Giovanni Segantini (Arco, Trento, 1858 – Monte Schafberg, 1899) è oggi universalmente noto per i suoi straordinari esiti nell’ambito del divisionismo e del simbolismo, tecnica – la prima – e poetica – il secondo – a cui egli si accosta verso la fine degli anni Ottanta dell’Ottocento e che nel giro di breve tempo lo renderanno celebre al pubblico e alla critica ben oltre i confini nazionali. Altrettanto affascinate, tuttavia, è anche il complesso percorso che, a partire dalle aule dell’Accademia di Brera, porterà il giovane artista verso la maturità e che trova infine compimento fra i panorami selvaggi e quasi incontaminati del Cantone dei Grigioni, in Svizzera. Tale percorso, della durata di pochi, ma intensi anni, si snoda all’interno della Brianza, un territorio oggi divenuto sinonimo di industria, laboriosità e modernità, ma che, nel corso dell’Ottocento, fu meta privilegiata da viaggiatori e turisti, attratti dai suoi paesaggi variegati, non ancora intaccati dall’industrializzazione.
Il soggiorno di Giovanni Segantini in Brianza ha inizio nel 1880. L’artista vi giunge con la compagna, Bice Bugatti, e i due si stabiliscono a Pusiano, un piccolo paese in riva all’omonimo lago, situato fra Como e Lecco. Questo tratto di Lombardia, in ogni caso, non gli è nuovo: già nell’estate del 1878 il pittore era stato ospite dell’amico Giulio Bertoni a Galliano, oggi frazione del vicino paese di Eupilio e, come ricorda lo stesso Bertoni nel proprio Diario, in quella prima occasione si era immediatamente palesato l’entusiasmo di Segantini per i panorami brianzoli, tanto che l’artista aveva deciso immediatamente che quella sarebbe diventata la propria dimora, una volta terminato il periodo di formazione.
![Figura 1[14350].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2018/12/figura-114350.jpg?w=736)
L’auspicio di divenire un artista autonomo si realizza nel 1879, in occasione dell’esposizione di primavera dell’Accademia di Brera. L’opera Il coro di Sant’Antonio, che Segantini aveva eseguito l’anno prima, attrae l’attenzione del mondo della critica e gli fornisce l’occasione per il fondamentale incontro con il gallerista Vittore Grubicy (Milano, 1851 – 1920). L’obiettivo di Vittore era quello di scoprire i nuovi talenti della pittura italiana e di vincolarli alla propria attività, per creare un mercato nazionale di arte contemporanea: nel 1879 offre dunque il proprio mecenatismo a Segantini, tramite un contratto che prevede la completa amministrazione delle opere dell’artista, in cambio di uno stipendio mensile. Ottenuta quindi una certa sicurezza economica, Segantini e la compagna nel 1880 si mettono in viaggio e giungono a Pusiano, prima tappa del loro percorso, dove rimarranno fino al 1883.
Le rive del lago che caratterizzano questa località fanno da sfondo ad alcune delle opere di questi anni, come il dipinto Con le anitre, realizzato in due versioni, probabilmente per ragioni commerciali, fra il 1880 e il 1882. L’altra opera ambientata sul medesimo specchio d’acqua, con il paese di Bosisio Parini visibile all’orizzonte, è la celeberrima Ave Maria a trasbordo, del 1882. La scena presenta una famiglia di pastori che, durante l’attraversamento del lago per il trasporto di alcune pecore a bordo di una tipica imbarcazione lacustre, si ferma per la recita di una preghiera, probabilmente richiamata dal suono delle campane della chiesa visibile sullo sfondo. Ogni elemento della composizione, dal paesaggio, agli animali, alle figure umane, è pervaso da un grande sentimento di religiosità e pace. La grande novità di quest’opera risiede proprio nel fatto che la sacralità del momento è suggerita dalle stesse figure umane, in particolare dalla donna, accostabile ad una Madonna, nonostante sullo sfondo sia ben visibile un campanile, simbolo più “convenzionale” della religione.
