Tu, mio di Erri De Luca: una storia isolana all’ombra dei fantasmi della Seconda Guerra Mondiale

Luglio, Isola d’Elba. La sottoscritta si rende conto, una volta arrivata nell’albergo che la ospiterà per la successiva settimana, di aver dimenticato il libro che preventivava di leggere sotto l’ombrellone a casa, 400 chilometri più a nord, in pianura.

Poco male, i primi giorni sull’isola passano in un turbinio di foto all’acqua cristallina del mare e in una faticosa salita a un faro usato come torre di avvistamento dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Scocca il terzo giorno e inevitabilmente, durante una passeggiata mattutina nel centro di Marina di Campo, entro in una libreria: sono decisa a procacciarmi una nuova lettura. Non voglio nulla di troppo corposo e impegnativo e la mia attenzione viene attirata, colpevole anche l’ambiente e il clima vacanziero che mi circonda, da un librettino con la copertina blu. Sono un centinaio di pagine in edizione Universale Economica Feltrinelli; il titolo, criptico e brevissimo Tu, mio e lo scrittore Erri De Luca, autore di cui non avevo letto nulla prima di quel giorno.

Il ragazzo e il mare: l’avventura estiva di un adolescente del dopoguerra, l’incontro con la pesca, con una ragazza più grande, con il suo segreto […]. C’è un estate brusca nell’età giovane in cui si impara il mondo di corsa. In un’isola del Tirreno, in mezzo agli anni cinquanta del secolo […].

Così recita parte della quarta di copertina e, dopo averla letta, decido di concludere il mio acquisto e tuffarmi nella storia quel pomeriggio stesso, in spiaggia.

Figura 1
Fig.1 Copertina di Tu, mio. Sullo sfondo la spiaggia di Marina di Campo, Isola d’Elba.

Il pesce è pesce quando sta nella barca. È sbagliato gridare che l’hai preso quando ha solo abboccato e senti il suo peso ballare nella mano che regge la lenza. Il pesce è pesce solo quando è a bordo. […] Nicola mi ha insegnato a pescare. La barca non era sua, era di zio, il mio. Nicola […] preparava la barca la barca e si partiva al mattino presto. L’isola era muta e scendendo scalzo alla marina un ragazzo poteva sentirsi liscio per la pietra sotto i piedi […], adulto perché andava sul mare verso il largo e le profondità a maneggiare un’arte. Gli altri ragazzi andavano al mare più tardi per le ragazze e i bagni […].

I temi e le immagini ricorrenti in tutta la narrazione sonno proprio quelli anticipati in queste righe. Il mare e la pesca sono due aspetti che innervano la costruzione del nostro protagonista, un ragazzo ancora piccolo che si sente però di appartenere già al mondo degli adulti. È riflessivo, silenzioso, ha uno sguardo pensoso e profondo e cerca informazioni sul conflitto appena trascorso. Sono infatti gli anni Cinquanta e sullo sfondo di un’Italia vacanziera proiettata in quello che sarà il boom economico, aleggiano però ancora i ricordi ben nitidi delle azioni belliche. Nicola riporta ancora i segni profondi della sua esperienza di soldato e sagoma i suoi racconti con un tagliente disincanto.

Nicola era la sola persona che mi diceva cose della guerra. Chiedevo, e lui prima di rispondere reagiva alla mia insistenza: “Si’ capòtico”. Vero, ero testardo, “capòtico”, ma solo su quello. Con le mani riannodava il nylon intorno a qualche amo […]. Parlava caricando il fiato secondo quello che faceva con le mani. Calcava su qualche punto con forza mentre strappava con la bocca un nodo e l’argomento poteva essere una notte di neve a guardia della polveriera, oppure una rappresaglia tedesca contro gente indifesa gli veniva alla voce mentre cuciva con gesto dolce e svelto una rete slabbrata […]. Nicola obbediva al luogo e al compito delle mani.

Quella famiglia di Sarajevo l’aveva salvato dopo l’otto settembre quando i tedeschi avevano imprigionato i soldati italiani per spedirli ai campi di lavoro in Germania. S’erano presi in casa Nicola, l’avevano nascosto e alla vittoria di Tito l’avevano aiutato a tornare.

I genitori e lo zio del nostro protagonista invece non amano raccontare degli anni di guerra e anzi si stupiscono del perché un ragazzo così giovane sia così interessato, quasi con morbosità, alle vicende passate. Questa sete di conoscere è forse il segno più evidente della maturità mentale di questo ragazzo che non avverte alcun fastidio o peso nel doversi svegliare all’alba per andare a pescare e faticare in mezzo al mare nelle torride giornate estive.
Ma la ricerca insistente di aneddoti e vicende degli anni trascorsi è anche il legame inscindibile con il presente, con l’estate che si sta svolgendo; un’estate che viene movimentata dalla presenza sull’isola di una ragazza misteriosa di nome Caia.

