronto con l’altrettanto eccezionale Crocifisso del maestro Filippo Brunelleschi per Santa Maria Novella. Qui emerge già la distanza abissale tra i due amici, e per estensione fra i due Crocifissi; armonico ed equilibrato quello di Brunelleschi dallo stile se vogliamo ancora tardogotico e dal forte vigore espressivo, già tutto proiettato verso quella che sarà la parabola della sua maturità artistica quello di Donatello.  

Fig. 2. La prima sala della mostra. Davanti: Donatello, David vittorioso, 1408/09 – 1416, Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Dietro da sinistra: Donatello, Crocifisso, 1408 circa, Firenze, Basilica si Santa Croce, Cappella Bardi; Filippo Brunelleschi, Crocifisso, 1410 circa, Firenze, Basilica di Santa Maria Novella, Cappella Gondi. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Nella seconda sala è la terracotta il materiale privilegiato delle opere esposte. Bellissimo il confronto tra la Madonna col Bambino del Victoria and Albert Museum di Londra e quella ancora policroma del museo di Detroit (1414 circa). Qui sorprende la sentimentalità donatelliana che esplode nella straordinaria Madonna col Bambino del Bode Museum di Berlino partner privilegiato della mostra fiorentina. Se i panneggi sono ancora tardogotici e meditano sulla lezione ghibertiana, gli affetti e la resa psicologia dei due personaggi fanno invece già parte del Rinascimento di Donatello. Se si tiene a mente che durante i bombardamenti del 1945 questa terracotta andò in mille pezzi, vederla davanti ai propri occhi ha dell’incredibile se non del miracoloso. Qui, nel volto del Bambino, si scorge un sorriso giocoso e quasi spensierato che fa da contrappunto al viso delicato ma già funestato di malinconica tristezza per il destino del figlio di questa deliziosa Vergine Maria. È proprio in questo sorriso che si scorge forse la vera essenza della poetica donatelliana e che ritornerà più di una volta nei suoi capolavori.

Fig. 3. Donatello, Madonna col Bambino, 1415 circa, Berlino, Bode Museum

Un altro confronto molto convincente è quello tra la Madonna col Bambino policroma del Museo Bardini di Firenze con quella di Nanni di Banco del Museo del Louvre di Parigi. Simile la poetica degli affetti, simili i frutti che recano nelle mani: la Vergine nell’opera di Donatello tiene infatti una melagrana; un pomo invece il Bambino della statua di Nanni di Banco. Più dinamica quella di Donatello, leggermente più statica quella di Nanni: entrambe bellissime.

Fig. 4. da sinistra: Donatello, Madonna col Bambino, 1420-1423 circa, Firenze, Museo Bardini; Nanni di Banco, Madonna col Bambino, 1415-1420 circa, Parigi, Museo del Louvre

La terza sala è un vero colpo di scena, qui un confronto sbalordisce su tutti, ed è quello tra la monumentale statua del San Ludovico di Tolosa (1418-1425 circa) per Orsanmichele e quella da reliquiario del San Rossore (1422-1425 circa) per Pisa. Il san Ludovico è una scultura costituita assemblando parti fuse separatamente dorate a fuoco; l’effetto è quello più che di una statua, di un eccentrico alto rilievo. Grande intensità è stata data al volto del santo che pure appare calmo e in meditazione, mentre il panneggio, pur nelle difficoltà della fusione, risulta tridimensionale e convincente. Il San Rossore è debitore nei confronti del suo antico maestro Lorenzo Ghiberti, ma diverge per il grande realismo che Donatello esalta nel volto del santo, lievemente turbato e malinconico; qui ci troviamo di fronte al primo ritratto rinascimentale in scultura, anch’esso fuso in più pezzi poi interamente rivestito in oro. Le due sculture dialogano – soprattutto per via del confronto con i panneggi donatelliani – con la più grande tradizione pittorica coeva, in mostra ce ne sono due esempi: lo splendido San Paolo di Masaccio, parte del polittico per Santa Maria del Carmine a Pisa e il grande affresco staccato di Andrea del Castagno con l’Apparizione della Trinità a San Gerolamo con San Paola e San Eustochio nella chiesa della Santissima Annunziata.

