Palazzo Reale a Milano offre fino al 2 giugno prossimo una straordinaria occasione per vedere alcune delle opere di Antonello da Messina (1430-1479). La mostra è curata da Giovanni Carlo Federico Villa insieme alla collaborazione fra Regione Sicilia, Comune di Milano – Assessorato alla Cultura, Palazzo Reale e Mondo-Mostre Skira che ha anche curato oltre che la mostra anche il “catalogo”. Fin qui l’antefatto. Arrivato presso la piazzetta Reale, dopo aver fatto circa un quarto d’ora di coda, entro nei locali del piano terreno di Palazzo Reale dove attendo di fare il biglietto. Sbrigate le pratiche burocratiche decido di prendere l’audioguida compresa nel prezzo, lascio lo zaino nel guardaroba e finalmente mi dirigo a vedere la mostra. La prima sala: a sinistra una linea del tempo con i principali avvenimenti della vita di Antonello (a dire il vero oltre modo generici), a destra un quadro ottocentesco raffigurante l’educazione di Antonello da Messina nella bottega di Giovanni Bellini (informazione storicamente errata e non supportata da evidenti prove documentarie).

La sala era piccola e le persone, per lo più anziani o meglio anziane, creavano un fastidioso brusio senza contare il rumore dell’audioguida, compresa la mia, che senza delle adeguate cuffiette accentuava ancora di più l’inquinamento acustico. Insomma un inizio non dei migliori. Si prosegue, si imbocca un corridoio stretto, si gira a sinistra ed ecco che si arriva alla prima sala vera e propria della mostra. La sensazione è stata un po’ straniante: a sinistra si vede un enorme espositore di legno a mo’ di altarolo a due ante aperte al cui centro (non) si vedeva il magnifico San Gerolamo nello studio proveniente dalla National Gallery di Londra perché una massa di persone copriva completamente l’opera. Sulla destra invece si trova un altrettanto ingombrante espositore simulante sempre una sorta di altare votivo a due ante di colore grigiastro, al cui centro si può ammirare il taccuino del grande conoscitore e storico dell’arte Giovanni Battista Cavalcaselle (1819-1897) raffigurante uno schizzo del San Gerolamo nello studio di Londra quando ancora portava un’attribuzione al pittore fiammingo Jan Van Eych (1390-1441).

In questo caso la massa dei corpi dei visitatori non disturbava la lettura del taccuino: è come se nessuno fosse interessato a quella parte di mostra. Un vero peccato, perché al di là delle opere di Antonello, i taccuini di Cavalcaselle rappresentano la parte più interessante e se vogliamo più critica dell’esposizione. Fastidiosissimo l’allarme messo a protezione del San Gerolamo, di tutte le opere in mostra solo se ci si avvicina oltre modo a quel dipinto scatta una sirena che letteralmente quasi assorda il visitatore. Al di là dell’allarme, a tenere lontano da una decente fruizione il visitatore ci sono anche delle barriere di legno simili a transenne che non permettono di poter vedere adeguatamente l’opera avvicinandosi per poterne vedere i particolari. Se da un lato questi ostacoli sono necessari ai fini della conservazione e preservazione dei dipinti (cosa buona e giusta), dall’altra impediscono fisicamente a chiunque (dal semplice visitatore curioso allo storico dell’arte) di godere dei capolavori esposti, a maggior ragione se di dimensioni così ridotte come i quadri di Antonello da Messina. Nella seconda sala si può ammirare, più o meno, la piccolissima tavoletta del Museo Regionale di Messina, raffigurante la Madonna col Bambino e un Santo francescano in adorazione sul recto e un Cristo in Pietà sul verso. Poco più avanti invece si trova la stupefacente Crocifissione del Museo di Sibiu in Romania con accanto gli schizzi dei taccuini di Cavalcaselle che rappresentano le osservazioni dello storico dell’arte fatte però su un’altra Crocifissione, ovvero quella della National Gallery di Londra.

