“Romanticismo”: una grande lezione sull’Ottocento italiano a Milano

“Il mondo deve essere romanticizzato. Così si ritrova il senso originario… Se attribuisco a ciò che è comune un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita, io lo romanticizzo…”

Attraverso queste parole del filosofo e poeta tedesco Novalis (pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg; Schloss Oberwiederstedt, 1772 – Weißenfels, 1801) si potrebbe tentare di definire l’essenza di quella tendenza artistica, letteraria e musicale che, sviluppatasi in Occidente fra gli ultimi decenni del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, prende il nome di Romanticismo, protagonista di una grande mostra visitabile a Milano fino al prossimo 17 marzo. Si tratta della prima, grande esposizione italiana interamente dedicata a quegli anni cruciali durante i quali, fra il Congresso di Vienna del 1814 e i moti rivoluzionari del 1848, il nostro paese intraprese il fondamentale percorso verso l’Unità Nazionale, l’indipendenza e la modernità.
La mostra, curata da Fernando Mazzocca e promossa da Intesa Sanpaolo, offre al pubblico la possibilità di ammirare ben duecento opere di pittura, scultura e miniatura – alcune prestate da celebri istituzioni straniere, come l’Ermitage di San Pietroburgo – e si sviluppa su due sedi: la parte più consistente di essa è allestita presso le Gallerie d’Italia, mentre una piccola appendice è visitabile a pochi passi da Piazza della Scala, nell’affascinante contesto del Museo Poldi Pezzoli.
Il Romanticismo costituisce una fase della storia sociale e culturale europea assai difficile da sintetizzare, tanto esteso e variegato fu il fenomeno: promossa dai fratelli filosofi Friedrich (Hannover, 1772 – Dresda, 1829) e August (Hannover, 1767 – Bonn, 1845) von Schlegel, l’estetica romantica ebbe uno straordinario successo soprattutto in Germania, per poi diffondersi negli altri paesi del Vecchio continente.

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Fig. 1 Carlo Canella, Porta Tosa a Milano (il 22 marzo 1848), 1848-1850, Milano, Gallerie d’Italia.

Generalmente, l’esperienza romantica viene posta in antitesi con la precedente fase neoclassica; il termine di confronto privilegiato non è più, infatti, l’arte romana e greca, con i suoi valori di armonia, equilibrio e idealizzazione della realtà, ma la cultura medievale. Lo stesso aggettivo romantic era stato coniato infatti in Inghilterra, alla fine del XVI secolo, proprio per caratterizzare in senso dispregiativo gli antichi romanzi cavallereschi; il termine era poi stato esteso a definire gli scenari nei quali le trame delle romanze si collocano, spesso ambientati in contesti selvaggi, malinconici e misteriosi. Infine, erano stati gli intellettuali tedeschi, in particolare i già citati fratelli Schlegel, a legare indissolubilmente l’aggettivo “romantico” alle radici medievali delle culture delle nascenti nazioni europee. Gli accadimenti storici che caratterizzano il continente agli albori dell’Ottocento non sono certo un fattore trascurabile per quanto riguarda la nascita di questa nuova sensibilità: nel 1814, all’indomani del Congresso di Vienna, i confini degli stati erano stati riportati alla situazione pre-napolenonica, favorendo il recupero delle singole identità nazionali. I ritrovati valori di religiosità, di “popolo” e la fede nell’unicità delle proprie tradizioni sono dunque predominanti nelle espressioni culturali romantiche e favoriscono, ad esempio in pittura, il predominio di soggetti storici legati sia alle antiche leggende popolari, sia agli eroi nazionali contemporanei. All’esaltazione dello spirito collettivo si oppone un’opposta esigenza, vissuta da intellettuali e artisti, legata alla dimensione interiore e che trova riflesso soprattutto nella pittura di paesaggio, dove gli elementi naturali non sono più semplicemente imitati e idealizzati, ma divengono un riflesso dello spirito, spesso tormentato, del loro creatore. L’estro dell’individuo non è più imbrigliato in schemi o retaggi accademici, ma può dare liberamente sfogo alla propria originalità: assistiamo alla nascita di una nuova figura emblematica, quella del genio solitario e ribelle.
Questa lunga premessa è necessaria per introdurre più nel dettaglio le numerose sezioni (sedici alle Gallerie d’Italia, cinque al Museo Poldi Pezzoli) nelle quali si articola la mostra che, mediante un’accurata suddivisione tematica, segue passo dopo passo gli sviluppi del Romanticismo italiano, senza omettere le parallele vicende europee.
Una assai consistente parte dell’esposizione alle Gallerie d’Italia è dedicata al vasto tema della pittura paesaggistica, sia naturale che urbana. Come accennato nell’introduzione, per gli artisti romantici la rappresentazione del mondo esteriore, qualunque fosse la sua natura, divenne un pretesto per rielaborare in chiave simbolica la propria interiorità, ma anche per tentare di esprimere in chiave visiva il senso di mistero e di infinito emanato dagli scenari più selvaggi e incontaminati.

