Firenze, 1° giugno 1916: nella culla del Rinascimento italiano vede la luce l’“Italia Futurista”, una nuova rivista d’avanguardia fondata da un gruppo di intellettuali e scrittori allontanatasi dal periodico “Lacerba” per seguire più da vicino e con rinnovato vigore la causa di Marinetti. Pubblicato con cadenza bimensile dal 1916 al 1918, la direzione di questo nuovo prodotto viene affidata a Bruno Corra (pseudonimo di Bruno Ginanni Corradini; Ravenna, 1892 – Varese, 1976), autore e sceneggiatore, e a Emilio Settimelli (Firenze, 1891 – Lipari, 1954), scrittore; proprio quest’ultimo, in un articolo pubblicato nel primo numero, enuncia quelli che saranno i capisaldi della nuova avventura editoriale: fra essi troviamo l’acceso interventismo alla Guerra mondiale in corso, in veste soprattutto patriottica e antiaustriaca, ma anche lo spazio di riguardo che verrà riservato al teatro, al cinema e, soprattutto, alla grafica e all’illustrazione.
Quest’ultimo punto è fra i maggiori aspetti di interesse legati all’“Italia Futurista”: all’interno delle sue pagine, infatti, le tradizionali illustrazioni figurative e pittoriche vengono pressoché sostituite dalle tavole parolibere, che costituivano, in quegli anni, le più recenti sperimentazioni futuriste per quanto riguardava la poesia e l’arte grafica, nonché i rapporti che intercorrono fra queste due discipline.
Il paroliberismo era infatti stato messo a punto da Marinetti agli inizi degli anni Dieci e postulava la distruzione del tradizionale verso poetico attraverso, ad esempio, la disposizione casuale dei sostantivi, l’utilizzo di simboli matematici e onomatopee, l’accostamento di caratteri tipografici diversi per stile, dimensione e colore. Inoltre, mediante il manifesto del 1914 Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica, il leader del Futurismo aveva ammesso la possibilità che le “parole in libertà” divenissero delle “auto-illustrazioni”, ovvero giungessero ad imitare anche dal punto di vista figurativo gli elementi che erano oggetto del componimento.
Un altro degli aspetti di maggiore spicco legati alla nuova pubblicazione è il fatto che intorno ad essa si raccolse il più consistente nucleo di presenze femminili nella storia del Futurismo: sono infatti molte le artiste e le scrittrici che collaborarono alla realizzazione del periodico, attraverso la pubblicazione di contributi di varia natura, che spaziano dagli scritti riguardanti la politica e l’attualità, ai componimenti in prosa e poetici, fino alle stesse tavole parolibere, sulle quali si concentrerà il presente articolo.
A cosa si deve questa massiccia partecipazione femminile? Contestualmente alla fondazione della rivista erano nate le “Edizioni di Italia Futurista”, la cui direzione era stata affidata alla poetessa Maria Ginanni (nata Maria Crisi; Napoli, 1891 – Firenze, 1953); quest’ultima è la carismatica personalità che funse da polo di attrazione delle altre collaboratrici della rivista. Occorre tenere presente, inoltre, che gli anni della Grande Guerra, per quanto drammatici, costituirono un’occasione unica di emancipazione per le donne europee, chiamate ad essere non più solo “angeli del focolare”, ma elementi attivi della società, in sostituzione degli uomini impegnati a combattere al fronte.
![Figura 1[1806].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2019/06/figura-11806.jpg?w=736)
La prima tavola parolibera per opera di un’autrice femminile viene pubblicata nell’“Italia Futurista” nel luglio 1916: si tratta di un componimento dal titolo Silenzio – Alba, di Emma Marpillero (Udine, 1896 – Terni, 1985), un’artista originaria di Udine, che si era però formata all’Accademia di Belle Arti di Firenze. L’opera in questione costituisce l’unico contributo della Marpillero al periodico e compare nella sezione “I giovanissimi futuristi”, ad indicare che, per l’autrice, essa segnava probabilmente l’esordio non solo nelle pagine della rivista, ma all’interno dello stesso movimento.