Fig. 5. dietro: Donatello, San Ludovico da Tolosa, 1418-1425 circa, Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce; davanti, Busto reliquiario di san Rossore, 1422-1425 circa, Pisa, Museo Nazionale di San Marco. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

All’interno della quarta sala la protagonista indiscussa è la formella con il Convito di Erode (1423-1427) per il Battistero di San Giovanni a Siena appena mirabilmente restaurata dall’Opificio delle pietre dure di Firenze. Qui Donatello dà prova delle sue incredibili doti di modellatore e fornisce un secondo straordinario esempio, dopo la predella con san Giorgio che salva la principessa per il tabernacolo di Orsanmichele, dello stiacciato. La formella senese sapientemente modellata tenendo conto dei rigidi precetti brunelleschiani sulla prospettiva, moltiplica i piani prospettici offrendo allo spettatore un’infinità di punti di vista differenti pur rimanendo quasi del tutto fedele ad una prospettiva centrale di estremo rigore. Il primo piano poi ha dell’incredibile, qui le figure emergono dal rilievo quasi fossero delle vere e proprie sculture a tutto tondo; ancora una volta Donatello nella concitazione del momento fa emergere i turbamenti piscologici dei suoi personaggi. Questa formella molto deve aver smosso nelle opere di artisti vicini per cronologia a Donatello; penso ad esempio a Beato Angelico in mostra con la tavoletta raffigurante l’Imposizione del nome del Battista (1428) o al Martirio di santa Lucia (1445) parte della predella del polittico di Santa Lucia de’Magnoli di Domenico Veneziano.

Fig. 6. Donatello, Convito di Erode, 1423-1427, Siena, Battistero di San Giovanni

Voltandoci verso destra compare la superba Madonna Pazzi (1422) dove oltre allo stiacciato donatelliano, e agli effetti prospettici straordinari che si possono vedere nella cornice che fa da inquadramento alla scena, è proprio l’intimo rapporto tra madre e figlio che lascia senza fiato. Qui Donatello non si cura dello spettatore, Maria è tutta concentrata a spupazzarsi il figlioletto che allegro sorride alla madre e in un gesto di piena vivacità cerca di strappare alla madre il velo. Nell’opera solo pochi millimetri danno vita a una delle scene più commoventi di tutta la storia dell’arte, ripresa in innumerevoli esempi che qui però non è il caso di citare, lasciando allo spettatore la curiosità di scoprirli andando a visitare la mostra.

Fig. 7. Donatello, Madonna col Bambino (Madonna Pazzi), 1422 circa, Berlino, Bode Museum

La quarta sala è il tripudio degli spiritelli. Al centro della stanza si erge in tutta la sua vivace giocosità l’Amore-Attis del Museo del Bargello. Molto si è scritto su questa scultura e non è qui il caso di dire altro, tuttavia vorrei sottolineare come anche in questo caso, il pargoletto dalle fattezze dionisiache, sorride allo spettatore intento in una sorta di danza infinita. I sorrisi degli spiritelli di Donatello sono i protagonisti di questa sala. Il motivo dell’antichità classica è reinterpretato dalla genialità delle sculture del fiorentino in modo del tutto peculiare con una vivace intensità emotiva come ne sono prova i due Spiritelli portacero (1436-1438 circa) del Musée Jacquemart André di Parigi, un tempo sopra la cantoria di Luca della Robbia per la Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Anche in questo caso, oltre alla vivacità giocosa delle due statue, ciò che più rallegra lo spettatore sono i sorrisi che questi due paffuti bimbi mostrano a chi si avvicina per osservarli. Sorrisi e ancora sorrisi mostrano poi tutta una serie di spiritelli donatelliani presenti in mostra come ad esempio il bellissimo Spiritello danzante (1429) del Bode Museum di Berlino ma proveniente molto probabilmente dalla sommità dal fonte battesimale di Siena. Lì affianco, a testimonianza della straordinaria fortuna avuta dall’invenzione donatelliana, si trova la tavola di Paolo Uccello raffigurante la Madonna col Bambino (1438-1440 circa) della National Gallery di Dublino; qui il bambino dalla giocosa e vivace allegria sembra derivare quasi direttamente dall’invenzione di Donatello, sorriso compreso.