Questa prima resa dell’opera deperisce tuttavia dopo pochi anni, a causa dell’annerimento della vernice sperimentale che Segantini aveva utilizzato per la rifinitura. La seconda versione, più celebre, verrà eseguita nel 1886, quando l’artista si trova già a Savognino, in Svizzera; ad esortarlo affinché il dipinto venga riprodotto è Vittore Grubicy, il quale, reduce da un illuminante viaggio in Europa, decide di insegnare al proprio protetto l’utilizzo di una nuova tecnica, quella del divisionismo. La seconda versione di Ave Maria a trasbordo può dunque considerarsi il primo passo di Segantini verso questa innovativa pratica artistica, della quale egli diverrà ben presto maestro indiscusso.
![Figura 2[14351].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2018/12/figura-214351.jpg?w=736)
Nel 1883 i Segantini, in seguito alla nascita di due dei loro quattro figli, Gottardo e Alberto, decidono di trasferirsi in un’abitazione più adeguata e, dopo varie peregrinazioni, si stabiliscono in una dimora signorile situata proprio nel centro del paese di Eupilio, località non distante da Pusiano.
Anche il nuovo villaggio è caratterizzato dalla presenza di un piccolo lago, il lago del Segrino, che costituisce l’ambientazione di una serie di sei opere dal titolo Cavalli al guado, aventi come tema centrale la presenza di due imponenti cavalli intenti ad abbeverarsi, tenuti a bada da un giovane contadino.
![Figura 3[14352].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2018/12/figura-314352.jpg?w=676&h=1133)
Nel 1884, anno coincidente con la svolta di Segantini verso una maggiore monumentalità e potenza cromatica, l’artista decide di recarsi momentaneamente verso la parte meridionale della Brianza.
La prima tappa di questo percorso è Inverigo, un paese situato al confine fra le province di Como e Lecco. Qui, nello stesso anno, l’artista realizza La benedizione delle pecore, opera nota anche con il titolo Il giorno di San Sebastiano, ambientata nel centro del paese. Sulla scalinata che porta al sagrato della chiesa, ripresa dal basso, un sacerdote è ritratto mentre benedice un gregge, in occasione della tradizionale festa di San Sebastiano, in base alla credenza popolare secondo la quale questa azione avrebbe preservato gli animali dalle malattie. L’attenzione principale è in questo caso riservata alla componente animale: numerose pecore affollano il primo piano del dipinto, mentre i pastori sono appena visibili in lontananza.
![Figura 4[14353].jpg](https://letterarti.files.wordpress.com/2018/12/figura-414353.jpg?w=736)
Dopo la sosta ad Inverigo, nel 1885 l’artista si sposta di nuovo, questa volta per una tappa nel paese di Veduggio con Colzano. Appartiene a questo periodo l’opera I commenti maligni, nota anche come Penitente o Non assolta, modificata qualche tempo dopo poiché il soggetto venne probabilmente ritenuto troppo anticlericale per poter essere commercializzato. In ogni caso, all’analisi ai raggi infrarossi (IR), l’opera originale risulta ancora visibile sotto la versione definitiva: essa raffigurava una ragazza madre intenta a scendere la scalinata centrale della chiesa di San Martino, piangendo a causa della mancata assoluzione dai suoi peccati. Alle sue spalle, in cima alla scalinata, tre monaci ridono di lei, appoggiati alla balaustra. Qualche tempo dopo, l’artista trasforma il soggetto del dipinto e gli dona il titolo A messa prima: al posto della ragazza, sulla scalinata è comparso un sacerdote che, reggendo il proprio breviario, risale lentamente i gradini che portano al sagrato della chiesa. In alto a sinistra è visibile la sagoma della luna, ad indicare che la scena è ambientata all’alba: il sacerdote si appresta dunque a celebrare la prima messa della giornata. La figura del sacerdote deriva dallo Studio per “A messa prima”, risalente al 1885; in questo caso, tuttavia, l’ambientazione è differente: si tratta di una lunga serie di gradini affiancata sui lati da due file di cipressi, che la storica dell’arte Annie-Paule Quinsac associa al viale che porta al Mausoleo della famiglia Visconti di Modrone, edificato fra il 1884 e il 1890 in stile gotico internazionale a Cassago Brianza, nei pressi di Veduggio.
