Il Giappone vola a Milano.

Nonostante tanti siano stati gli eventi modesti (con rarissime eccezioni) succeduti nelle sale di Palazzo Reale a Milano negli ultimi anni, la mostra Hokusai, Hiroshige e Utamaro curata dalla Professoressa Rossella Menegazzo dell’università Statale di Milano in collaborazione con Mondo Mostre Skira, per celebrare i centocinquanta anni di amicizia tra Italia e Giappone in scena nelle sale di Palazzo Reale sembra porsi in discontinuità con gli eventi passati.  

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Fig. 1 Hiroshige, Ishibe, serie: Cinquantatré stazioni di posta del Tokaido, 1848-1849 circa

La mostra, che finirà il prossimo 29 gennaio 2017, riunisce nelle sale del piano terra, circa duecento xilografie policrome, provenienti nella maggior parte dall’Honolulu Museum of Art, dei tre più famosi artisti giapponesi dell’Ottocento, maestri indiscussi di quella corrente che va sotto il nome di Ukiyo-e ovvero immagini del mondo fluttuante.

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Fig. 2 Hokusai, Kakinomoto no Hitomaro, serie: Cento poesie per cento poeti in racconti illustrati della Balia, 1835-1836 circa

Iscrizione: “Ah, la traccia segnata dell’avanzare, della coda del fagiano di montagna, si piegava come un ramo d’albero pendente. In questa notte infinitamente lunga devo caricarmi da solo?”

L’epoca Edo (XVII-XX secolo) segna infatti per il Giappone un periodo di pace e prosperità che permette la fioritura di una nuova classe sociale: la borghesia, la quale grazie al silenzio-assenso della classe politica (gli Shogun) si crogiola nei piacere dei sensi e nell’ozio letterario e artistico, rifugiandosi quando può, nei quartieri di piacere che lentamente stavano fiorendo nella città di Kyoto, capitale imperiale, culturale e per certi versi ancora spirituale del Giappone, contrapposta a quella prettamente politica di Edo (Tokyo). Kyoto divenne ben presto il centro artistico più importante di tutto il Giappone dove diversi artisti producevano opere d’arte per la nuova classe sociale in ascesa, che lontana dalla rigidezza di Shogun e monaci buddhisti, viveva nel modo fluttuante. Con l’influenza della cultura europea avvenuta nella metà del XIX secolo, si diffusero nuove tecniche artistiche tra cui la xilografia e gli artisti giapponesi ben presto capirono che quella sarebbe stata la via per produrre o riprodurre una grande quantità di opere a basso costo legate all’aumento crescente della domanda. Così si svilupparono le immagini del mondo fluttuante, scene di piacere, di vita quotidiana, scene che rappresentano la vita di Kyoto, i suoi luoghi, le sue strade, i suoi negozi, i suoi paesaggi, dai corsi d’acqua ai monti, dai quartieri di piacere ai fiori, agli uccelli finanche agli insetti.

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Fig. 3 Hiroshige, Mishima, serie: Cinquantatré stazioni di posta del Tokaido, 1848-1849 circa

Campioni di questa nuova sensibilità furono sicuramente Katsushika Hokusai (1760-1849), Utagawa Hiroshige (1797-1858) e Kitagawa Utamaro (1753-1806) ai quali la mostra rende omaggio. Questi artisti influenzati dal mondo occidentale, furono in grado a loro volta di influenzarlo e questo lo si evince molto bene guardando diverse opere di importanti pittori europei ed extra europei come Van Gogh, Degas, Lautrec e addirittura Wharol.

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Fig. 4 Utamaro, La ragazza precoce, serie: Varietà di fiori secondo il loro linguaggio, 1802

Tre artisti per alcuni aspetti simili ma anche molto diversi. L’introspezione psicologica delle donne di Utamaro credo sia rimasta ineguagliata sia nel mondo orientale sia in quello occidentale: donne, cortigiane, bambine, adulte e vecchie ritratte con un senso dell’intimità della dolcezza, della grazia e dell’erotismo unici e insuperabili e lo si capisce bene guardando la sezione dedicata a questo artista intitolata proprio Bellezza e Sensibilità (Fig. 4, 5). 

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Fig. 5 Utamaro, Umegae e Genta, 1800 circa; Coppia, 1790 circa

 Contemplativo, espressionista, geniale è invece Hokusai che con le sue Trentasei vedute del monte Fuji (Fig. 6) cerca di raccontare, a mio avviso, una storia, che è una storia non solo del suo paese, ma anche una storia spirituale, dell’uomo e della natura. Nella sua opera più celebre la Grande Onda di Nagasawa (immagine di copertina) vi leggo, forse un po’ romanticamente, quella potenza assoluta della natura e la minuscola piccolezza dell’uomo e per esteso della razza umana, che per certi versi mi richiama alla mente il monaco in riva al mare di Friedrich.