Figura 2 (2)
Fig. 2 Locandina dello spettacolo teatrale ispirato a Tu, mio.

Apriamo qui una piccola parentesi: fino a questo momento sono stata avara di informazioni sui nomi dei luoghi e dei personaggi: come ho adoperato solo espressioni come “il protagonista” e “l’isola”. Questo perché nel romanzo il nome dell’isola non viene mai detto, anche se possiamo ipotizzare si tratti di Ischia, e anche del ragazzo sappiamo ben poco, solo brevi accenni. Certo, la narrazione è condotta in prima persona e quindi questa seconda mancanza non risulta fastidiosa, anzi. L’ipotesi che voglio avanzare però è anche che l’utilizzo di pochi toponimi e nomi propri di persona sia dovuto anche a quell’alone di mistero e di doppiezza a cui ho accennato introducendo la figura di Caia. Continuerò quindi a riferirmi anche io con termini vaghi al personaggio nonché narratore del racconto.

Figura 3 (2)
Fig. 3 Copertina Tu, mio dell’edizione folio editore

Mistero e doppiezza, o meglio, compresenza, sono i due pilastri portanti del rapporto che si sviluppa fra il nostro protagonista e Caia. I due si conoscono tramite Daniele, cugino del ragazzo, e, dopo gli iniziali difficoltosi scambi di battute, Caia scorge nel protagonista tratti familiari, più precisamente tratti del carattere di suo padre defunto.
Caia infatti è orfana di entrambi i genitori e, come il nostro protagonista scopre da Nicola, è anche ebrea. Questa informazione, covata gelosamente dal ragazzo, diventa anche il collante del rapporto dei due. La ragazza racconta, o meglio, accenna affettuosamente stralci della sua infanzia all’amico, amico che ai suoi occhi è soltanto un corpo che ospita l’anima di suo padre.

Perché a te? Io so che ci sono momenti in cui qualcuno che ho perduto mi viene intorno e prende il corpo di una persona sconosciuta, solo per un momento, per salutarmi da dietro un corpo, con una mossa o una parola inconfondibile, solo un cenno e basta. Lo so da tanto tempo che non mi hanno lasciato sola […]. Prima di ora nessuno aveva accumulato tanti segni. Sono di mio padre che non c’è più.

Dalla semplice posizione di spettatore quindi il ragazzo si trova come proiettato in una vita che non è stata la sua, avverte di non avere più un animo adulto e non può fare a meno di sentirsi sempre più coinvolto dalla vicenda umana presente e passata di Caia. La curiosità per la guerra appena trascorsa diventa quasi ricordo scottante, un ricordo reale che il nostro protagonista sente suo, spinto dalle suggestioni che lo circondano. Queste sensazioni si accumulano nella sua mente e saranno la molla che lo guiderà in diverse azioni pericolose e avventate volte a proteggere Caia.

Figura 4
Fig. 4 Ipotesi di locandina del film tratto da Tu, mio che si progetta di realizzare prossimamente. L’immagine è presa dal sito di OhPen, fondazione nata nel 2012 con lo scopo di connettere ed esaltare i più grandi talenti del mondo della scrittura e dello storytelling contemporaneo. Da anni OhPen collabora con la Fondazione Erri De Luca.

Fugacità e foschia emotiva avvolgono tutto il romanzo: la vicenda è breve e racchiusa in poche pagine, una parentesi, come i mesi estivi sono nelle nostre vite e sono stati nelle vite di Caia e del ragazzo. Un incontro estremamente simbolico che è il perno della narrazione: senza questa amicizia l’unica azione che avrebbe riempito la narrazione sarebbe stata la pesca. Il mare, a cui viene comunque riservato ampio spazio nelle descrizioni paesaggistiche, viene così assunto come sfondo. Sfondo che però non è solo naturalistico ma anche spirituale: sono le onde del mare a levigare l’animo del protagonista, a renderlo profondo, dotato di grande capacità di introspezione e di una sensibilità estrema. Soltanto grazie a questa preparazione è possibile poi che prenda avvio e si sviluppi quella che mi pare riduttivo definire una semplice amicizia fra Caia e il ragazzo. Insomma un groviglio di suggestioni, affetto e ricordi che incuriosisce e gioca sicuramente a favore della lettura del romanzo. Una lettura che non definirei avvincente, concitata, ma rilassante e magnetica, quasi come se non si dovesse avere fretta di penetrare in un segreto così intimo come è e può essere il passato e il destino di una persona diversa da noi.

Federica Rossi

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