![Figura 5[14354].png](https://letterarti.files.wordpress.com/2018/12/figura-514354.png?w=736)
Nello stesso anno, Segantini decide di spostarsi di nuovo, alla ricerca di una natura più selvaggia e maestosa; la Brianza sembra avere ormai esaurito il proprio fascino ai suoi occhi. Egli intraprende dunque un viaggio che lo condurrà, dopo varie peregrinazioni, a Caglio, un piccolo villaggio sulle Prealpi Lombarde; dopo aver trovato alloggio in alcune stanze di una casa situata nel centro storico del paese, inizia subito a lavorare ad una delle sue opere più celebri, Alla Stanga.
Soggetto principale della tela è lo steccato, dal quale deriva il titolo dell’opera, intorno a cui era solito svolgersi il mercato del bestiame, e dove troviamo legato il primo gruppo di vacche, organizzato su una linea diagonale. Oltre questo elemento si estende il vastissimo altopiano, punteggiato da rari alberi e covoni di fieno; ogni elemento del paesaggio è restituito con precisione estrema, come si può osservare, ad esempio, nei rami e nei fili d’erba in primo piano, resi attraverso un primissimo approccio alla futura tecnica divisionista. La parte superiore della tela, oltre le montagne che circondano l’area, è conclusa dal cielo e ridotto ad una bassa fascia orizzontale. La luce, che riverbera soprattutto sul dorso degli animali, suggerisce che il momento della giornata scelto dall’artista è il tramonto.
Il processo di creazione del dipinto è molto laborioso, poiché esso viene realizzato interamente en plein air: Segantini assolda tre uomini che, ogni giorno, si occupano di trasportare l’enorme tela presso il luogo prescelto. Una volta ancorata la tela al terreno, è la volta dei contadini, che conducono gli animali allo steccato: l’artista firma un apposito contratto per poterli avere a disposizione per l’intera durata della realizzazione del dipinto. L’unica modella che l’artista utilizza per l’opera, una ragazza del villaggio di nome Margherita, appare a destra, intenta ad occuparsi di una delle vacche; le altre figure umane vengono elaborate a partire da alcuni studi già esistenti. Ogni giorno, al termine del lavoro, la tela viene sganciata e riportata all’abitazione dell’artista. Per avere un’idea dei costi che Segantini deve sostenere per completare il dipinto, basti pensare che sia i tre uomini, sia Margherita saranno regolarmente stipendiati per tutta la durata dell’operazione, quindi per circa sei mesi.
L’opera ottiene un immediato successo e viene premiata con una medaglia d’oro all’Esposizione di Amsterdam del 1886; nello stesso anno viene poi presentata alla mostra organizzata dalla Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano. Nel 1888 sarà infine acquistata dal governo italiano e collocata nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dove è tuttora conservata.
Alla stanga è considerata la migliore testimonianza della svolta nel modo di dipingere di Segantini iniziata nel 1883: con i suoi quasi quattro metri di lunghezza, costituisce la prima opera di grandi dimensioni da lui realizzata, oltre che la prima in cui la natura si fa monumentale, tanto da sovrastare la presenza umana. Avviene proprio attraverso questa tela il passaggio alla fase matura della carriera dell’artista, che raggiunge l’apice negli anni successivi, contrassegnati dal suo trasferimento in Svizzera.
Negli anni trascorsi nel Cantone dei Grigioni, Segantini porterà a compimento le ricerche iniziate nella fase qui illustrata: complici i panorami selvaggi e incontaminati delle Alpi Svizzere, le sue tele si faranno via via più imponenti e dominate alla presenza della Natura, che si dispiega in tutta la sua maestosità sulla componente umana, al punto che talvolta quest’ultima scompare dalle sue opere.
L’artista muore prematuramente nel 1899, proprio nel mezzo della realizzazione dell’imponente Trittico delle Alpi, la sua ultima, grande opera rimasta incompiuta, ma non per questo cessa di esercitare il proprio ascendente sulle generazioni successive: a partire dalla sua lezione e da quella dei colleghi divisionisti, di lì a una decina di anni muoveranno i loro primi passi Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958) e Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882 – Verona, 1916), protagonisti della successiva stagione delle avanguardie storiche.
Chiara Franchi
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