La tavola, secondo i dettami del già citato manifesto di Marinetti, presenta spiccati elementi figurativi: i caratteri tipografici sono disposti, infatti, in modo da imitare un paesaggio urbano alle prime ore del mattino. Sul fondo della pagina si stagliano un appuntito campanile e una casa più bassa, mentre la parte centrale è dominata da alcune sillabe “TI” e “TE” le quali, con il variare delle loro dimensioni, indicano la maggiore o minore intensità dei rintocchi delle campane; la disposizione irregolare delle lettere è invece un richiamo al movimento oscillatorio da esse compiuto. Un altro elemento uditivo che interrompe il silenzio mattutino è il “bau” e “buf” di un cane, in prossimità dell’edificio più basso.
![Figura 2[1805].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2019/06/figura-21805.jpg?w=736)
Un altro esempio di tavola parolibera figurativa si incontra nel dicembre 1917, quando viene pubblicata l’opera I Gufi (Triangolo della notte) di Irma Valeria (pseudonimo di Irma Valeria Gelmetti Zorzi; Verona, 1897 – Firenze, 1988). L’autrice aveva aderito al movimento di Marinetti nel 1914 e, a partire dal 1917, aveva pubblicato nell’“Italia Futurista” numerosi articoli di critica e componimenti poetici, caratterizzati da un certo interesse verso l’esoterismo, al quale è da ricondurre anche la tavola in questione. L’opera, accompagnata da una didascalia esplicativa, è caratterizzata dal prevalere delle onomatopee: protagonisti sono infatti i suoni prodotti da due gufi, che infrangono il silenzio notturno. Tali suoni sono individuati dall’unica lettera “R”; le due note iniziano all’unisono, come indicano, graficamente, le due linee rette – una più spessa – che si muovono orizzontalmente verso destra. Progressivamente, come spiega anche la didascalia, la voce meno profonda, a cui corrisponde la “r” minuscola, si separa e “scorre il cielo come un compasso”, fino a formare un angolo retto con la prima nota. Giunta a questa altezza, la voce “perfora” l’ultima stella rimasta nel cielo: una metafora che indica che la sinfonia prodotta dai due rapaci attraversa l’arco di un’intera notte. L’aspetto visionario ed onirico è accentuato “dall’intersezione di triangoli con illuminati vertici veggenti” visibili a destra della tavola.
![Figura 3[1807].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2019/06/figura-31807.jpg?w=736)
Sempre nel dicembre 1917 vede la propria pubblicazione anche l’opera Ricevimento – thé – signore – nessuno uomo, di Rosa Rosà (pseudonimo di Edith Von Haynau; Vienna, 1884 – Roma, 1978). Originaria di Vienna, l’artista si era trasferita in Italia in seguito al matrimonio con lo scrittore Ulrico Arnaldi (Genova, 1878 – Roma, 1956) nel 1908, e aveva partecipato attivamente al futurismo degli anni della Prima Guerra Mondiale attraverso la produzione di articoli di critica verso la situazione culturale e sociale italiana, numerose illustrazioni e due romanzi. La tavola realizzata per “L’Italia Futurista” si configura come un esempio di paroliberismo insolito, poiché è interamente realizzata a mano, senza l’ausilio di caratteri tipografici. Oggetto della composizione è un tipico salotto di inizio Novecento, nel quale è possibile distinguere tre gruppi di persone, ognuno caratterizzato da una diversa forma geometrica: il nucleo di destra presenta una spirale e, come si evince dagli stralci di frasi trascritti, quasi come in un piccolo fumetto, la conversazione ha come soggetto alcuni pettegolezzi. A sinistra, invece, le persone – individuate dai triangoli – discutono della propria vita familiare, mentre in basso, in corrispondenza dei cerchi e dei quadrati, il discorso riguarda alcuni luoghi comuni sugli uomini e le donne. Altre piccole sagome delineano l’arredamento del salotto: un cerchio al centro della pagina rappresenta il “tavolino”, un rettangolo vuoto indica il “brutto quadro di famiglia”. Alla base vi è un’accesa critica nei confronti della borghesia dell’epoca, come indicano le parole inserite dalla Rosà negli spazi liberi, che permettono di capire l’atmosfera e il tono generale che serpeggiano durante il ricevimento: “impertinenza”, “fluidi ostili”, “noia”, “sbadigli repressi”. Nell’angolo in basso a sinistra, la Rosà si autorappresenta attraverso un asterisco vicino alla porta e le parole che indicano il suo stato d’animo sono quantomai eloquenti: “mi pare che ne ho abbastanza”.

