Creazioni e distruzioni dell’arte: le Metamorfosi di Picasso

“Sesso e Arte sono la stessa cosa”.
Pablo Picasso

Picasso torna a Milano e lo fa per quella che è ormai la quarta volta, unendo in questo modo un ulteriore tassello alle vicende espositive a lui dedicate che, da più di sessant’anni, interessano il capoluogo lombardo e, in particolare, la sede di Palazzo Reale.
Un sodalizio, questo, iniziato nel 1953 e nel migliore dei modi, dal momento che in quell’anno l’artista (Malaga, 1881 – Mougins, 1973), ancora vivente, concesse l’esposizione della sua celeberrima Guernica (1937) nella Sala delle Cariatidi, ferita e quasi completamente distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra mondiale. Seguì, nel 2001, una mostra antologica; fu poi la volta dell’immensa monografica dell’inverno 2012, un evento da più di mezzo milione di visitatori, per giungere infine all’attuale esposizione, “Picasso. Metamorfosi”, in scena fino al 17 febbraio 2019.
La mostra è a cura di Pascale Picard, direttrice dei Musei Civici di Avignone e si inserisce nella rassegna triennale europea “Picasso – Méditerranée”, promossa dal Musée Picasso di Parigi, istituto che ha prestato la quasi totalità delle opere, fra quelle realizzate dal maestro, che è possibile ammirare nelle sale dell’esposizione.
Attraverso “Picasso. Metamorfosi” scopriamo un aspetto dell’artista che viene spesso accennato, ancora più sovente dato per scontato, ma raramente approfondito come meriterebbe: il suo rapporto con l’arte e la cultura del passato, un passato che lasciamo per il momento volutamente generico, perché il patrimonio a cui egli attinse è vasto quanto la storia dell’umanità e si estende dagli albori dell’arte fino al – relativamente – vicino diciannovesimo secolo.
L’esposizione non si configura tuttavia come cronologica, ma segue un iter tematico: ad ogni topos corrisponde un nucleo di opere di varia natura, dai dipinti all’arte applicata, posti in dialogo fra di loro, non solo in quanto attinenti allo stesso soggetto, ma anche in funzione dell’interpretazione che Picasso ne offre, delle metamorfosi, appunto, che egli attua. I livelli di lettura sono dunque molteplici e già per questo motivo la mostra appare subito più stratificata e meno banale di quanto si potrebbe pensare e di quanto, in tutta onestà, ci aspettavamo.

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Fig. 1 Pablo Picasso, L’abbraccio, 1970, Parigi, Musée National Picasso; a fianco: Auguste Rodin, Il bacio, 1882, Parigi, Musée Rodin.

Il tema iniziale è quello del bacio, archetipo ricorrente nella lunghissima carriera di Picasso: questo gesto, per l’artista, non si esaurisce in sé stesso, ma ha vari sottintesi, di tipo amoroso e sessuale, per richiamare poi irrimediabilmente la figura della donna, onnipresente nella carriera e nella vita dell’artista. Egli, nelle opere esposte in questa prima sala, medita intorno alla lezione di due illustri predecessori: Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 1780 – Parigi, 1867), presente con uno Studio per Paolo e Francesca e Auguste Rodin (Parigin, 1840 – Meudon,1917), del quale si espone una versione in bronzo del celebre Bacio, che a sua volta raffigura i protagonisti del V Canto dell’Inferno dantesco.

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Fig. 2 Pablo Picasso, Nudo disteso, 1932, Parigi, Musée National Picasso; a fianco: Anonimo, Arianna addormentata, III secolo d.C., Parigi, Musée du Louvre.

Le metamorfosi picassiane proseguono nel senso più classico del termine nelle sale successive, nelle quali vediamo entrare in scena due figure mitologiche che, a loro volta, accompagneranno le opere e l’immaginario dell’artista nel corso dei decenni: il Fauno e il Minotauro. Creature simili e allo stesso tempo antitetiche, essi sono accomunati dal loro dividersi a metà fra esseri umani e animali, lacerati fra razionalità e istinti bestiali. Il Fauno incarna il lato più folle e giocoso, ma il vero alter ego dell’artista è il Minotauro, simbolo di virilità ed energia guerresca, nel quale Picasso si identifica al punto da affermare, nel 1935: “Se tutte le tappe della mia vita potessero essere rappresentate come punti su una mappa e unite con una linea, il risultato sarebbe la figura del Minotauro”.
Ecco dunque che nei numerosi disegni e dipinti esposti in queste sale, l’artista ritrae sé stesso con il corpo di uomo, togato a guisa di personaggio dell’antica Grecia, e con il volto di toro, intento quasi sempre ad osservare la figura della modella-amante, colta nell’atto di dormire con le braccia reclinate sopra il capo. Essa simboleggia Arianna, l’eroina che, in quanto sorellastra del Minotauro e contesa fra il marito Teseo e il dio Bacco, completa coerentemente il quadro di rimandi e simbologie che sintetizzano in poche immagini il complesso rapporto fra Picasso e le proprie compagne. Dal punto di vista stilistico, nella posa essa richiama l’Arianna addormentata del Louvre, scultura romana in marmo risalente al III secolo d.C.

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Fig. 3 Pablo Picasso, Donna seduta, 1920, Parigi, Musée National Picasso.

