Vita e arte di Mario Sironi, sessant’anni dopo

Fino al prossimo 27 marzo il Museo del Novecento di Milano ospita la mostra “Mario Sironi. Sintesi e grandiosità”, un’ampia retrospettiva che, attraverso più di 100 opere, ripercorre la carriera del celebre artista (Sassari, 1885 – Milano, 1961), a sessant’anni esatti dalla morte. L’esposizione è stata resa possibile grazie alla collaborazione con l’Associazione Mario Sironi di Milano e l’Archivio Mario Sironi di Romana Sironi, di Roma, ed espone, accanto alle opere più note ed emblematiche del pittore, anche dipinti meno conosciuti o inediti, diversi dei quali provenienti da collezioni private.
Il criterio scelto per l’ideazione del percorso è cronologico: le numerose sale della mostra, introdotte da pannelli didascalici brevi ma esaustivi, conducono infatti attraverso tutte le stagioni della produzione di Sironi, a partire dall’esordio, avvenuto a Roma, città nella quale trascorse l’infanzia e la giovinezza, sino alla morte: accanto alle prove futuriste e novecentiste, movimenti che più di altri resero universalmente noto l’artista, trovano posto episodi meno conosciuti, come le sperimentazioni avanguardistiche, oppure opere che testimoniano la sua vicenda umana e l’impegno politico, accanto a quello artistico.

Fig. 1 Mario Sironi, Ritratto del fratello Ettore, 1910 ca., Roma, Archivio Mario Sironi di Romana Sironi.

Come si apprende nella prima sala, Sironi si approccia alla pittura ancora adolescente, agli albori del XX secolo, compiendo alcuni passi che lo accomunano ad altri artisti a lui contemporanei, primo fra tutti l’amico Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882 – Verona, 1916): ad un primo contatto con il simbolismo, segue, grazie all’incontro con il più maturo Giacomo Balla (Torino, 1871 – Roma, 1958), l’avvicinamento al divisionismo, che l’artista sperimenta soprattutto sul piano tecnico, iniziando allo stesso tempo a delineare un proprio linguaggio personale. Fra le primissime prove vi sono alcune illustrazioni per riviste, mentre la maggior parte della produzione pittorica del periodo è costituita da autoritratti – ampiamente rappresentati – e ritratti, come il bellissimo esemplare dedicato al fratello Ettore intorno al 1910, dai tratti postimpressionisti e dal taglio moderno e fotografico.

Fig. 2 Mario Sironi, Il Camion, 1914-15, Milano, Pinacoteca di Brera.

Nel 1913 Sironi aderisce ufficialmente al futurismo e si sposta da Roma a Milano: nella sala corrispondente a questa fase della sua carriera, è possibile ammirare una nutrita selezione di opere, incentrate su molti dei temi cari al movimento di Marinetti. Nonostante questa adesione, la sua pittura mantiene quei caratteri peculiari che caratterizzeranno tutto il corso della sua produzione: permangono la monumentalità dei soggetti, siano essi umani o inanimati, e la predilezione per una tavolozza dai toni piuttosto cupi e terrosi, ma anche per scene dal taglio inusuale, come nel Ciclista del 1916.           
Una caratteristica che si riscontra a partire da questi anni è la presenza di scorci di spoglie periferie urbane, per il momento ancora relegati al fondo, in posizioni secondarie. Il camion, opera del 1914-1915, sintetizza efficacemente questa fase, sia per la scelta del soggetto, un mezzo di trasporto emblematico del nuovo mondo meccanico e moderno, sia nella deframmentazione di stampo futurista e nella presenza delle due grandi lettere in alto a destra, che sembrerebbero quasi un richiamo alle “parole in libertà”.

Fig. 3 Mario Sironi, La Venere dei Porti, 1919, Milano, Casa Museo Boschi di Stefano.

Il passaggio agli anni Venti segna una sorta di spartiacque fra la stagione avanguardistica e l’adesione al cosiddetto “ritorno all’ordine”, a cui contribuiscono due importanti fatti: l’avvicinamento agli ideali del neonato regime fascista e l’incontro con la critica Margherita Sarfatti (Venezia, 1880 – Cavallasca, 1961), promotrice del Gruppo di Novecento, del quale Sironi diviene uno fra i massimi esponenti.
Il momento di passaggio è segnato, nella sua produzione, da opere nelle quali si riscontra il permanere di temi e tecniche propri delle avanguardie, come l’utilizzo del collage, a cui si sovrappongono figure senza volto e soggetti stranianti, permeati da atmosfere fosche e cupe. In mostra è possibile ammirare, fra le alte, La Venere dei porti, una delle opere più rappresentative di questi anni, proveniente dalla collezione Boschi Di Stefano.

