Elizabeth Strout ci ha già dimostrato con il suo romanzo Olive Kitteridge, vincitore del premio pulitzer nel 2009, di essere in grado di creare un grande affresco, raccontando tante vicende con protagonisti diversi, legate tutte da un filo rosso, come tante pennellate che viste da lontano riescono a dare un quadro completo. In Olive Kitteridge era proprio il personaggio dell’ormai anziana professoressa che faceva da elemento di raccordo delle vicende narrate, essendo presente in qualche modo in tutti i vari racconti, mentre in Tutto è possibile si raccontano le vite delle persone rimaste nella cittadina di Amgash in Illinois dopo la partenza di Lucy Barton per trovare successo a New York, personaggio a cui la Strout ha dedicato un altro libro.
Elisabeth Strout, in una recente conferenza di presentazione del libro, ha rivelato che il più delle volte scrive delle scene staccate tra di loro, svincolate le une dalle altre, degli episodi di breve durata che poi, in base agli argomenti trattati, riunisce per formare un romanzo. La Strout non parte nel suo processo creativo con un’idea bene precisa di quello che scriverà e soprattuto dice di non avere mai in mente ciò che dovrà essere l’inizio o la fine del romanzo. I vari punti di vista che riesce ad esprimere nelle sue narrazioni danno origine a dei romanzi corali, ambientati il più delle volte in piccoli paesi americani, questo perché la scrittrice vuole mettere in evidenza come le persone che credono di conoscersi bene reciprocamente, in realtà non si conoscono, perché ciascuno di noi può vedere l’altro solamente attraverso i propri occhi e mai entrare completamente nella psicologia altrui.
Se in Mi chiamo Lucy Barton, Elisabeth Strout parla di una ragazza che da un piccolo paesino riesce a riscattarsi e trovare successo a New York come scrittrice, Tutto è possibile parla di coloro che sono rimasti a vivere nel piccolo paese immerso tra campi di soia e che devono affrontare la quotidianità delle loro vite, gli orrori di un passato di violenze oppure quelli della guerra che ha causato ferite profonde.
Lucy Barton è ancora presente in questo libro, alcuni personaggi l’hanno conosciuta quando era piccola, alcuni ne avevano solo sentito parlare, altri invece sono i suoi parenti, suo fratello e sua sorella, che sono rimasti a fare i conti con il passato.
Lucy a un certo punto appare anche in uno dei racconti presenti nel libro, quando decide di tornare per poche ore a trovare suo fratello Pete e sua sorella Vicky che non vedeva da molto tempo.
Il romanzo è però leggibilissimo anche se non si ha letto Mi chiamo Lucy Barton, le vicende raccontate parlano da sole senza avere bisogno di conoscere tutta la storia di Lucy.
La maggior parte degli episodi narrati all’interno del libro raccontano di amori che sono finiti, di matrimoni spezzati, di famiglie che hanno dovuto fare i conti con un passato difficile, ma anche di nuove relazioni che sbocciano in età in cui ormai non si credeva più possibile trovare l’amore, di nuove famiglie che si possono creare, di rapporti che si riallacciano.
Elizabeth Strout ci mostra un mondo crudo, realistico, non mente ai propri lettori cercando di mostrare un mondo idillico, dove tutto va bene, ci pone di fronte alla realtà dei fatti che molte volte non è gradevole, ma in questo libro riesce davvero a trasmettere l’idea che tutto è possibile, che anche nei momenti più duri e difficili della nostra vita può arrivare un’illuminazione, qualcosa che riesca a tenerci uniti. In Tutto è possibile ci sono molte seconde possibilità, molti momenti dolci amari: non c’è, o se c’è è rarissimo trovarla, la felicità perfetta, la vita senza rimpianti ed errori, ma ci può sempre essere qualcosa che stupisce, si può trovare l’amore quando meno ce lo si aspetta, si può entrare in contatto con una persona quando ormai si pensava di avere perso questa capacità, si può trovare un amico anche quando la solitudine ha preso il sopravvento.
Pensa sul serio che “tutto sia possibile”? A qualsiasi età e in ogni condizione? E malgrado il dolore che si percepisce nel suo libro?
