La lettura e la conseguente recensione che feci ormai qualche tempo fa del libro di Montanari intitolato L’ora d’arte, mi aveva fatto sperare che presto sarebbe uscita una seconda puntata, proprio come quando si aspetta il proseguo di una serie televisiva che ci piace tanto, per sapere come vanno a finire le cose. Ed ecco che puntualmente è uscita al principio del 2021, per i tipi della casa editrice Einaudi, la seconda stagione di quella che era una serie televisiva per immagini con fini prettamente educativi. La seconda ora d’arte di Tomaso Montanari è un libro costituito da 213 pagine, 101 analisi d’opera con testo a fronte per ogni immagine, e costa 15 euro. Come nella prima puntata, il volume propone, come dicevo poco sopra, centouno brevi schede, di altrettanti dipinti, luoghi, sculture, architetture e musei del nostro patrimonio artistico, dall’età preistorica fino ai giorni nostri. Proprio come nella prima puntata il libro è scritto con un linguaggio chiaro e non eccessivamente complesso, comprensibile e godibile a una vasta fetta di lettori non solo specialisti, ma anche semplici appassionati e curiosi della disciplina. Non solo, il linguaggio usato dallo storico dell’arte riflette, proprio come il primo libro, le sue personali passioni e idiosincrasie. Il volume è una sorta di galleria personale, un museo immaginato ma visitabile da chiunque, dove sfilano davanti al lettore innumerevoli capolavori ma anche oggetti e opere non sempre compresi ahimè nel grande circuito della storia dell’arte e soprattutto “dell’industria culturale”. Come sempre lo studioso alterna parti di testo “oggettivo” come gli elementi storici e critici delle opere che descrive, a parti testuali decisamente più poetiche e visionarie, ad altre ancora invece a volte polemiche o molto polemiche come d’altra parte ci ha abituati nel primo volume.

Il libro di Montanari vuol essere una sorta di guida per avvicinare gli italiani alla storia dell’arte e alla bellezza del nostro patrimonio culturale, convinto che per farlo si debba conoscere il passato, immergendo i monumenti e le opere d’arte nel loro contesto storico. Un contesto che è sempre più spesso “meticcio” come piace definirlo allo studioso, ossia carico di contaminazioni multi culturali e che oggi si tende sempre più a dimenticare. Si vive troppo spesso infatti proiettati eternamente nel presente, così le opere d’arte perdono il loro intrinseco significato di memorie del passato per essere ridotte a eterne immagini del presente, senza una storia pregressa, mercificate, sbattute sulle pagine social, utilizzate per campagne pubblicitarie e di marketing scriteriato per finire prestate dall’altro capo del mondo ad una qualche istituzione museale senza una reale necessità. Con il conseguente rischio di danneggiare per sempre (e succede assai spesso) quei manufatti. L’intento del libro è anche quello di far muovere le persone per andare a vedere le opere nei loro originari “ambienti naturali” laddove, certo, le opere siano rimaste nei luoghi e nei contesti che le hanno originate, e non viceversa.

Le opere trattate in questo secondo libro sono numerosissime e diversissime tra loro per cronologia, tipologia e stile. Si parte dall’età preistorica con le mani degli uomini primitivi nelle grotte della Patagonia risalenti a undici mila anni fa, passando per la Cista Ficoroni fino ai mosaici del Battistero di Napoli e a quelli di Ravenna per giungere quasi senza accorgersene ai dipinti impressionisti di Monet, di Degas, a quelli macchiaioli di Fattori e divisionisti di Segantini, incontrando però prima sul nostro cammino opere che vanno da Masaccio e dai suoi affreschi alla Cappella Brancacci al Carmine a Firenze, ai delicati ed esili corpi eterei di Beato Angelico, dai ritratti enigmatici di Lorenzo Lotto, alle grandi opere di Tiziano come la Pala Pesaro nella chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia, e via via fino alle inquietanti Sacre Famiglie di Rosso Fiorentino; dai ritratti manieristi del Parmigianino, agli affreschi magniloquenti di Veronese, dalle atmosfere fuori dal tempo delle ville palladiane, al Barocco di Annibale Carracci ma anche a quello di Caravaggio e Bernini di Vermeer e Rembrandt e perfino di El Greco, fino a giungere alle spasmodiche e illusionistiche narrazioni di Giambattista Tiepolo. Dopo gli impressionisti il libro raggiunge poco alla volta l’età contemporanea. Ecco allora che la narrazione si sposta verso Mondrian, Charlotte Salomon (forse vera rivelazione del libro), verso la narrazione ed esplorazione della chiesa di Huston nel Texsas decorata nel 1964 con le straordinarie tele di Mark Rothko. Lo studioso poi si sposta alle architetture, dal museo di Castelvecchio a Verona di Carlo Scarpa fino alla cupola del Reichstag di Berlino realizzata da Norman Foster. Ma non finisce qui, nella sua narrazione per immagini, Montanari si sofferma anche su opere d’arte poco conosciute al grande pubblico; penso ad esempio alle pitture digitali di David Hockney o alle immagini ancora dipinte in modo “tradizionale” da Tullio Pericoli, autore a cui mi sono avvicinato proprio leggendo questo libro. Non mancano riferimenti al Covid-19 come nelle opere fotografiche di Mounir Fatmi o quelli alla crisi economica ravvisabile negli esempi di street art dell’ormai famigerato artista di Bristol Banksy in uno suo intervento su un muro della stazione di servizio abbandonata di Midwood a New York.

