Alessandria Scolpita 1450-1535. Sentimenti e passioni tra Gotico e Rinascimento

Avere gli occhi

Quando si decide di andare a vedere una mostra ci si dovrebbe sempre porre delle domande: quali motivi e quali ragioni hanno spinto i curatori a proporre un certo tipo di mostra, perché hanno scelto proprio queste opere, qual è l’obiettivo o gli obiettivi che si sono prefissati e soprattutto quali sono le novità apportate nel panorama degli studi; qual è il legame che ha questa mostra con la città e con il territorio in cui viene proposta e quali sono i possibili vantaggi che può apportare. Una mostra come Alessandria scolpita di ragioni ne ha tante, tutte virtuose e che chi scrive condivide pienamente. Come ha detto Massimo D’Azelio: «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani»; ecco, io credo che anche per il patrimonio sia un po’ la stessa cosa: il patrimonio c’è, bisogna però far in modo che tutti i cittadini ne abbiano consapevolezza. Quante volte, ahimè troppe, si sente dire «Qui non c’è niente di bello, di interessante».  Uno degli obiettivi della mostra è proprio quello di porre l’attenzione su ciò che ci circonda e che, fino a un momento fa, si credeva che non ci fosse, ma in realtà era lì, solo che non si avevano gli occhi per vederlo, per riconoscerlo. Riconoscere, questa è una delle parole chiave della mostra.  La tutela, infatti, ha un ruolo centrale in questa esposizione. Molte opere, come ha ricordato il curatore, Fulvio Cervini, nel corso della presentazione del catalogo, sono arrivate in mostra fresche di restauro, altre invece sono ancora da restaurare. Solitamente il restauro viene fatto quando il valore storico-artistico  di un’opera è stato già riconosciuto; in questo caso invece c’è qualcosa di assolutamente innovativo, infatti è possibile vedere da vicino, senza teche o altro a protezione, un restauro in corso d’opera, con i primi saggi di pulitura in bella vista.  L’opera in questione è il Compianto sul corpo di Cristo proveniente da Castellazzo Bormida nell’oratorio della Pietà, ed è il più antico Compianto presente sul territorio alessandrino. Un’opera che fino a vent’anni fa nessuno avrebbe mai degnato di uno sguardo. Questo restauro in corso è posto a mostrare tutte le ferite causate da insetti, umidità, negligenza: è un campanello d’allarme, un avvertimento su quanto il nostro patrimonio sia tanto diffuso su tutto il territorio, ma fragilissimo. Forse, esibire in mostra tutta questa fragilità aiuta a far creare quella consapevolezza di cui si parlava sopra; a onor del vero alcune situazioni si capiscono solo se si è dentro, se qualcuno le pone davanti alla faccia.  Un altro obiettivo della mostra è dimostrare i continui depauperamenti delle Soprintendenze, una volta molto più presenti sul territorio attraverso schedatori e catalogatori, oggi invece il dialogo, a causa di questi continui impoverimenti, è sempre più difficile. La valorizzazione, poi, sembra avere altre mete a cui ambire: grandi musei, grandi città metropolitane, a discapito di città più piccole, più provinciali, forse, ma non per questo meno importanti. L’Italia, lo si sente dire frequentemente, è un museo diffuso, ricco di tesori, a volte posti in piccole chiese o oratori campestri che, troppo spesso, sono lasciati in completo abbandono. Si è ormai abituati a mostre di intrattenimento, fatte con l’unico obiettivo di una fredda statistica finale in cui l’unica cosa interessante sembra essere data dai numeri; questa non è quel tipo di mostra; è invece proposta con il preciso obiettivo di risvegliare gli animi da quel torpore a cui ci hanno abituati, di renderci un po’ più orgogliosi di ciò che abbiamo sul territorio e magari, perché no, di saper cogliere l’occasione, in modo lungimirante, di far diventare una mostra, di alto livello, in  un volano anche per l’economia locale.  Senza dimenticare che tutto, come si è detto più volte, parte dalla consapevolezza. Scritta questa premessa doverosa, ora addentriamoci nella mostra.

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Fig.1 Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, Anconetta con Adorazione dei pastori, 1495-1500, Oulx (Torino), collezione Pozzallo.