Nella sala successiva ecco che si inizia a prendere confidenza con i ritratti di Antonello: a destra si vede il Ritratto d’uomo dei Musei Civici di Pavia, mentre a sinistra il Ritratto di “Marinaio” del Museo Culturale di Cefalù. Entrambi questi bellissimi esemplari della ritrattistica di Antonello nonché del nostro Rinascimento hanno sofferto molto, infatti il loro stato conservativo non è dei migliori; tutte e due le tavolette presentano un imbarcamento del legno e sono altresì evidenti tracce di ridipintura sulle rispettive superfici pittoriche. Nella sala quattro, un’unica opera si dischiude agli occhi del visitatore, si tratta del Ritratto di giovane (1474 circa) del Philadelphia Museum of art. Anche in questo caso il dipinto ha subito l’incuria e forse anche l’inciviltà dell’uomo, infatti anche in questo caso, il dipinto è stato fortemente manomesso e ridipinto in anni addietro ed è stato riportato in un buono stato conservativo solo di recente.

Ho trovato insensati gli ingrandimenti fotografici di alcuni particolari di questo come di altri dipinti esposti in mostra specie se le fotografie esposte, prodotte evidentemente per far meglio capire determinati particolari delle opere dell’artista, erano sfocate e con una evidentissima presenza di pixel che non hanno migliorato la fruizione dell’opera, anzi se mai tendono a rovinarla. Nella sala cinque si trovano invece, riuniti per l’occasione, i pezzi di un antico polittico di Antonello le cui vicissitudini collezionistiche non mettono ancora d’accordo tutti gli studiosi. Federico Zeri aveva già ipotizzato un provenienza del polittico da un complesso benedettino, vista anche la presenza, nello scomparto di destra, di San Benedetto, da qui è poi infatti derivata l’ipotesi che il polittico fosse stato commissionato per il monastero benedettino femminile di Palma di Montechiaro, tuttavia altri studiosi propendono per una provenienza dalla chiesa di San Giacomo Maggiore a Caltagirone. Il polittico è costituito da un pannello centrale raffigurante la Madonna col Bambino e due angeli reggicorona e da due scomparti laterali: a sinistra San Giovanni evangelista e a destra San Benedetto. Questi tre pannelli sono oggi riuniti in una cornice moderna che tuttavia segue l’andamento sagomato delle tavole; mentre accanto a questo “trittico” sono sistemate altre tre tavolette con Sant’Agostino, San Girolamo e San Gregorio Magno che gli studiosi hanno ipotizzato provenire dallo stesso complesso. Questi tre dottori della chiesa (uno è andato perduto) hanno subito in tempi antichi, come molte tavole di Antonello da Messina, forti ridipinture che ne hanno causato la difficoltà attributiva nonché cronologica (come d’altronde molti dipinti dell’artista), il che non ha facilitato nemmeno la ricostruzione della loro originale appartenenza a questo complesso.