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Fig. 2 Da sinistra: Caspar David Friedrich, Luna nascente sul mare, 1821, San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage e Angelo Inganni, Veduta sulla piazza del Duomo con il Coperto dei Figini, 1838, Milano, Palazzo Morando – Costume Moda Immagine.

Capostipite di questa tendenza fu il tedesco Caspar David Friedrich (Greifswald, 1774 – Dresda, 1840), che apre la prima parte dell’esposizione con l’opera Luna nascente sul mare, del 1821. Questo dipinto sintetizza molte delle sfaccettature attraverso le quali verrà declinato il paesaggio dagli artisti romantici, che contribuiranno così a restituire dignità ad un genere tradizionalmente considerato dalle Accademie “minore” e relegato soprattutto alla committenza borghese. L’opera di Friedrich presenta una veduta marina vasta e misteriosa, al cospetto della quale la presenza umana appare irrimediabilmente sovrastata; le piccole figure che vi compaiono, in atteggiamento contemplativo, sembrano esserne consapevoli, così come quasi palpabile appare il senso di tranquillità ma allo stesso tempo di grandiosità e di minaccia latente, che traspare dalla scena. Anche il fascino per le ambientazioni notturne è una conquista tutta romantica, così come la riscoperta dell’attrazione esercitata dalla luce della luna, una delle maggiori fonti d’ispirazione di pittori, poeti e musicisti.
Talvolta, all’intero di maestosi scenari naturali, vengono inserite scene storiche, legate alla contemporaneità o all’antichità medievale, o addirittura religiose, come nel caso del Panorama dell’Adda con la Sacra Famiglia di Giovanni Carnovali detto Il Piccio (Montegrino, 1804 – Cremona, 1873). Trovano dunque un certo seguito anche le ricerche intraprese da artisti del Seicento quali Nicolas Poussin (Les Andelys, 1594 – Roma, 1665) e Claude Lorrain (Chamagne, 1600 – Roma, 1682), sebbene cadano in disuso le consuete ambientazioni serene e bucoliche e gli episodi legati all’antichità classica.
Un altro tipo di scenario esplorato da molti degli artisti ottocenteschi è quello cittadino, come ben esemplificano i numerosi dipinti che ritraggono le “città sull’acqua”, come Parigi, Milano e, ovviamente, Venezia, o anche le straordinarie vedute del Duomo meneghino realizzate da Angelo Inganni (Brescia 1807 – Gussago 1880). Nei dipinti di Inganni la Cattedrale, esemplare superbo di architettura gotica e per questo motivo particolarmente amata, appare ripresa da tagli ed angolazioni differenti, con occhio quasi fotografico. Davanti ad essa si svolgono spaccati di vita quotidiana e dei suoi abitanti, fra i quali uno spazio significativo è donato ai nuovi eroi della contemporaneità, i cosiddetti “emarginati”. Ad essi è dedicata un’intera sezione della mostra, nella quale compaiono soprattutto figure di bambini e ragazzi, in linea con il grande successo avuto nei primi anni del secolo da questi nuovi protagonisti della cultura popolare, come testimoniano anche i coevi romanzi di Charles Dickens (Portsmouth, 1812 – Higham, 1870) o Victor Hugo (Besançon, 1802 – Parigi, 1885).

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Fig. 3 Francesco Hayez, Ritratto dell’Innominato, 1845 circa., Collezione privata.

L’Ottocento è anche il secolo nel quale vide la luce uno dei massimi capolavori della letteratura italiana, I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni (Milano, 1785 – 1873); il suo straordinario successo è ben testimoniato in mostra da una ricca esposizione dei ritratti dei personaggi principali che, sin dalla pubblicazione del romanzo, vennero realizzati da alcuni dei maggiori artisti del periodo, come Giuseppe Molteni (Affori, 1800 – Milano, 1867) amico e consulente di Gian Giacomo Poldi Pezzoli e, ovviamente, Francesco Hayez (Venezia, 1791 – Milano, 1882).
Parallelamente al grande successo di questo capolavoro contemporaneo, è proprio nel corso dell’Ottocento che avvenne la riscoperta della Divina Commedia di Dante Alighieri (Firenze, 1265 – Ravenna, 1321). Se, infatti, durante la precedente epoca illuminista il capolavoro di Dante aveva subito una decisa svalutazione, poiché giudicato inconciliabile con le idee del Razionalismo divulgate dai philosophes francesi, il Romanticismo recuperò ed esaltò il celeberrimo poema proprio per il suo essere quasi un manifesto delle passioni e dei sentimenti più irrazionali. Oggetto di questa grande fortuna critica fu in particolare la cantica dell’Inferno, come testimoniano anche i numerosi dipinti esposti nella sezione della mostra dedicata al culto dantesco, collocata, mediante un interessante parallelismo, in prossimità dello Studiolo Dantesco di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, il piccolo gabinetto privato, progettato da Giuseppe Bertini (Milano, 1825 – 1898), il cui tema decorativo è proprio ispirato a Dante e all’epoca medievale.

