“Eguale non discepola”: il futurismo totale di Benedetta

Benedetta Cappa, in arte Benedetta, nasce a Roma nel 1897, in una famiglia di origine piemontese. La ragazza segue l’iter educativo previsto, all’epoca, per le giovani appartenenti alla classe borghese e si dedica dunque allo studio della pedagogia in una scuola magistrale. Parallelamente coltiva interessi letterari ed artistici e, tramite il fratello Alberto, durante una passeggiata nel parco di Villa Borghese conosce il futurista Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958), del quale diviene allieva. Benedetta ha così l’opportunità di frequentare le personalità più influenti del cosiddetto “secondo futurismo”, il cui fulcro era ormai divenuto, durante gli anni della Prima Guerra Mondiale e in seguito alla prematura scomparsa di Umberto Boccioni (Reggio Calabria 1882 – Chievo 1916), proprio lo studio romano dell’artista. Immersa in questo ambiente, la giovane acquisisce una particolare concezione degli elementi chiave della poetica del movimento, come il dinamismo e l’energia, che per Balla e, di conseguenza per lei stessa, assumono una connotazione mistica, quasi magica. Questo tipo di formazione, caratterizzata da decise inclinazioni verso lo spiritualismo, inciderà sull’intero percorso dell’aspirante artista, non solo per quanto riguarda l’attività pittorica, ma anche in quella letteraria e grafica. Durante uno dei pomeriggi trascorsi nell’abitazione romana del proprio mentore, nel 1918, la ragazza conosce niente meno che il fondatore del movimento futurista, Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d’Egitto, 1876 – Bellagio, 1944).

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Fig. 1 Benedetta, Spicologia di 1 uomo, “Dinamo”, I (1), febbraio 1919.

In seguito a questo primo incontro, che prelude all’inizio della relazione sentimentale fra i due, Benedetta realizza una tavola parolibera, ovvero una composizione grafica composta da schematiche immagini e lettere, dal titolo Spicologia di 1 uomo, che si configura come una sorta di ironica risposta al “disprezzo della donna” che lo stesso Marinetti aveva dichiarato nove anni prima, all’interno del manifesto di fondazione del futurismo. Si tratta infatti di una sorta di essenziale ritratto psicologico dell’universo maschile e, più in particolare, dello stesso Marinetti, a cui il numero 1 chiaramente allude, a causa del suo ruolo all’interno del movimento. La composizione si presenta come una sagoma a dieci punte che irradiano da nucleo centrale, intorno al quale ruotano cinque sostantivi che sintetizzano le caratteristiche fondamentali dell’animo maschile secondo Benedetta: “sensualità”, “idealismo”, “materialismo”, “orgoglio” e “ambizione”. Sebbene il quadro generale sembrerebbe sottintendere una visione piuttosto negativa della maschilità, che appare fondata su qualità prevalentemente materiali, le parole “uomini vita”, composte dalle lettere che costituiscono gli apici delle punte, potrebbero costituire un segnale di apertura verso l’universo virile, dettato dalla consapevolezza da parte dell’autrice che vivere significa necessariamente intessere dei legami con l’altro sesso.
La pubblicazione dell’opera nella rivista “Dinamo”, nel 1919, determina l’ingresso ufficiale della giovane all’interno del gruppo futurista.

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Fig. 2 Benedetta, Treno nella notte in velocità, 1924, collezione privata.

Nel 1923 Marinetti e Benedetta, in seguito al matrimonio, si stabiliscono a Roma, determinando in questo modo il definitivo spostamento del baricentro del futurismo nella capitale. L’anno seguente si rivela cruciale per la carriera artistica della donna; all’esordio pubblico, in occasione del suo intervento al Primo Congresso Futurista di Milano, si affianca la pubblicazione del suo romanzo di esordio, Le forze umane: romanzo astratto con sintesi grafiche (Foligno, F. Campitelli Editore). L’artista debutta inoltre sulla scena pittorica: risalgono agli anni intorno al 1924 i dipinti Treno nella notte in velocità e Velocità di motoscafo, due opere che, sin dal titolo, rilevano alcuni temi ricorrenti nell’immaginario futurista; la velocità, innanzitutto, ma anche la presenza del treno, moderno mezzo di locomozione. Come è stato osservato dalla critica, le due tavole, sebbene abbiano come soggetto il dinamismo di due veicoli meccanici, sono risolte mediante un segno che richiama delle forme più organiche che artificiali, assimilate a degli “animali in corsa”: Benedetta, come diverse altre artiste appartenenti al movimento, non condivide integralmente la concezione meccanicista dell’universo propria della parte maschile, ma associa il concetto di energia alla vita biologica.

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Fig. 3 Benedetta, Ritmi di rocce e mare, 1930, collezione privata.

