Carrà ritorna a Milano: «la pittura è cosa mentale»

La mia pittura è fatta di elementi variabili e di elementi costanti. Fra gli elementi variabili si possono includere quelli che riguardano i princìpi teorici e le idee estetiche. Fra gli elementi costanti si pongono quelli che riguardano la costruzione del quadro.
Per me, anzi, non si può parlare di espressione di sentimenti pittorici senza tener calcolo soprattutto di questi elementi architettonici che subordinano a sé tutti i valori figurativi di forma e di colore.
Carlo Carrà

Poiché la museologia ha preso indirizzi sempre meno ortodossi e scientificamente rigorosi, poche mostre sono fatte veramente bene. Fortunatamente, Carlo Carrà rappresenta un’eccezione al malcostume contemporaneo, forte anche della curatela della professoressa Maria Cristina Bandera, storica dell’arte di lungo corso e, soprattutto, cultrice della figura di quel Roberto Longhi che se da una parte, nell’ormai lontano 1962, aveva già curato un’epocale retrospettiva pochi anni prima che morisse questo importante artista, dall’altra viene riproposto come nume tutelare e filo conduttore del nuovo progetto espositivo.

In scena a Palazzo Reale di Milano, stesso luogo della sua illustre predecessora, e realizzata con l’aiuto di Luca Carrà, nipote del pittore e responsabile dell’archivio a lui intitolato, la mostra accoglie i visitatori dal 4 ottobre 2018 fino al 3 febbraio 2019.

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Fig. 1 Carlo Carrà (a destra) insieme a Roberto Longhi, qui ritratti durante una partita di bocce a Viareggio nel 1935.

Precocissimo nel manifestare la sua tendenza alla pittura, discontinuo nella formazione – scuole serali di disegno a Valenza e a Brera, Scuola Superiore di Arte Applicata del Castello Sforzesco, e infine di nuovo Brera dov’è allievo del pittore Cesare Talloni – ma chiamato, sin da giovane, a realizzare importanti commissioni, Carlo Carrà (1881-1966) ha dedicato tutta la vita allo studio e alla pratica dell’arte. Nel corso della sua carriera incontra le principali correnti della pittura italiana: il Divisionismo, il Futurismo e la Metafisica, attingendo da ognuna e contribuendo di sua mano ai loro sviluppi. Poi, nel 1922, prende un’importante decisione:

«… questa data [egli scrive, N.d.A.] segna la mia ferma decisione di non accompagnarmi più ad altri, di essere soltanto me stesso».

Nel frattempo stringe amicizia con Longhi, rapporto che sarà per lui fonte di arricchimento intellettuale. Studia le opere di Giotto e Paolo Uccello (che avranno su di lui una forte influenza, tanto che dedicherà loro alcuni scritti) e dà sfogo, inoltre, ad una fervida vena letteraria, sia sulle pagine di storiche riviste, come Lacerba e Valori Plastici – testate ufficiali rispettivamente delle istanze futuriste e di quelle metafisiche –, sia nella redazione di un’autobiografia (La mia vita, 1943) e di un libro intitolato Segreto professionale (1962).

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Fig. 2 Carlo Carrà (secondo da sinistra) insieme ai futuristi: Luigi Russolo, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni e Gino Severini nel 1912. A fianco: esposizione degli scritti futuristi, in alto a destra: Guerrapittura, il primo scritto di Carrà.

Seguendo quindi un criterio oggi poco in uso, la mostra ripercorre in ordine cronologico le esperienze artistiche di un pittore alla ricerca del proprio Io creativo, senza mancare di farci conoscere la persona, facendocene ascoltare in alcuni casi proprio la voce, attraverso documentari, fotografie, memorabilia (i pennelli e la tavolozza) e i numerosi esemplari delle sue pubblicazioni esposte in diverse teche. In tutto sono circa dieci le sale impiegate per raccontare la sua vita e le sue opere; e per una volta, cosa davvero encomiabile, il nome di richiamo non diventa occasione per allargare il campo a divagazioni dispersive, molto spesso inutili.