Non mancano nel libro le opere che fanno riflettere sul contesto paesaggistico e sulla sua salvaguardia o sul danneggiamento delle opere d’arte a causa della mano dell’uomo; ecco allora riferimenti alla laguna di Venezia sempre più fragile per via dell’incoscienza dell’uomo e del surriscaldamento climatico globale, e alla chiesa di Notre Dame de Paris pesantemente danneggiata nell’incendio doloso che divampò nella giornata del 15 aprile 2019. Non mancano inoltre riferimenti ai danni inflitti dai terremoti che hanno colpito l’Italia centrale come quello dell’Aquila. Due pagine a mio avviso bellissime sono la 164 e la 165 dove lo storico dell’arte racconta del Grande Cretto di Alberto Burri, forse il più grande monumento di cemento armato mai realizzato, ferita, scempio e allo stesso tempo emblema di un paese che ha fatto della cementificazione il suo business privilegiato a scapito della tutela del suo patrimonio paesaggistico. Quando ho letto alle mie classi della prima media questa pagina di Montanari sono stati davvero colpiti nell’apprendere che il loro paese sia ancora così insensibile a questo genere di tematiche.

Potrei continuare ancora per molto a citare gli esempi così eterogenei che il libro di Montanari tratta, ma non voglio rovinare il piacere che il lettore incontrerà nella lettura solitaria e autonoma di questo bel libro che suggerisco davvero a tutti coloro che amano l’arte e la cultura. Vorrei chiudere con un aneddoto: un mio allievo di terza durante una mia lezione mi ha chiesto che cosa fosse per me l’arte, o meglio che cosa rappresentasse per me l’arte. Io in quell’instante rimasi letteralmente interdetto e non gli seppi rispondere. Nella mia testa mi frullavano solo risposte complesse e difficili che avrebbero generato in lui altre domande, forse ancora più complesse della sua prima domanda. Quando tornai a casa, ripresi il libro di Montanari e mi imbattei in una lettura d’opera che mi diede la risposta e che la settimana dopo proposi anche al mio studente di terza media. La risposta più convincente al che cosa fosse per me l’arte la trovai, come dicevo poc’anzi, nella lettura che Montanari fece della tela di Monet che si intitola Passeggiata (p. 142):

[…] «L’arte è liberazione. E lo può essere in tanti modi. Alcuni profondi, inattingibili, connessi al senso riposto in tutte le cose. Ma – e in quei giorni lo abbiamo capito come forse mai nella nostra vita – (l’autore si sta riferendo alla quarantena forzata che tutti noi italiani abbiamo dovuto fare per via del Covid-19), l’arte ci libera anche quando ci prende di peso, cancella il tetto e le pareti che ci chiudono in scatola e ci trascina nel sole e nel vento, sotto il cielo azzurro, sopra un prato colorato di fiori. L’arte è liberazione perché fa scorrere più forte il sangue nelle vene. Perché ci scuote, e ci ricorda che siamo vivi, anche quando cominciamo a dubitarne».
A questa risposta, il mio studente si ritenne soddisfatto, e io con lui.
Marco Audisio
Rispondi