Gli anni che seguono sono molto fruttuosi, sia sul piano personale che sul versante artistico. Mentre, fra il 1927 e il 1932, nascono le tre figlie, Vittoria, Ala e Luce, l’artista intraprende l’attività di scenografa e realizza i fondali per tre pièce di Marinetti.  Nel 1931 viene pubblicato il suo secondo romanzo, Viaggio di Gararà: romanzo cosmico per teatro (Milano, G. Morreale), concepito, come suggerisce il titolo stesso, per essere rappresentato scenicamente – sebbene ciò non sia, in realtà, mai avvenuto – e conclusivo della fase della carriera dell’artista dedicata al teatro. Parallelamente, a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, si intensifica la produzione pittorica e Benedetta partecipa, insieme ai compagni del movimento, alle più importanti mostre e rassegne d’arte sul territorio nazionale e internazionale. Nel 1930 la sua opera Ritmi di rocce e mare è il primo dipinto realizzato da una donna ad essere pubblicato in un catalogo della Biennale di Venezia.

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Fig. 4 Palermo, Palazzo delle Poste, interno della Sala Conferenze.

Con l’adesione all’aeropittura, di cui Benedetta firma il manifesto, le opere dell’artista virano verso una più accentuata astrazione ed emerge con maggiore forza quella componente spiritualistica derivante, come già accennato, dalla formazione presso Balla. Ne è un esempio significativo il meraviglioso lavoro di “Plastica Murale” eseguito per la Sala delle conferenze del Palazzo delle Poste di Palermo nel 1938, su importante commissione pubblica del regime fascista.

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Fig. 5 Benedetta, Sintesi delle comunicazioni telegrafiche e telefoniche, 1938, Palermo, Palazzo delle Poste, Sala Conferenze.

In questa occasione, l’artista realizza cinque grandi pannelli a tempera ed encausto aventi per soggetto il tema delle telecomunicazioni terrestri, marine, aeree, radiofoniche, telegrafiche e telefoniche. La resa di queste ultime, in particolare, colpisce per la straordinaria modernità della visione di Benedetta. In basso a destra si scorge una bidimensionale città, resa con i modi tipici della pittura aerea. Nell’angolo opposto, a sinistra, si intravede un disco combinatore, dettaglio che suggerisce la presenza di un telefono. Ma la sorpresa più grande si ha osservando la sfera celeste: qui trovano spazio linee e onde invisibili e impalpabili all’uomo, le stesse che trasportano voci e notizie da una parte all’altra del pianeta. L’artista sembra quasi precorrere il futuro, intuendo, in anticipo sui tempi, l’enorme importanza che avrebbe assunto la dimensione dell’etere, come luogo di conquista nel quale l’uomo comunica non più attraverso pesanti macchinari, ma attraverso fenomeni quali l’elettromagnetismo e le frequenze.
Mentre nel 1935 viene pubblicato l’ultimo romanzo di Benedetta, Astra e il sottomarino. Vita trasognata (Napoli, Casella Editore) con l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale si apre uno dei periodi più ardui per l’artista; la scelta di Marinetti di partire come volontario al fronte aggrava le già precarie condizioni di salute del leader, che muore pochi mesi dopo il proprio ritorno da una spedizione in Russia, nel 1944. Per Benedetta la scomparsa del marito segna l’epilogo della parabola futurista; da questo momento cessa infatti qualunque attività artistica e letteraria e, ritiratasi in Veneto con le tre figlie, inizia la propria “missione” di promozione e diffusione della memoria del movimento: a lei si deve la raccolta della corposa documentazione tuttora conservata al Getty Institute di Los Angeles, da lei stessa lì depositata, poiché la critica statunitense fu fra le prime a riconoscere l’importanza storica dell’avanguardia futurista.
Scomparsa a Venezia nel 1977, Benedetta è stata, ed è in parte ancora oggi, vittima dell’oblio che ha riguardato le donne che parteciparono alle avanguardie storiche europee. Ad una vita di grande fortuna professionale, coronata, come già detto, da importanti successi e commissioni pubbliche, sono seguiti anni di quasi totale dimenticanza; basti segnalare il fatto che la sua prima, e finora unica, retrospettiva personale ha avuto luogo solo nel 1998 a Palermo (Fughe e ritorni. Presenze futuriste in Sicilia, Palermo, 26 novembre 1998 – 24 gennaio 1999, a cura di Anna Maria Ruta, Napoli, Electa, 1998), mentre è stato il suolo statunitense, nel 2000, a vedere pubblicata la prima monografia a lei dedicata (Franca Zoccoli, Benedetta Cappa Marinetti. Queen of Futurism, Midmarch Art Press, New York), edita solo successivamente anche in Italia.
Benedetta è stata indubbiamente, come la critica l’ha definita, un’artista “totale”, in grado di spaziare con una disarmante facilità dalla pittura, alla grafica, alla letteratura, al teatro e che seppe costruire una propria precisa identità, mantenendo con l’”ingombrante” marito un rapporto di costante dialogo e confronto: Marinetti stesso, non a caso, di lei scrisse: “Ammiro il genio di Benedetta, mia eguale non discepola”.

Chiara Franchi

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