Nell’alveo delle autrici che, opponendosi alla tendenza più esoterica che caratterizza le opere fino ad ora analizzate, decidendo di attenersi in modo pressoché integrale alla cosiddetta “ortodossia marinettiana”, si annovera Enif Robert (Prato, 1886 – Bologna, 1974). La sua tavola parolibera Malattia + infezione, del 1917, muove un’accesa critica alla coeva situazione politica, mediante l’esplicita analogia con una ferita infetta. Anche in questo caso osserviamo la disposizione antitradizionale dei versi e l’utilizzo di simboli matematici e onomatopee.
![Figura 5[1808].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2019/06/figura-51808.jpg?w=736)
Accanto alla produzione di tavole parolibere figurative, vi sono infine alcune opere che si distinguono per la loro natura più letteraria che visiva; è il caso, ad esempio, delle creazioni di Enrica Piubellini, che, fra il 1916 e l’anno successivo, pubblica alcune composizioni caratterizzate dagli espliciti riferimenti alla Prima Guerra Mondiale, un tema particolarmente sentito dall’autrice, che, essendo originaria di Trento, era cresciuta in un territorio appartenente al nemico Impero austro-ungarico. La prima di queste tavole, Paesaggio + Forte Austriaco, compare nel novembre 1916; essa si apre con l’immagine di un treno in corsa, un topos della poetica futurista, del quale viene restituita l’“armonia di stridori” attraverso alcune onomatopee. Due linee oblique, lievemente divergenti, servono invece a restituire visivamente l’idea del tunnel attraverso il quale il mezzo sta sfrecciando. Il carattere generale dell’opera è fortemente anti-austriaco, ma accanto alle valenze politiche, in sintonia con la linea editoriale del periodico, trovano spazio anche accenti più mistici. Emerge, in ogni caso, l’accentuata coerenza con quanto postulato da Marinetti, evidente nell’utilizzo dei segni matematici, di onomatopee e nella disposizione casuale di alcuni caratteri tipografici.
Un fatto curioso legato a questa tavola è che essa risulta firmata da “Enrico Piubellini”, nonostante non vi siano dubbi sulla reale identità dell’autrice. La critica si divide fra coloro i quali ritengono che la scelta di volgere il nome al maschile sia stata voluta, forse dettata dall’insicurezza, e chi, invece, sostiene che la causa sia da ricercare in un refuso tipografico. In ogni caso, le successive opere dell’artista recano la firma corretta.
È ancora diffusa la convinzione secondo la quale il Futurismo sia stato un movimento esclusivamente maschile e maschilista; le vicende delle artiste che si raccolsero intorno all’”Italia Futurista” dimostrano invece quanto la realtà sia differente dalle comuni credenze. Nonostante, infatti, la dichiarata misoginia, espressa nel manifesto di fondazione, il movimento di Marinetti si rivelò quantomai aperto ad accogliere e promuovere il talento e il desiderio di innovazione che caratterizzano le donne che si accostarono e contribuirono alla diffusione del Futurismo.
L’esperienza dell’“Italia Futurista”, in particolare, costituì un unicum nel panorama delle avanguardie europee e, per molte delle artiste che vi lavorarono, questa breve esperienza fu una straordinaria occasione che diede loro modo di dialogare al pari con i “colleghi” uomini, esprimere le proprie idee e divulgare la propria visione artistica e letteraria, appena prima del sopraggiungere degli oscuri decenni della dittatura fascista, che avrebbero determinato un’inevitabile inversione di tendenza e il relegamento delle donne a ruoli ben più dimessi.
Chiara Franchi
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