Fig. 4 Mario Sironi, Periferia (Il tram e la gru), 1921, Firenze, Collezione Roberto Casamonti, Courtesy Tornabuoni Arte.

Con l’adesione al Gruppo di Novecento, che, opponendosi alle avanguardie, caldeggia il recupero della grande tradizione artistica del passato, con un linguaggio però facilmente comprensibile, la produzione di Sironi si attesta sul tema del paesaggio urbano, ampiamente rappresentato: le periferie raffigurate dall’artista sono spesso deserte e malinconiche, dominate da mezzi di trasporto urbani e caseggiati e da tinte quali il marrone, l’ocra, i grigi e i neri.

Fig. 5 Mario Sironi, Il pescatore, 1930, Roma, Banca d’Italia.

La serie dei paesaggi urbani è fra le più celebri di Sironi, che, tuttavia, negli stessi anni si dedica all’esplorazione di alcuni filoni meno noti: dal recupero di leggende e soggetti primordiali degli anni Venti alla sorprendente stagione espressionista del decennio successivo, in apparente contrasto con i valori condivisi sino a quel momento. Fra le opere esposte che meglio esemplificano questa fase, si trova Il pescatore, un dipinto ottenuto mediante pennellate materiche e indefinite, lontano dalla monumentalità e dal linguaggio solido delle opere coeve.

Fig. 6 Mario Sironi, Condottiero a cavallo, 1935, Mart – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Treno e Rovereto (Roma, Archivio Mario Sironi di Romana Sironi).

I valori di semplicità, utilità sociale e – allo stesso tempo – grandiosità trovano la propria massima espressione nella grande pittura murale, alla quale Sironi si dedica in modo quasi esclusivo a partire dagli anni Trenta, sia operando per soddisfare importanti committenze pubbliche, che lo vedono impegnato nella realizzazione di affreschi e mosaici, sia partecipando al dibattito teorico: nel 1933, l’artista pubblica il Manifesto della pittura murale, firmato, fra gli altri, da Campigli, Funi e Carrà.
Durante il percorso espositivo è possibile ammirare alcuni imponenti studi preparatori, come quello per La Vittoria Alata, l’affresco destinato all’aula magna dell’università La Sapienza di Roma, lungo ben sei metri, o quello per il Condottiero a cavallo, altrettanto grandioso. Un pannello indica invece le opere pubbliche di Sironi ancora ammirabili sugli edifici di Milano, nei loro contesti originali, invitando i visitatori a integrare il percorso della mostra con un itinerario percorribile all’aperto.
Nel 1943, il crollo del regime e degli ideali fascisti, ai quali Sironi aveva aderito, pur declinando una propria visione di fascismo “sociale”, determinano il ritiro dalle committenze pubbliche e il ritorno alla pittura di piccolo formato; pur nella drammaticità di questi anni, che si riflette nei dipinti, l’artista prosegue nella propria attività e partecipa, nel corso degli anni successivi, a svariate esposizioni, sia in Italia che all’estero.  
La mostra si conclude proprio con la produzione degli anni Cinquanta e, in particolare, con alcune opere tratte dalla serie dedicata all’Apocalisse e con il dipinto dall’emblematico titolo, scelto dallo stesso Sironi, L’ultimo quadro, concluso nel 1961, anno della sua morte: il paesaggio urbano qui proposto, frammentato e straniante, è distante dalle solide e monumentali periferie degli anni Trenta.
Mario Sironi è uno degli artisti più noti della prima metà del Novecento ed è ben rappresentato a Milano, città che conserva alcune delle sue maggiori opere, presso sedi prestigiose; tuttavia, alcune delle stagioni della sua produzione sono meno trattate di altre: fra queste rientrano, ad esempio, l’esordio simbolista, la fase espressionista degli anni Trenta o gli anni successivi al crollo del regime fascista. L’esposizione in scena al Museo del Novecento, nel rileggere la biografia dell’artista, contribuisce a fare luce anche su quegli aspetti meno conosciuti e integra in modo esaustivo sessant’anni di arte, politica e vicissitudini umane.

Chiara Franchi

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