Fig. 8. davanti: Donatello, Amore-Attis, 1435-1440 circa, Firenze, Museo Nazionale del Bargello; dietro a destra: Donatello, Due spiritelli portacero, 1436-1438 circa, Parigi, Musée Jacquemart André; dietro a sinistra: Paolo Uccello, Madonna col Bambino, 1438-1440 circa, Dublino, National Gallery of Ireland. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Sorridono anche i putti-spiritelli alati presenti in un altro capolavoro donatelliano eseguito con l’aiuto di Michelozzo, vale a dire il parapetto del pergamo del Sacro Cingolo a Prato (1434-1438) di cui una parte è eccezionalmente esposta in mostra. Da questa sala quasi come una sorta di pausa spirituale, si accede a un piccolo ambiente in cui sono esposte le due porte bronzee della Sacrestia vecchia di San Lorenzo, la Porta dei Martiri e la Porta degli Apostoli (1440-1442 circa), uno dei luoghi di sepoltura della famiglia Medici committenti privilegiati di Donatello. Poco prima della partenza di Donatello per Padova, lo scultore dimostra in queste formelle una capacità inventiva eccezionale resa con effetti quasi espressionistici straordinari. Coppie di santi che disquisiscono tra di loro con gesti talvolta anche piuttosto infervorati e dal grande effetto drammatico. Ecco, qui c’è da segnalare forse l’unica pecca della mostra: un sensore anti furto molto rumoroso è stato piazzato troppo lontano rispetto al punto di osservazione privilegiato per poter osservare con una certa decenza questi capolavori. A ogni tentativo di avvicinarsi maggiormente ai battenti per osservare al meglio le figure, questo dannato allarme continua a squillare rovinando di fatto la fruizione di opere che normalmente non si potrebbero osservare così da vicino. Allora viene da chiedersi perché portarle in mostra? Peccato!

Fig. 9. Donatello, Battenti della Porta degli Apostoli, 1440-1442 circa, Firenze, Sagrestia Vecchia di San Lorenzo

Nell’ottava sala campeggia al centro il magnifico San Giovanni Battista di casa Martelli (1442) di Donatello; lì accanto, a dimostrazione dell’immediata ricezione delle invenzioni del grande artista, ci sono il San Giovannino di Desiderio da Settignano (1450-1455 circa) e quello dipinto da Giorgio Schiavone (1458 circa) oggi alla National Gallery di Londra. Nella stessa sala si sono radunate poi una serie di Madonne col Bambino fittili come ad esempio la Madonna dei Cherubini (1440-1445 circa) del Bode Museum e quella derivante direttamente da una invenzione donatelliana detta Madonna di Verona (1450 circa). Da queste sculture ne sarebbero derivate alcune opere pittoriche come la Madonna col Bambino di Liberale da Verona del 1485 circa o quella di Andra Mantegna proveniente dal Museo Poldi Pezzoli di Milano (1490-1495 circa). In questo caso al di là dei debiti di Mantegna nei confronti di Donatello, ormai molto bene assodati dalla critica, il confronto tra la Madonna del Mantegna e quelle di Donatello non sembra essere poi così efficace come fino a questo momento si sono rivelati gli altri confronti dell’esposizione. Interessante è invece il dialogo tra la splendida Madonna col Bambino di Giovanni Da Pisa, un fedelissimo seguace di Donatello, e le opere pittoriche di Marco Zoppo e Giorgio Schiavone, dove ancora molta suggestione suscitavano gli spiritelli donatelliani. Anche il confronto tra la placchetta in bronzo dorato della National Gallery di Washington con la Madonna col Bambino da un prototipo di Donatello (1426-1430 circa), e la tavola di Giorgio Schiavone del 1456-1461 circa della National Gallery di Londra è di grande efficacia.