La sala sei prova a raccontare i diversi polittici che l’artista ha eseguito durante la sua vita (alcuni dei quali non sono presenti alla mostra per via del loro precario stato di conservazione) come il Polittico di San Gregorio oggi conservato al Museo Nazionale di Messina e la splendida quanto lacunosa Annunciazione della Galleria Regionale di Siracusa. Grandi assenti sono anche la famigerata Pala di San Cassiano eseguita a Venezia nel 1476, ma oggi conservata a Vienna presso il Kunsthistorisches Museum o ancora lo straordinario San Sebastiano di Dresda. Tutte queste opere che da sole avrebbero potuto costituire una mostra su Antonello sono solamente evocate da alcuni modesti pannelli che ne spiegano, oltre che brevemente la storia, anche la tecnica pittorica. Al loro posto sono presenti alcun schizzi, davvero straordinari, di Cavalcaselle che fu uno tra i primi a saper dare alle opere di Antonello una lettura critica adeguata. Piacerebbe, allo stato attuale delle nostre conoscenze, sapere se e in che misura i contatti di Antonello con Venezia e in particolare con Giovanni Bellini abbiano influenzato l’artista e quanto invece Antonello abbia carpito dalle frequentazioni con Bellini. Sintomatico è a proposito ricordare che tra la Pala di San Cassiano di Antonello da Messina e la Pala di San Giobbe di Giovanni Bellini gli storici dell’arte sono ancora in disaccordo nel decidere quale delle due opere venga prima e quale dopo. Non si è ancora del tutto certi se il viaggio di aggiornamento di Antonello a Venezia fu per lui davvero di aggiornamento o se l’arrivo dell’artista siciliano rappresentò invece per gli artisti veneziani (Giovanni Bellini in primis) motivo di aggiornamento sulle novità introdotte da Antonello nella pittura a olio. Una cosa interessante della mostra milanese è la lettera di Ludovico Sforza, detto il Moro, inviata nel 1476 ad Antonello (quando questi era a Venezia) dopo la morte del ritrattista ufficiale della corte sforzesca, ossia Zanetto Bugatto (1440-1476), un tempo conosciuto come il maestro della Madonna Cagnola e mandato dallo Sforza nelle fiandre per apprendere i segreti della pittura a olio poco prima della sua scomparsa. Il destino ha però voluto che la morte prematura di Antonello abbia spianto la strada a Leonardo da Vinci giunto a Milano alla fine del 1482. La mostra, che pure dà conto di tutti questi importantissimi avvenimenti per la storia dell’arte dell’Italia settentrionale, evoca molte delle cose dette fin qui senza mostrarle concretamente e questo è un vero peccato.

La visita prosegue nella sala sette dove si possono ammirare i due ritratti Trivulzio, ovvero sia il Ritratto d’uomo (Michele Vianello?) della Galleria Borghese di Roma sia il magnetico Ritratto d’uomo dei Musei Civici di Palazzo Madama di Torino, donato alle collezioni civiche torinesi in cambio della resa della collezione Trivulzio alla città di Milano dopo che questa ha rischiato di lasciare il capoluogo lombardo che l’aveva vista nascere. Quest’ultima opera presenta un espositore decisamente più consono all’occasione, infatti in questo caso l’opera è sì inserita in una teca (per via della sua conservazione) ma non vi è traccia di quel ingombrante e un poco osceno catafalco a due ante che abbiamo incontrato fin qui.

Nella sala otto della mostra si trova la Madonna col Bambino proveniente dalla National Gallery di Washington al centro di numerosi dibattiti attribuzionistici per via del suo non omogeneo stato di conservazione e quindi anche per via del suo disomogeneo livello qualitativo, che ha portato talvolta gli storici dell’arte a dubitare della completa paternità dell’opera ad Antonello. Il manto rosso con cui è avvolto il piccolo e tenero Gesù bambino nonché il volto di quest’ultimo lasciano aperti alcuni dubbi. La sala nove vede protagonista la splendida Annunciata (1473-1476) della Galleria Regionale di Palermo, uno dei vertici assoluti della produzione di Antonello nonché uno dei vertici della storia dell’arte italiana. Il volto di questa giovane donna è avvolto in un manto azzurro che ne mette in risalto i tratti fisionomici, lineamenti di una dolcezza pura e incorruttibile: casta. Anche la gestualità di questa giovane donna è di una eloquenza assoluta: con un gesto quasi impercettibile ella, che si è appena distolta dalla lettura del suo libro, appoggiato ad un povero leggio in legno, fa gesto all’Angelo (che noi non vediamo) che è pronta a ricevere lo Spirito Santo, e che è dunque pronta ad andare incontro al suo destino di madre del Messia.

