Prima di vedere la mostra, in scena nella Sala del Tesoro del Castello Sforzesco di Milano, dal titolo Omaggio a Renzo Mongiardino e aver letto il relativo catalogo, devo ammettere che non avevo mai sentito parlare di questo personaggio. La mostra curata da Tommaso Tovaglieri con la consulenza di Francesca Simone, nipote di Mongiardino, si presenta come un omaggio alla figura di Renzo Mongiardino (Fig. 1) architetto e scenografo vissuto tra il 1916 e il 1998. Un personaggio che dopo la morte è stato pressoché dimenticato, se non forse dagli antiquari e dai collezionisti di nicchia. Le raccolte di stampe e disegni Achille Bertarelli del Castello Sforzesco conservano l’intero archivio personale dello scenografo, donato dalla famiglia dopo la morte dell’architetto.

L’operazione, non scontata, è stata quella di selezionare circa trecento opere, tra disegni, bozzetti e progetti e di esporli tutti assieme nella monumentale sala del tesoro dove giganteggia il bellissimo affresco del Bramantino. Notevole è stato il lavoro espositivo, soprattutto nel momento della selezione delle opere da esporre, il criterio con il quale si è scelto di far vedere le opere di Mongiardino è quello cronologico, metodo ormai sempre meno utilizzato a favore di quello tematico, forse più confusionario e meno rigoroso. Sotto questo aspetto penso che si sia fatto un buon lavoro. La mostra affronta infatti tutte le fasi del percorso artistico e creativo di Mongiardino, genovese di nascita ma milanese di adozione: si parte dalla formazione giovanile presso il politecnico di Milano, la fascinazione del movimento moderno e di Le Corbusier e la laurea, in tempi non facili (1941) con l’architetto Giò Ponti. La successiva collaborazione con la rivista Domus, gli anni della sovrintendenza genovese fino al successo degli anni Sessanta e Settanta con le prestigiose committenze per le famiglie Onassis, Rothschild e Tyssen, dall’amicizia con la pittrice Lila De Nobili, alla progettazione della sua casa-studio milanese, via via fino alla progettazione della casa di New York per Peter Sharp (Fig. 2). In mezzo ci sono gli sfavillanti progetti per le scenografie di Zeffirelli e la Traviata di Luchino Visconti per la Scala di Milano. Personaggio eclettico di grande cultura letteraria e artistica, profondo conoscitore dei materiali decorativi e della storia dell’arte, Mongiardino sa dialogare agevolmente con il passato mantenendo forte il contatto con la realtà contemporanea in cui vive.
«La casa non è un’invenzione, è sempre lo stesso rifugio dove l’uomo ha bisogno di riparare perché è stanco, perché ha fame, perché ha sonno. Le case antiche erano costruite sulla misura di queste necessità concrete, esprimevano l’autenticità del bene d’uso e gli stessi limiti imposti dai materiali e dalle tecnologie disponibili sollecitavano la ricerca della bellezza nella funzione»

La mostra è stata anche l’occasione per ripubblicare la sua opera teorica raccolta nel volume Architettura da Camera (1993), scritta utilizzando un linguaggio piano e accessibile a tutti, promuovendo la conoscenza di quello che oggi noi chiamiamo il Design d’interni. Renzo Mongiardino è stato dimenticato forse perché oggi il nostro modo di vedere il Design e la scenografia sono drasticamente cambiati in favore (e si parla di teatro) di proiezioni, luci e qualche sterile asse di legno o PVC: si dice sia il progresso. Le scenografie e gli interni di Mongiardino invece erano ricchi e costruiti con sapienza, talvolta forse eccessivi ma mai vuoti di contenuto e soprattutto in grado di creare atmosfere magiche.

Qualche perplessità viene dall’allestimento (Fig. 3-4) con il quale le opere si presentano, ovvero totalmente l’opposto di quella che era la visione di Mongiardino. L’esposizione infatti si articola in un’unica sala, in un macroscopico espositore quadrangolare con lampade da scrivania che illuminano le opere dall’alto. Tutti i disegni, i progetti e i bozzetti trovano posto in questa sorta di monumentale ziggurat a tre gradoni. Le opere risultano un poco ammassate e confuse ed è difficile la lettura di alcuni oggetti esposti, come ad esempio i bozzetti relegati in alto e spesso in ombra. La fruizione è anche limitata da pannelli di plexiglas posti giustamente a protezione dei disegni a matita e a colori e dei vari manifesti, ma posti in posizione tutt’altro che comode per la lettura, risultano quasi fastidiosi. Il comune visitatore, spesso impreparato sulla figura di questo importante personaggio del Novecento italiano, rischia di uscire con le idee più confuse di prima, infatti solo ad un secondo o terzo giro, l’idea dell’insieme riesce a emergere più chiaramente. Sono dunque, perplesso sul fatto che questa mostra sia o meno un vero omaggio a Renzo Mongiardino. Nonostante la validità della ricerca e dell’impeccabile catalogo che accompagna l’esposizione, sapiente volumetto, scritto in un italiano agevole e piano, frutto di una limatura e precisione del testo maniacale, la pesantezza del modo con cui sono esposte le opere non mi fanno essere pienamente soddisfatto di questo evento milanese.

Un aspetto certamente favorevole, che può risolvere il problema della limitata fruizione, è quello che il visitatore può tornare più volte a vederla perché l’ingresso è gratuito. La mostra termina il prossimo 11 dicembre.
Marco Audisio
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