Fig. 10. Donatello, San Giovanni Battista di casa Martelli, 1442 circa, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Tra il 1443 e il 1454 Donatello fa un soggiorno a Padova. Qui realizza uno dei suoi massimi capolavori, e cioè l’altare maggiore per la chiesa di Sant’Antonio. In mostra sono stati portati alcuni pezzi esemplari dell’altare del Santo ormai smembrato (oggi a Padova gli elementi dell’altare sono raggruppati secondo una ricostruzione di Camillo Boito), ossia la magnifica Imago Pietatis (1449-1450) poi ripresa in numerosissime opere pittoriche dai più importanti pittori del tempo, uno su tutti Giovanni Bellini. Nessuna delle varianti pittoriche convocate in mostra però cita alla lettera l’invenzione donatelliana e cioè nessuna delle opere mostra Cristo che si erge dal sepolcro in solitudine senza l’aiuto degli angeli che invece piangono e si disperano e sorreggono il drappo dietro la figura del Redentore. Sempre da Padova è giunto il magnifico Crocifisso che si staglia nel mezzo dell’abside del Santo, e che è posto a confronto con un gruppo bronzeo di uno dei più importanti allievi di Donatello cioè Niccolò Baroncelli.

Fig. 11. Donatello, Imago pietatis, 1449-1450, Altare del Santo, Basilica di Sant’Antonio, Padova

In mostra infatti è giunto dalla Cattedrale di Ferrara il monumentale gruppo con il Crocifisso, la Madonna, san Giovanni, san Maurelio e san Giorgio (1450-1455). L’opera è stata verosimilmente vagliata da Donatello in persona durante un suo breve soggiorno ferrarese, tuttavia il modello per la cattedrale ferrarese è stato approntato da Baroncelli e la fusione è stata eseguita da Domenico di Paris imparentato con Baroncelli. Il san Maurelio mostra di meditare a nostro avviso sul san Ludovico da Tolosa, tuttavia l’esecuzione è decisamente più leziosa e meno accattivante rispetto al maestoso Crocifisso del Santo. Dall’altare della basilica di Sant’Antonio è giunta anche la formella, parte della predella del complesso donatelliano, con uno dei quattro miracoli compiuti dal Santo, raffigurante il Miracolo della mula (1446-1449 circa). Donatello ci offre un’opera senza precedenti dove confluiscono tutti gli insegnamenti appresi in gioventù e dove spicca tutta la sua genialità nella creazione di una storia che, pur mantenendo i dettami della prospettiva più rigorosa, dimostra di andare oltre con i suoi convitati all’evento, partecipi di una umanità piena di sentimenti ed emozioni e dal grande impatto scenografico. In una sorta di basilica di Massenzio, al centro si vede isolato Sant’Antonio che avvicinatosi ad una mula ormai sfiancata e affamata dalle fatiche del lavoro si rinvigorisce e si prostra genuflettendosi nel vedere l’ostia che il santo le porge invece che avventarsi animalescamente sulle biade che le venivano apparecchiate.