“Il titolo si riferisce ai momenti di grazia cui accedono alcuni tra i personaggi, benché non ci sperassero affatto. Un amore investe una donna oltre i settant’anni, Mississippi Mary, su un lungomare italiano. Charlie si sente consolato da una pena indicibile grazie a una fortuita ma autentica condivisione nello spazio anonimo di un bed and breakfast. Sono sprazzi imprevedibili, in grado di toccarci con spontaneità. Non dico che ogni cosa sia letteralmente possibile: non mi faranno mai regina d’Inghilterra e la terra non sarà mai piatta. Ma gli attimi preziosi in cui ci sentiamo connessi a un altro essere umano esistono. E danno un respiro e un senso”. (Dall’intervista di Leonetta Bentivoglio per La Repubblica)
I racconti che più mi hanno colpito e che più mi sono piaciuti sono sicuramente quello di Patty Nicely (mulini a vento) e quello di Mississippi Mary.
Patty è la psicologa della scuola che, dopo aver vissuto in una famiglia in cui la madre se ne era andata perché tradiva il marito, ha sempre avuto difficoltà nell’intimità con i propri compagni, fino a quando non ha incontrato Sebastian, che però è da poco scomparso. Patty deve affrontare il lutto e il difficile rapporto con la madre che ancora la segna e continuare a svolgere il suo ruolo di psicologa a scuola. Significativo è l’incontro con una giovane studentessa che, sebbene proveniente da una famiglia difficile, ha buoni vuoti e ottimi punteggi che la potrebbero portare a frequentare un buon college con l’aiuto di Patty. La psicologa e la ragazza hanno un diverbio e Patty chiama la ragazza perdente. Solo dopo averci riflettuto a lungo e aver letto il memoir di Lucy Barton, da poco uscito in libreria, Patty riconvoca la ragazza, si scusa per quello che ha fatto e le dice quanto valga e quanto in alto potrebbe puntare. Patty rimane colpita dal romanzo di Lucy Barton, dice di sentirsi capita da quel libro e vede come la storia di Lucy sia simile a quella della studentessa. Forse anche grazie a quella lettura Patty riesce a riprendere il controllo, a confortare la giovane Lila in una delle scene più commoventi del romanzo.
Il capitolo intitolato Mississippi Mary ha come tema principale il rapporto tra madre e figlia e la possibilità di ricominciare una nuova vita con un nuovo amore anche quando non ci si aspetterebbe più nulla. Mary è una donna ormai anziana che dopo aver divorziato dal marito decide di trasferirsi in Italia dove incontra un uomo che le farà credere di nuovo nell’amore. Mary ha lasciato le sue figlie, ormai adulte, in America con il cuore pesante, ma per tutti quegli anni in cui era rimasta aveva sopportato il tradimento e la sensazione terribile di vivere con qualcuno che non l’amava solo per l’amore nei confronti delle sue figlie. Angelina, una delle figlie di Mary, decide dopo molto tempo che la madre si era trasferita in Italia, di andarla a trovare. Il rapporto tra madre e figlia è a tratti dolcissimo e a tratti di scontro perché Angelina non riesce ancora a perdonare alla madre di averla abbandonata e non riesce a capire a quanto sua madre avesse rinunciato per stare accanto a lei fino alla sua maturità. Anche in questo caso quindi ci troviamo di fronte ad un racconto dolce-amaro: Mary riesce a trovare pace e serenità in questo piccolo paese di mare in Italia con il suo nuovo amore, tenendo però dento di sé il rimpianto di aver lasciato le figlie; Angelina è felice di ritrovare la madre con cui ha sempre avuto un grande rapporto di affetto ma non riesce a perdonarla del tutto per averla lasciata.
Tutto è possibile è un libro vero, che regala momenti di grande emozione, scritto con lucidità, maestria e scorrevolezza e che rientra ancora una volta nella produzione di una grande scrittrice che non delude mai. Se non lo avete letto vi consiglio di leggere anche Olive Kitteridge, altro libro che di sicuro vi colpirà.
Alessandro Audisio
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