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Fig. 6 Hokusai, Yoshida sul Tokaido, serie: Trentasei vedute del monte Fuji 1830-1832 circa

I colori del blu, del rosso e anche del verde sono avvolti in un’atmosfera di grandiosità ma nello stesso tempo di insignificante piccolezza, dove alla grandezza del tema, un monte, ci si ritrova nella piccolezza e anche nella fragilità del supporto su cui l’immagine è impressa. Ho trovato straordinaria la serie Cento poesie per cento poeti della Balia, immagini quotidiane (Fig. 2, 7), storie quotidiane, gesti, sensazioni, sentimenti puri che vibrano al richiamo delle parole che creano una sorta di opera totale dove la vista della bellezza si fonde alla melodia delle poesie. Certamente più decorativi e con finalità prettamente legate alla vendita, dunque al guadagno, sono i fiori, gli uccelli, i pesci e gli insetti di Hokusai, un genere che richiama un po’ i paraventi decorativi giapponesi delle epoche precedenti, ma sempre di grande impatto visivo che trasmette, attraverso una sapiente composizione, calma e armonia.

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Fig. 7 Hokusai, Ise, serie: Cento poesie per cento poeti in racconti illustrati della Balia, 1835-1836 circa

Iscrizione: “Seppur per una distanza, breve come un sottile giunco, della palude di Naniwa, non dobbiamo più incontrarci, in questa vita? Questo mi chiedi?”

Simile a Hokusai ma diverso nello stile e nella sensibilità è invece Hiroshige che con le sue Cinquantatré stazioni di posta del Tokaido (Fig.  1, 3, 8) esalta non solo la drammaticità degli eventi atmosferici, ma accentua il senso di veridicità della scena che stiamo osservando. Il Tokaido era la strada che separa Kyoto da Tokyo, strada costellata di negozi ed edifici dove quotidianamente si svolgeva la vita, più affollata e ricca di piaceri a Kyoto, più severa e rigida a Tokyo. Con queste immagini ci troviamo immersi in un mondo molto dissimile dal nostro occidentale, un mondo che è veramente, per certi aspetti, fluttuante ma denso di significati. La tecnica minuziosa, particolareggiata e “irrigidita” di Hiroshige è sovente messa a confronto con quella di Hokusai, più fluida e forse meno attenta al dettaglio ma comunque immediatamente decifrabile e comunicativa.

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Fig. 8 Hiroshige, Mariko, serie: Cinquantatré stazioni di posta del Tokaido, 1848-1849 circa

Ho trovato le serie dei Ponti e delle Cascate di Hokusai (Fig. 9) e Hiroshige estremamente interessanti, dove bene si coglie la matrice spirituale di entrambi anche se con forme espressive e stilistiche diverse. Mi sono lasciato trasportare dalle scene esposte nelle sale di Palazzo Reale, dove l’allestimento molto “orientale” dai colori pastello, diverso a seconda delle varie sezioni e dalla buona illuminazione, riesce a creare quell’atmosfera di contemplazione e rilassatezza che si addice a una mostra come questa. Ho colto (come difficilmente ormai riesco a fare nelle mostre di Palazzo Reale) un’idea e un disegno d’insieme che fanno capire che dietro a tutto questo stanno persone di un certo spessore, con competenze e passione per quello che fanno.

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Fig. 9 Hokusai, La cascata di Amida in fondo alla via di Kiso, serie: Viaggio tra le cascate giapponesi, 1832-1833 circa

 La mostra termina con l’esposizione della serie dei Manga di Hokusai, che seppure richiamino i fumetti giapponesi attuali, in realtà sono quaderni di disegni che il maestro trasmetteva agli allievi affinché questi imparassero come realizzare i vari aspetti dell’ambito umano: dall’espressione dei sentimenti alla postura del corpo; altri contengono invece disegni inerenti agli aspetti della natura come alberi, fiori, insetti e animali.

Trovo il catalogo come il biglietto di ingresso decisamente troppo cari, e per quanto concerne il catalogo, penso che sia davvero troppo superficiale. Pochi e non molto approfonditi ritengo che siano i saggi che introducono il volume, per non parlare delle schede delle opere: quasi inesistenti. Uno dei punti di forza del catalogo è che le immagini riprodotte all’interno sono decisamente molto belle. Penso che la mostra così come il catalogo siano il compromesso più o meno riuscito tra una buona idea culturale e una buona idea di marketing: il risultato è certamente più positivo che negativo.

Marco Audisio  

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