Fig. 12. Donatello, Miracolo della mula, 1446-1449, Altare del Santo, Basilica di Sant’Antonio, Padova

Arrivati nella penultima sala della mostra di Palazzo Strozzi, ci troviamo di fronte a due opere eccezionali. La prima è la Lastra sepolcrale del vescovo Giovanni Pecci (1448-1450 circa) eseguita per la cattedrale di Siena. La seconda è la magnifica statua con San Giovanni Battista (1455/57 – 1465), la cui collocazione originale non è ancora del tutto chiarita e che oggi si trova all’interno della cattedrale di Siena. In questa città infatti Donatello avrebbe dovuto trasferirsi a partire dal 1457 e concludere la sua vita, ma così non è andata. La scultura venne prodotta a Firenze e solo in un secondo momento fu trasportata a Siena. Accanto a questa scultura, eseguita ormai durante gli anni della vecchiaia del maestro fiorentino, si trova una tavola di Ercole de Roberti raffigurante il medesimo soggetto (1480 circa). Anche se non è dimostrabile un contatto diretto tra Donatello e il maestro ferrarese, le affinità delle due opere si possono spiegare, al di là di un generico riferimento culturale, con il fatto che uno dei rinettatori della scultura senese di Donatello fosse Jacopo di Feltrino proveniente proprio dalla città emiliana. Inoltre il panneggio del Battista di De Roberti che ricade a terra è forse memore di un tipico espediente scultoreo per rendere più sicure le statue.

Fig. 13. Donatello, San Giovanni Battista, 1455/1457 – 1465, Siena, Santa Maria Assunta, Cappella del Battista

L’ultima sala di Strozzi si chiude con la monumentale Protome di cavallo nota come Testa Carafa (1456). L’opera doveva essere la parte terminale di una monumentale statua equestre dedicata al re di Napoli Alfonso il Magnanimo e doveva trovare posto nella grande nicchia superiore dell’arco trionfale di Castel Nuovo rivaleggiando forse con l’altra grande impresa equestre del Gattamelata a Padova. Per questa testa, Donatello dovette ispirarsi oltre che al monumento di Marco Aurelio allora collocato vicino a San Giovanni in Laterano a Roma, anche e soprattutto alla cosiddetta Protome di cavallo Medici-Riccardi, una scultura in bronzo con tracce di doratura del IV secolo a.C. di proprietà delle collezioni medicee. Lì accanto, a testimoniare la straordinaria inventiva di Donatello nei confronti delle opere bronzee, si trovano una Testa barbuta, forse un profeta (1455 circa), emulata da Bertoldo di Giovanni nel busto di Giovane filosofo, forse Giovanni di Niccolò Cavalcanti come Fedro di Platone, e la straordinaria Crocifissione (1455-1465) del Museo del Bargello, affiancata anche in questo caso da un’opera di Bertoldo di Giovanni (un Calvario, 1480-1485 circa), a evocare gli impressionanti Pergami della Passione e della Resurrezione, in gran parte opera della bottega, in San Lorenzo a Firenze.

Fig. 14. Da sinistra: Donatello, Protome di cavallo (Testa Carafa), 1456, Napoli, Museo Archeologico Nazionale; Arte Greca, Protome di cavallo (Testa Medici-Riccardi), 340-330 a.C. circa

Le ultime tre sezioni della mostra Donatello, il Rinascimento sono al Museo del Bargello. Al primo piano, nella sala che porta il nome dell’artista, si trovano esposte le opere inamovibili dello scultore fiorentino. Davanti a noi vediamo ora il Marzocco (1420), il leone simbolo della città di Firenze. Sorpassato la grande statua di macigno che ricorda un cartone animato di Walt Disney talmente la scultura risulta ancora oggi moderna e attuale, ci troviamo di fronte il David bronzeo con tracce di doratura (1435-1440 circa), commissionato allo scultore da Cosimo il Vecchio e che un tempo si trovava al centro di Palazzo Medici oggi Riccardi. Donatello non solo è in grado di lavorare con le distorsioni prospettiche all’interno dei suoi rilievi, ma riesce a imprimere le stesse distorsioni adottando un punto di vista ribassato anche nel David dei Medici. Arrivato in museo senza la sua base originale (che è pure esposta in mostra a Palazzo Strozzi), per molto tempo si è creduto che Donatello non avesse saputo dare alla statuaria a tutto tondo, in questo caso all’altro simbolo della città fiorentina, quel vigore e quella fierezza tanto care alla tradizione: non è andata così. Il David va infatti osservato da un punto di visto ribassato così come lo ha pensato Donatello, solo così se ne riesce a cogliere tutta la monumentalità e le sue corrette proporzioni. In mostra il David donatelliano dialoga magistralmente con quello di Verrocchio.