La mostra

Alessandria scolpita, a cura di Fulvio Cervini, indaga un arco di tempo ben preciso, come si evince già dal sottotitolo. Alessandria, tra il 1450 e il 1535, era sottoposta alla dominazione sforzesca e si poneva come un luogo di convergenza e di confronto fra forze e culture diverse. La sua posizione le permetteva di avere un ruolo di cerniera sia con le vicine Aqui, Asti, Casale e Tortona sia con due fronti specifici: da una parte Milano, Pavia e Cremona dall’altra Genova e Savona.  Questi continui dialoghi si sono ovviamente manifestati in un rinnovamento figurativo, in cui la protagonista è la scultura lignea policroma. Proprio la scultura è stata in questi anni, nell’alessandrino, la «spina dorsale», come sostiene Fulvio Cervini, e ha saputo dialogare sia con la pittura sia con le arti suntuarie, in particolare l’oreficeria, quest’ultima presente in mostra con alcune croci astile e altri arredi liturgici. La mostra è divisa in tre sezioni: ad accogliere il visitatore è una Madonna a scrigno proveniente da Pozzolo Formigaro, è in realtà una tipologia molto rara in ambito subalpino, ma questa iconografia è molto diffusa a nord delle Alpi.

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Fig.2 Scultore e pittore renani; pittore di cultura lombarda, Madonna a scrigno, 1360 e seconda metà del secolo XV, Pozzolo Formigaro (Alessandria), Palazzo Municipale (dalla chiesa della Madonna delle Ghiare).

Fin da subito, quindi, si invita il visitatore a cogliere le influenze, di varia provenienza, presenti in questo territorio. Non solo modelli nordici, ma come si è detto, molto forti sono anche quelli in ambito milanese e pavese per questo, nel percorso espositivo, sono collocate opere di Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati e di Giovanni Angelo del Maino, proprio a sottolineare le influenze esercitate da queste botteghe nell’alessandrino (come ad esempio il bel Compianto su Cristo morto dell’Oratorio dei Bianchi di Serravalle Scrivia del 1510-1515 eseguito da uno scultore alessandrino – nell’immagine di copertina – ). Non mancano opere di pittura con la presenza di due artisti noti in questa zona proprio in questo periodo: Gandolfino da Roreto, di cui è presente il trittico di Quargneto, e Giovanni Mazone, un pittore, che lavora soprattutto a Genova, e che qui è presente con alcune tavole, tra cui una Crocifissione della Pinacoteca di Savona. A conclusione della mostra è posta la macchina d’altare progettata da Giorgio Vasari per Santa Croce a Bosco Marengo che chiude idealmente questo periodo, ma apre anche a nuove modalità espressive; anche qui si è di fronte a un oggetto che nessuno aveva più visto dal XIX secolo. L’unica critica è relativa all’illuminazione, purtroppo risulta un po’ di disturbo il colore rosso dei pannelli riflesso dalla luce, provoca un effetto camera oscura. Anche per quanto riguarda le didascalie è preferibile scriverle nero su bianco e con caratteri un po’ più grandi. A corredare la mostra un catalogo di tutto rispetto firmato, oltre che dal curatore della mostra Fulvio Cervini, anche da studiosi del calibro di Guido Gentile, Carla Enrica Spantigati, Rossana Vitiello, per citarne alcuni.

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Fig. 3 Scultore dei Paesi Bassi meridionali, Pietà, 1500-1520, Merana (Alessandria), parrocchiale di San Nicolao e di Maria Ausiliatrice.

Per concludere cito le parole di Fulvio Cervini «un catalogo così e una mostra come questa non sarebbero possibili senza la COMPETENZA delle persone», parole molto gradite e condivise da chi scrive e dal collega Marco Audisio, visto che viviamo in un mondo del lavoro in cui troppo spesso la competenza data da anni di studi è posta all’ultimo posto.

Informazioni per visitare la mostra:
Dal 14 dicembre 2018 al 5 maggio 2019
Palazzo Monferrato, via San Lorenzo 21, Alessandria
Da martedì al venerdì 16,00 – 19,00; sabato e domenica 10,00 – 13,00 / 16,00 -19,00; lunedì chiuso.
info@palazzomonferrato.it
http://www.palozzomonferrato.it

Maura Mattachini

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