L’artista frequenta assiduamente il prestigioso museo francese sin dal 1901, anno nel quale, appena ventenne, si trasferisce a Parigi. L’immensa collezione di arte antica lì conservata ha un ruolo determinante nella costituzione della sua sensibilità classica, oltre a fornirgli un illimitato serbatoio di immagini, leggende e miti a cui attingere. Decisivo è inoltre il viaggio intrapreso, agli inizi degli anni Venti, a Roma, Napoli e Pompei, che contribuisce ad orientare l’artista verso il cosiddetto periodo “neoclassico”, sopraggiunto dopo l’exploit del cubismo. Una notevole prova di tale fase è il dipinto Donna seduta, del 1920: esso ritrae la ballerina russa Olga Khochlova, che Picasso incontra nella capitale italiana e che sposerà nel 1921. L’opera emana un’aurea di sobrio classicismo, mentre la tipologia del soggetto viene accostata in mostra alle figure sedute ricorrenti nelle steli funerarie del VI – V secolo a.C.
Per quanto significative, non è tuttavia nella cultura e nella mitologia classiche che si esaurisce il dialogo che Picasso intrattiene con l’arte dei suoi predecessori. Superate le prime sezioni della mostra, inizia quella che è probabilmente la parte più sorprendente dell’esposizione, dedicata alle fonti risalenti al periodo arcaico: al Louvre, infatti, l’artista ebbe modo di ammirare un nucleo di crateri rinvenuti nel Dypilon, il quartiere dei vasai di Atene, databili addirittura all’VIII secolo a.C. La decorazione di questi vasi, in stile geometrico, è costituita da una fitta schiera di piccole figure femminili assai stilizzate: ecco dunque che nelle loro sagome longilinee, nelle spalle spigolose e nelle sottili braccia alzate sopra le teste, Picasso incontra quel modello di donna che costituirà la base per l’elaborazione di uno dei suoi più celebri dipinti, Le demoiselles d’Avignon (1907). Caposaldo indiscusso dell’avanguardia cubista, la sua origine viene più spesso fatta genericamente derivare dall’influenza di quell’ “arte negra” che molta fortuna stava avendo, contemporaneamente, nel panorama delle avanguardie europee.

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Fig. 4 Pablo Picasso, I bagnanti, 1956, Parigi, Musée National Picasso.

Alcune delle opere successive sono invece accostabili all’arte cicladica, sviluppatasi nell’arcipelago delle Cicladi durante l’età del bronzo: essa affascinò Picasso per la propria declinazione del corpo umano, interpretato, questa volta in chiave geometrica e solida. I volumi pieni e lisci delle piccole statue realizzate dall’ “omino delle Cicladi” – come lo definisce Picasso stesso – vengono ripresi dall’artista spagnolo nel dipinto Nudo seduto su fondo verde, del 1946, oltre che nell’interessante serie scultorea dei Bagnanti, risalente al decennio successivo.

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Fig. 5 Pablo Picasso, Piatto spagnolo in ceramica decorato con un occhio e dei tori, 1957, Parigi, Musée National Picasso.

Picasso, nella sua straordinaria poliedricità, non è solo pittore e scultore, ma anche ceramista: viene iniziato a questa pratica nel secondo dopoguerra, dalla collega Suzanne Ramier. Questa nuova esperienza gli permette di immergersi in una dimensione ancora più ancestrale, nella quale il processo creativo passa non più solo attraverso la pittura, ma trova compimento nell’esperienza di un fare artistico concreto, manuale. Le numerose ceramiche esposte in mostra rendono conto in modo esauriente delle ricerche operate dall’artista in questo ambito e dei suoi studi dei repertori archeologici rinvenuti nelle botteghe degli antichi vasai.
A conclusione della mostra si giunge anche a ciò che, a nostro avviso, costituisce il vero fulcro dell’esposizione, ovvero alle metamorfosi in senso non più solo concettuale, ma anche letterale e, soprattutto, letterario. L’ultima sala è infatti dedicata alle illustrazioni delle Metamorfosi di Ovidio (Sulmona, 43 a.C. – Tomi, 17 o 18 d.C.), commissionate a Picasso nel 1931 dall’editore svizzero Albert Skira (Le Locle, 1904 – Dully, 1973). L’artista risponde prontamente alla richiesta e si cimenta nella realizzazione di 30 incisioni in bianco e nero, i cui contrasti si accentuano o si attenuano a seconda della tragicità dei racconti. Ecco dunque che l’atto stesso del trasformare viene operato dall’artista in senso proprio, chiamato com’è a plasmare e a restituire il capolavoro del grande poeta latino in immagini, mentre si compie anche uno dei momenti più alti di vicinanza con l’amata cultura classica: una meditazione su una materia, quella letteraria, antica eppure viva, integra e attualissima.
“Picasso. Metamorfosi” è dunque un’esposizione che non manca di piacevoli sorprese e una dimostrazione di come si possa “utilizzare” il nome di un artista iconico non solo in richiamo del grande pubblico, ma come occasione per portare alla luce aspetti ancora inediti o poco conosciuti del suo operato. Le tematiche nelle quali si articola il percorso espositivo sono ben analizzate e approfondite, l’allestimento è elegante e gradevole e i continui confronti con espressioni artistiche del passato permettono di ammirare dal vivo, anche in modo estemporaneo, capolavori quali la già citata Arianna addormentata, ma anche il bellissimo affresco raffigurante Teseo liberatore (45 – 79 d.C.), proveniente dal Museo Archeologico di Napoli. L’abbondanza di opere antiche si rivela tuttavia, a tratti, un’arma a doppio taglio, soprattutto nella seconda parte della mostra, dove la profusione di statuette arcaiche, cicladiche e iberiche sopravanza gli esempi picassiani. Per concludere, avrebbe forse meritato più risalto la sala dedicata alle illustrazioni delle Metamorfosi, sia per dare ulteriore completezza al titolo stesso della mostra, ma anche per conferire maggiore dignità ad una pratica, quella della grafica applicata all’editoria, purtroppo spesso relegata e bistrattata, ma non per questo meno incisiva delle cosiddette “arti maggiori”.

Chiara Franchi

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