Fig. 15. davanti: Donatello: David vittorioso, 1435-1440 circa; dietro: Donatello, Tabernacolo di San Giorgio, 1415-1417 circa, entrambi, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Subito dopo aver ammirato il bronzo dello scultore fiorentino, ecco che un altro capolavoro si mette a fuoco nei nostri occhi, ed è il grande San Giorgio per Orsanmichele. La statua insieme alla predella con san Giorgio che uccide il drago e salva la principessa è forse l’opera più conosciuta e famosa di Donatello realizzata tra il 1415 e il 1417 circa. La mostra è un’occasione ghiotta per poter ammirare da vicino lo stiacciato donatelliano. Sulla destra in particolare si notano gli archi che digradano verso il fondo e le chiome degli alberi mossi dal vento appena accennati con sottili passaggi in rilievo. L’effetto atmosferico sembra presagire certe ricerche che saranno poi portate avanti del grande Leonardo. La figura del san Giorgio è qualcosa di straordinario, possiede (cito dalla scheda di catalogo) un’energia compressa e insieme vibrante che risale dal piede che travalica il limite della base per arrivare fino allo sguardo obliquo lanciato oltre lo spettatore, d’un malinconico corruccio che lascia affiorare la vita interiore del guerriero. La scultura sembra dunque voler uscire dalla sua nicchia, tutto ci fa pensare che da un momento all’altro san Giorgio farà la sua mossa. Tutto è immortalato in un istante infinito, le gambe poste a compasso pronte a incedere verso di noi, le braccia una lungo i fianchi e l’altra che tiene lo scudo pronta a difendersi, il volto concentrato e fiero velato di malinconia pronto all’azione, quella stessa azione che avviene nella predella. La statua sembra prefigurare quella dell’altro grande genio del Rinascimento e cioè Michelangelo con il suo David oggi alla Galleria dell’Accademia.  Lì vicino, a testimoniare l’immediata ricezione dell’invenzione donatelliana del san Giorgio, si trovano due affreschi staccati di Andrea del Castagno con Filippo Scolari e Farinata degli Uberti dal ciclo degli Uomini e delle donne illustri di Via Carducci a Legnaia nei pressi di Firenze del 1448-1449 circa.

Fig. 16. Donatello, Combattimento di San Giorgio col drago e liberazione della principessa, predella, 1415-1417 circa, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Poi si scende alle ultime due sale della mostra del Bargello. Nella prima delle due sale, l’opera che più di ogni altra spicca è la favolosa Madonna col Bambino di Boston nota con il nome di Madonna delle nuvole (1425-1430) che mostra gli stessi espedienti stilistici dello stiacciato e la stessa amorevole tenerezza della Madonna Pazzi incontrata a Palazzo Strozzi. Appena a fianco alla Madonna delle nuvole c’è un foglio di Alonso Berruguete che sia sul verso che sul recto reca un disegno a matita rossa che riprende alla lettera la posizione della Vergine e del Bambino dell’invenzione donatelliana. Di grande intensità emotiva è anche la Madonna di Via Pietrapiana in terracotta di Donatello (1450-1455 circa) a confronto con quella bronzea, la cosiddetta Madonna Fontainebleau di Giovanni Francesco Rustici (1520-1530 circa). In questa sala si trova anche un bel San Giovanni Battista di Francesco da Sangallo; la scultura forse sarebbe stata meglio accanto al San Giovanni Martelli di Donatello esposto a Palazzo Strozzi, questa scelta avrebbe certamente accentuato e chiarificato al meglio il dialogo così come le similitudini e le differenze tra le due opere.