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Fig. 4 Friedrich Von Amerling, Ritratto della baronessa Henriette von Pereira-Arnstein con la figlia Flora, 1833, Vienna, Belvedere.

Come accadde alla pittura paesaggistica, anche il ritratto ebbe in età romantica un nuovo slancio, che contribuì ad affrancarlo dalla rosa dei generi minori. Assiduamente praticato da tutti i principali artisti, anche da coloro non specializzati nella ritrattistica, questo genere venne reinterpretato in chiave intimistica, al fine di dare conto non tanto dell’aspetto o del ceto sociale dell’effigiato, ma dei suoi interessi e valori.

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Fig. 5 Da sinistra: Giacomo Trécourt, Educazione della Vergine, 1839, Villongo (Bergamo), chiesa parrocchiale di San Filastro e Luigi Mussini, Il trionfo della Verità, 1847, Accademia di Brera, Milano.

Nonostante la rivalutazione del paesaggio e del ritratto, i generi storici e sacri continuarono ad essere considerati fra i più nobili a cui approcciarsi, anche in virtù del fatto che, soprattutto in epoca risorgimentale, tali scene venivano utilizzate per veicolare messaggi sociali e politici. Lo dimostra, ad esempio, la grande fortuna goduta dal tema dell’Educazione della Vergine, di cui in mostra sono posti a confronto quattro diversi esemplari, poiché emblematico del ruolo educativo della nuova chiesa progressista, più vicina al popolo.
La pittura storica condivise la stessa missione didascalica, privilegiando la rappresentazione di episodi appartenenti non più all’antichità, ma alle recenti vicende dell’Italia; le figure dei più celebri eroi moderni divennero il mezzo attraverso cui motivare e spronare le giovani generazioni a impegnarsi nella vita politica e civile, per perseguire e portare a compimento gli ideali risorgimentali. Lo stesso può dirsi per il neonato culto degli uomini illustri del passato, che ebbe un’eco assai ampia in tutta l’area lombarda e travalicò i confini dell’arte per divenire un vero e proprio mezzo educativo laico destinato a tutti i ceti sociali, alternativo ai più diffusi principi della chiesa cattolica. Lo dimostra, ad esempio, il grande Famedio costruito all’interno del Cimitero Monumentale di Milano, inaugurato pochi anni dopo la raggiunta Unità nazionale, destinato proprio alla trasmissione della memoria dei grandi personaggi storici italiani, divenuti i nuovi modelli delle future generazioni.

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Fig. 6 Vincenzo Vela, Spartaco, 1850, Lugano, Palazzo Civico (MASI – Museo d’Arte della Svizzera Italiana).

Anche la scultura è ben rappresentata all’interno della mostra, dove viene sottolineato il passaggio dalla fase neoclassica a quella romantica; se il materiale prediletto resta il marmo, cambiano anche in questo caso i riferimenti culturali: non ritroviamo più solo la purezza ideale di forme della statuaria greca, che aveva trovato massimo compimento nella produzione di Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822), ma anche nuove pose ed espressioni più drammatiche ed accentuate, che si richiamano ai capolavori di Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598 – Roma, 1680). Ne sono un esempio due opere simbolo del Romanticismo scultoreo, che ritraggono altrettanti eroi popolari: il Masaniello di Alessandro Puttinati (Verona, 1801 – Milano, 1872) e lo Spartaco dello svizzero Vincenzo Vela (Ligornetto, 1820-1891).
Sono assai pochi i caratteri comuni individuabili nella vastità dell’esperienza romantica, anche perché essa, a differenza dei linguaggi che l’avevano preceduta, non interessò solo il panorama strettamente culturale, ma determinò un cambiamento radicale del gusto, della mentalità, dei valori e della coscienza di un’intera epoca. “Romanticismo” cerca di far luce sulle varie esperienze individuali dei personaggi che contribuirono a definire questo importante periodo storico, attraverso un approccio didascalico e quasi manualistico. Forse un poco troppo ampia e ripetitiva risulta la prima parte dell’esposizione alle Gallerie d’Italia, dedicata alla pittura paesaggistica, mentre assai interessanti sono i percorsi volti ad integrare arte, letteratura e storia, discipline che troppo spesso vengono trattate separatamente. Perfetta la collocazione della seconda parte all’interno della dimora di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, un personaggio che, in quanto estremamente attivo sia nell’ambiente culturale del primo Ottocento che in quello civile e politico, si pone perfettamente in linea con tutto ciò che viene raccontato nelle numerose sezione nelle quali si articola la mostra che, grazie alla sua vastità e all’accuratezza, si configura come una grande lezione sul Romanticismo italiano.

Chiara Franchi

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