L’esposizione Mediterraneo in Chiaroscuro; Ribera, Stomer e Mattia Preti da Malta a Roma in scena nelle sale di Palazzo Barberini a Roma fino al prossimo 21 maggio, è curata da Alessandro Cosma direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Palazzo Corsini di Roma e da Sandro Debono senior curator del National Museum of Fine Arts – Heritage di Malta.
La mostra vuole celebrare l’avvio del semestre di presidenza maltese al Consiglio dell’Unione Europea portando per la prima volta in Italia alcuni capolavori di indiscussi maestri caravaggeschi provenienti dal MUŻA (Mużew Nazzjonali tal-Arti) di Malta; candidata come capitale della cultura per il 2018.
Sono diciotto le opere caravaggesche che animano le sale di Palazzo Barberini, cercando di raccontare la relazione storica e artistica intercorsa nei secoli tra i due paesi a cominciare con l’arrivo a Malta di Caravaggio nel 1607 dopo la rocambolesca fuga da Roma e la prima sosta napoletana. Le opere in mostra di Mattia Preti (il cavalier calabrese), Jusepe de Ribera (detto lo Spagnoletto) e Matthias Stomer sono enormemente influenzate dallo stile del grande maestro lombardo, che lasciò in loro un’impronta stilistica indelebile, chiaramente visibile nei dipinti giunti in Italia.
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Le opere di Malta dialogano con quelle della raccolta romana, creando un gioco evocativo con le opere di Caravaggio. La mostra si apre con il Santo Stefano di Ribera messo a confronto con il San Gregorio Magno di Palazzo Barberini del medesimo artista e commissionato dalla famiglia Giustiniani. La luce indaga trasversalmente entrambe le figure mostrando solo alcune parti dei personaggi ritratti e lasciandone in ombra altre, utilizzando un espediente già messo in atto in Caravaggio nel famosissimo San Matteo della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma.
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La resa luministica delle figure, creata attraverso l’espediente della candela accesa, emerge più chiaramente nelle opere di Stomer, come ad esempio, nel Sansone e Dalila delle collezioni romane, dove il volto di Dalila è splendidamente indagato attraverso la luce, lasciando tuttavia quasi completamente al buio le altre figure. Intesa e forte è la Vanitas, capolavoro di anonimo maestro caravaggesco identificato convenzionalmente come Candlelight Master, dove il volto dolce e candido di una donna non ancora pienamente matura è solo parzialmente illuminato dalla debole luce di due candele accese. Il tocco della pennellata è reso con maestria e fa emergere i particolari più preganti come la mano destra della fanciulla che indica mesta il teschio posto sulla destra, mentre quella sinistra sorregge lo specchio (in cui tuttavia ella non è riflessa), lasciando nella penombra tutto il resto.
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Contrasti luministici più importanti si leggono invece nella Buona Ventura di Simon Vouet conservata a Roma, citazione della scena, ben più famosa, dipinta dal Merisi, dove intesi sono i gesti e soprattutto gli sguardi dei personaggi, o ancora nel meraviglioso ritratto di Eraclito piangente attribuito a David de Haen, un ritratto del tutto inusuale che rappresenta un uomo anziano dalle mani rudi che emerge dall’oscurità e proprio come il motto del filosofo Eraclito, Panta Rei, lascia scorrere sul suo volto le lacrime di una sommessa ma sofferta disperazione, che passa, che scorre sul viso di un uomo provato dalle fatiche della vita, e che nell’atto del pianto tenta in qualche modo di liberarsene.
L’esposizione prosegue con la sezione dedicata a Mattia Preti, pittore che dopo aver vissuto una proficua e prolifica carriera a Roma, trascorrerà gli ultima trent’anni della sua vita a Malta venendo nominato Cavaliere dell’ordine di San Giovanni, oltre che contribuire alla completa affermazione del Barocco sull’isola. In mostra è esemplificato bene il passaggio stilistico del pittore dalla prima fase giovanile, ravvisabile nella Fuga da Troia o nella Resurrezione di Lazzaro di Palazzo Barberini, fino alla piena maturità stilistica i cui vertici sono ben espressi nell’Incredulità di San Tommaso, nell’Ebrezza di Noè e nelle Figlie di Lot, capolavori conservati a Malta.
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Importante è anche la sezione dedicata a Matthias Stomer presente in mostra, oltre che con le opere di cui abbiamo già parlato, con la Parabola del buon samaritano, con Adamo ed Eva piangono Abele morto e con la Decollazione di San Giovanni Battista. Se le prime due opere fanno parte degli anni trenta del Seicento e sembrano appartenere ad una analoga fase stilistica del pittore, la Decollazione è certamente un’opera più matura e decisamente da considerare un capolavoro del pittore fiammingo. La resa cruenta dell’evento è raffigurata con dovizia di dettagli, tutti sapientemente e spietatamente indagati sotto la lente d’ingrandimento del pennello dell’artista fiammingo. Feroce è il gesto dell’aguzzino che recide, con il pugnale, la carotide di San Giovanni e il volto di quest’ultimo che si appresta ormai ad esalare l’ultimo agonizzante respiro, mente guarda ormai stordito ma pienamente consapevole l’osservatore. La scena è tanto truce quanto elegante e raffinata, basti pensare alla figura di Salomè riccamente agghindata e pronta a potare su un lussuoso piatto dorato la testa di San Giovanni. Tutta la scena è pervasa da una luce intensa ma nello stesso tempo soffusa, data dalle candele che ne aumentano il senso della tragicità.
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La mostra, frutto di buone ricerche scientifiche scaturite tra diversi storici dell’arte, esperti del settore, non vuole solo celebrare l’inizio del semestre di presidenza dell’Unione Europea di Malta, ma cerca di mettere a fuoco il percorso critico e filologico di alcune opere caravaggesche (ovvero quelle provenienti dall’isola maltese) e di coloro che le hanno realizzate, che fino ad ora il dibattito storiografico ha un poco trascurato e messo da parte.
Il catalogo della mostra, edito da Officina Libraria (a 10 euro, veramente poco), cerca di ragionare sinteticamente ma nello stesso tempo in maniera approfondita, sulle vicissitudini dei dipinti in mostra, facendo proposte critiche e attributive, andando, là dove possibile, a chiarire punti ancora non sufficientemente chiari riguardo lo stile, la provenienza e la cronologia dei dipinti esposti.
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Un catalogo piccolo, che non raggiunge le sessanta pagine, e che ha davvero troppi refusi, il che lascia immaginare una non approfondita lettura della bozza prima che andasse in stampa (errori dettati forse dalla fretta e dalla concitazione di chiudere il catalogo in tempo per la stampa e per l’inaugurazione: perdonabili dopotutto).
Tuttavia le schede delle opere sono precise e ben articolate, il volumetto ha sia una sintetica bibliografia che l’indice dei nomi, cosa sempre più rara al giorno d’oggi, e questo è un gran merito che va sottolineato.
Se capitate a Roma, tra i moltissimi luoghi turistici che offre la città eterna, trovate un’ora per andare a vedere questa mostra, per scoprire i segreti di un Mediterraneo in Chiaroscuro: merita senz’altro.
Marco Audisio
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