Fig. 17. Donatello, Madonna col Bambino, (Madonna delle nuvole), 1425-1430 circa, Boston, Museum of Fine Arts

L’ultima sala della mostra è tutta incentrata sulla straordinaria Madonna Dudley (1440 circa). Non si conosce il primigenio committente di quest’opera eccezionale, tuttavia sappiamo che verso la fine del Quattrocento l’esile lastra di marmo era nelle mani del fiorentino Piero del Pugliese, il quale commissionò a Fra Bartolomeo un tabernacolo ligneo con sportelli dipinti su entrambi i lati sui quali sono raffigurate l’Annunciazione, la Natività, e la Presentazione al tempio. Vasari inoltre ricorda l’oggetto presso le collezioni di Cosimo I De Medici; questo fatto deve sicuramente aver influito sull’enorme diffusione dell’invenzione donatelliana, copiata e rielaborata da innumerevoli artisti fino alle soglie del Seicento. Il bassissimo rilievo di questa Madonna col Bambino ha dell’incredibile; in certe parti si tratta di uno o al massimo due millimetri di rilievo, tuttavia la resa è di grande impatto plastico e tridimensionale. Ancora una volta, Donatello ci regala un sorriso, che non è solo lo splendido sorriso del Bambino, è anche il sorriso dello spettatore che coinvolto in questa lastra di appena 27,2 cm di altezza per 16,5 di lunghezza e 2 soli centimetri di spessore, si commuove e in un gesto quasi involontario sorride anche lui insieme al piccolo pargolo che gioca, inconsapevole del suo destino, con il velo della sua mamma, la quale non ci degna di uno sguardo ma è tutta concentrata verso il figlio e ci sembra un miracolo. Tantissime sono le opere in mostra che citano più o meno esplicitamente la composizione di Donatello, dai disegni di Leonardo fino alla superba Madonna della Scala di Michelangelo (1490 circa) pure presente in mostra, passando per Perugino, Fra Bartolomeo, Baccio Bandinelli e molti altri. Qui però vorrei ricordarne solo alcune, quelle che a mio avviso sono le più significative. Vorrei quindi citare la Madonna col Bambino in marmo di Francesco di Simone Ferrucci (1460-1661), la Madonna Panciatichi pure in marmo di Desiderio da Settignano (1450-1455 circa), per arrivare alla splendida tavola con la Madonna col Bambino di Bronzino databile al 1525-1526 circa e al commovente disegno di Maso da San Friano sempre con la Madonna e il Bambino del 1560 circa, e per finire la Madonna col Bambino attribuita ad Artemisia Gentileschi: siamo tra il 1610 e il 1615. La parabola di Donatello iniziata a Firenze nel 1386 circa si conclude quasi centotrenta anni dopo con questa Madonna alle soglie del realismo caravaggesco e della nascita del Barocco.

Fig. 18. Donatello, Madonna col Bambino (Madonna del Pugliese – Dudley), 1440 circa, Londra, Victoria and Albert Museum

Per generazioni le opere di Donatello hanno suscitato profonda commozione nonché riflessioni, rielaborazioni e citazioni più o meno esplicite che hanno contribuito a fare dello scultore fiorentino il più celebre artista di tutti i tempi. La mostra a Palazzo Strozzi e al Museo del Bargello prova a raccontarlo e lo fa in maniera egregia. Una mostra assolutamente da non perdere non solo per ciò che si vede ma anche e soprattutto per quello che si può apprendere da un evento come questo, eventi che oggigiorno sono per tante ragioni, ahimè, sempre più rari.

Marco Audisio

Laddove non specificato le immagini sono dell’autore dell’articolo.

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