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Fig. 3 Carlo Carrà, I Nuotatori, 1932, Augusto e Francesca Giovanardi Collection.

Molti altri sono comunque i pregi di questa mostra, alcuni però anche i difetti. Bene, ad esempio, che la spiegazione nell’audioguida richiami le considerazioni di esperti storici e critici che negli anni si sono occupati di Carrà (lo stesso Roberto Longhi e Francesco Arcangeli). Meno positivo, in un certo senso, il numero così elevato di opere esposte che, dopo un po’ di tempo, invita alla fruizione distratta. Il catalogo, dal canto suo, è un piccolo gioiello, tuttavia le schede non indulgono all’analisi critico-descrittiva delle opere, preferendo comunque elencare le vicende espositive nonché la presenza in altre pubblicazioni. Per finire, Palazzo Reale non rinuncia, come al solito, a prendersi liberamente qualche vezzo dei suoi: vedi alcune proiezioni di immagini allestite di quando in quando, le cui animazioni però risultano essere molto più sobrie in questa che in altre occasioni, limitandosi a effetti di transizione e scorrimenti laterali, e la musica d’atmosfera che accompagna le spiegazioni nell’audioguida.

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Fig. 4 Carlo Carrà, Estate, 1939, Milano, Museo del Novecento.

Oltrepassato il corridoio didascalico-biografico con il quale inizia la visita si possono così ammirare i primi quadri realizzati a partire da Segantini e Previati, tra i quali spicca La strada di casa, 1900. Subito dopo, a ciascuna delle quali è dedicata un’intera e nutrita sala, le opere frutto di una progressiva ma sinceramente convinta adesione al Futurismo prima e alla pittura Metafisica in un secondo momento; come ad esempio: Il movimento del chiaro di luna, 1910-1911 che unisce geometrie astratte ed un utilizzo del colore ancora divisionista, e La Musa metafisica, 1917 inequivocabile espressione della militanza al fianco di Giorgio De Chirico.

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Fig. 5 A sinistra: La strada di casa, 1900, olio su tela, collezione privata. Al cento: Il movimento del chiaro di luna, 1910-1911, olio su tela, collezione privata. A destra: La Musa metafisica, 1917, olio su tela, collezione privata.

Proseguendo la visita ci si addentra nell’ultima e più ricca fase della produzione di Carlo Carrà. Qui il pittore si dedica alla rappresentazione di nature morte, qualche ritratto (e autoritratto) e soprattutto paesaggi. Come ebbe modo di scrivere:

«La pittura metafisica in sostanza fu per me la ricerca di un più giusto rapporto tra realtà e valori intellettuali».

Senza quindi dimenticare i fondamenti compositivi appresi da Giorgio De Chirico, Carrà abbandona la pretesa di inserire nei suoi quadri allegorie dai significati trascendentali. Il suo sarà per lo più un vedutismo affrontato con la lente dell’arcaico, sulla lezione di quei pittori italiani fra Tre e Quattrocento i quali aveva riscoperto. Così Pino sul mare, 1921 Dopo il tramonto (Il faro), 1927, Sera sul lago (la barca solitaria), 1924-1928, ma anche Estate e I Nuotatori (entrambi del 1932) solo alcune delle moltissime opere esposte in mostra, rimangono fra le sue più evocative. A proposito di Sera sul lago, destinato a consacrare la fama del pittore presso critici e collezionisti, Francesco Arcangeli ha scritto come di un: «manzoniano “Addio ai monti” che sfiora Millet e Segantini».

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Fig. 6 A sinistra: Pino sul mare, 1921, olio su tela, collezione privata. Al centro: Dopo il tramonto (Il faro), 1927, olio su tela, collezione privata. A destra: Sera sul lago (la barca solitaria), 1924-1928, olio su tela, collezione privata.

Una mostra che ripaga la curiosità, gli sforzi e il prezzo del biglietto.

Niccolò Iacometti

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