Nella sala dieci è presente l’Ecce Homo (1473) di Piacenza, timida ombra di quello che un tempo doveva essere un altro capolavoro del maestro, infatti anche quest’opera cela uno stato conservativo assai precario e se ci si avvicina un poco si potrà osservare come l’intera superficie pittorica non superi i tre millimetri di spessore. Anche per quest’opera fragilissima esiste nei taccuini di Cavalcaselle uno schizzo davvero molto fedele al dipinto originale che rivela la straordinaria abilità dello storico dell’arte nel cogliere ogni minimo dettaglio dei quadri di Antonello da Messina.

Inoltre nella medesima sala si può ammirare anche il Cristo morto sostenuto da tre angeli proveniente dal Museo Correr di Venezia, giunto a noi in uno stato conservativo davvero disgraziato, devastato da un restauro ottocentesco eseguito da qualche restauratore imbecille e incompetente che ne ha causato l’irrimediabile perdita dei tratti fisionomici dei volti degli angeli e di Cristo. Solo il restauro di Mauro Pelliccioli ha permesso al dipinto di riacquistare, almeno in alcuni tratti come lo sfondo o i corpi di Cristo e degli angeli, uno stato conservativo e di lettura quantomeno sufficiente per poterlo nuovamente ammirare oggi.

Arrivati all’undicesima sala siamo giunti anche alla fine della mostra. Nella sala si può vedere il miniaturistico quanto bellissimo Ritratto di giovane dello Staatliche Museen di Berlino, unico fra i ritratti di Antonello a presentare un paesaggio sullo sfondo. Chiude la mostra la Madonna col Bambino dell’Accademia Carrara di Bergamo, opera iniziata da Antonello e conclusa dal figlio Jacobello che appone l’iscrizione: “1480 XIII ind. Meis Decebris/ Jacobus Anto.li filiu no/humani pictoris me fecit”. Un’iscrizione che è un omaggio al padre, scomparso nel 1479, che aveva lasciato incompiuta l’opera, la quale dichiara che tale opera fu fatta da “pittore non umano”. E quale chiusa migliore si potrebbe trovare per spiegare la parabola di questo pittore straordinario?

Al di là della straordinaria occasione di poter ammirare tutta in una volta più dei due terzi della produzione di Antonello da Messina, la mostra ha delle pecche: gli espositori, in primo luogo, sono un forte deterrente alla buona fruizione delle opere. Le macro fotografie sfocate risultano un disincentivo alla scoperta della tecnica pittorica di Antonello; il “doppio binario” fra le opere di Antonello e gli schizzi nonché la visione critica di Giovan Battista Cavalcaselle è troppo sbilanciato a favore delle prime e si sarebbe potuto dare maggiore enfasi al secondo aspetto, cosa che è stata fatta, anche se si parla di un contesto diverso, per la mostra su Caravaggio. Il prezzo del biglietto fissato a 14 euro è assolutamente lontano da ogni qualsivoglia forma democratica di accesso alla cultura e anzi disincentivante nei confronti delle fasce di popolazione medio-basse che vogliono fruire dell’arte. Il catalogo della mostra non è proprio un vero catalogo, ma sta a metà strada tra un catalogo e una monografia a tutto campo delle opere dell’artista. Un aspetto positivo viene dai pannelli di sala: anche se estremamente sintetici riescono a dare una panoramica delle principali tappe della vita e delle opere dell’artista; decisamente buona anche l’illuminazione tranne che per le teche con all’interno i taccuini di Cavalcaselle, che essendo fatte di plexiglas creavano un fastidioso riverbero nonché delle ombre che non permettono di fruire dei disegni nel modo corretto. Inoltre, e questa è una constatazione che esula in parte dagli aspetti espositivi della mostra, il formato spesso molto piccolo delle opere di Antonello e la ressa di persone che si accalcano davanti ad esse per ammirarle, costringendo a volte a deviare la visita della mostra verso le opere “meno affollate” per riuscire finalmente a vedere qualcosa, mi fa dire, con un po’ di ironia che questa mostra milanese su Antonello da Messina c’è ma non si vede!
Marco Audisio
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