“Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinque e Seicento”: breve guida alla mostra

Sono molto felice di poter ospitare quest’oggi sul nostro blog il primo contributo (di speriamo numerosi prossimi futuri articoli), scritto da una persona che ho davvero il piacere di poter chiamare amica oltre che collega. Vado dunque a presentarla brevemente: Chiara Dominioni dopo aver conseguito la Specializzazione in Beni Storico Artistici presso l’Università Cattolica di Milano (insieme al sottoscritto) è ora iscritta al dottorato di ricerca in Storia, territorio e patrimonio culturale, curriculum Studi storico artistici, archeologici e sulla conservazione, XXXVI ciclo – Dipartimento di Studi umanistici – dell’Università degli Studi Roma Tre. I suoi interessi di ricerca riguardano soprattutto la pittura della Controriforma; gli scambi artistici tra Roma e Lombardia in Età Moderna; e il collezionismo di Cinque e Seicento. Ha inoltre collaborato, in qualità di schedatrice, alla mostra che va qui sotto ad illustrare. Con queste brevi note introduttive noi della redazione diamo il benvenuto a Chiara e nell’augurare a lei e a noi di LetterArti una proficua collaborazione e scambio reciproco di idee per sempre più interessanti contributi futuri, speriamo davvero che questo articolo possa essere di grande interesse come lo è stato per noi. Buona lettura a tutti e un grazie sincero a Chiara.
Marco Audisio

Dal 26 novembre 2021 al 27 marzo 2022 i nuovi spazi espositivi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini (via delle Quattro Fontane, 13 – Roma) ospitano la mostra “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento“, a cura di Maria Cristina Terzaghi.

L’esposizione celebra due anniversari che hanno come protagonista la tela Giuditta decapita Oloferne di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio: la sua scoperta nel 1951 e il suo ingresso nel 1971 nelle collezioni delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, dove tutt’ora si trova.

Settant’anni fa il restauratore Pico Cellini, visitando la mostra dedicata a Caravaggio e ai caravaggeschi allestita da Roberto Longhi a Palazzo Reale a Milano, ripensò allo stile di un dipinto visto anni prima in una collezione romana, una Giuditta e Oloferne allora attribuita a Orazio Gentileschi. Ritrovata la tela nella collezione di Vincenzo Coppi, la mostrò a Longhi che non esitò a riconoscervi la mano del maestro lombardo e riuscì a inserirla nella mostra milanese a una settimana dalla chiusura. Le trattative per l’alienazione e l’acquisto da parte dello Stato Italiano durarono 20 anni e si conclusero nel 1971.

La Giuditta era giunta nella collezione del Coppi per via ereditaria, non essendo mai uscita da Roma né alienata, come da desiderio originario del primo proprietario, il banchiere di origini liguri Ottavio Costa. Questi la considerava un’opera di estremo pregio e aveva anche proibito la realizzazione di copie.

Fig. 1. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Giuditta decapita Oloferne, 1600 ca., Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Palazzo Barberini

Ventisei delle ventinove opere esposte in mostra sono dedicate al soggetto biblico Giuditta e Oloferne, episodio narrato nel Libro di Giuditta. Il testo racconta le imprese della bella e virtuosa vedova di Betulia, Giuditta, che riuscì a salvare il proprio popolo dall’assedio assiro grazie all’uccisione del generale Oloferne. La giovane, infatti, indossati i propri abiti più belli, fece ubriacare l’uomo e lo sedusse: una volta addormentato gli tagliò la gola con la sua stessa scimitarra. I soldati assiri, scoperta la morte del loro generale, furono facilmente allontanati dai Giudei, e Giuditta divenne simbolo di eroismo, virtù e fede in Dio.

Il percorso espositivo inizia con una sezione intitolata “Giuditta al bivio tra Maniera e natura” in cui sono presentate le Giuditta e Oloferne della bolognese Lavinia Fontana, di Tintoretto e bottega e di un anonimo artista fiammingo, i quali scelgono di rappresentare il momento appena successivo all’omicidio del generale. L’opera del fiorentino Pierfrancesco Foschi, invece, dalle dimensioni ridotte e unica tavola presente in mostra, raffigura Giuditta in atto di sferrare il secondo colpo al collo già sanguinante di Oloferne. I quattro dipinti aiutano il visitatore a comprendere quale fosse l’iconografia più usuale dell’episodio biblico prima della rivoluzione di Caravaggio quando solo raramente si caricava la scena di violenza.

Fig. 2. Sala 1. “Giuditta al bivio tra Maniera e natura”

La seconda sezione, che corrisponde alla seconda sala, è dedicata a “Caravaggio e i suoi primi interpreti“. Lo scenografico allestimento vede al centro Giuditta decapita Oloferne di Caravaggio (1600 ca.), affiancata da sei tele, tre per lato. Tra queste emerge per novità e importanza la Giuditta (1610-15) di Giuseppe Vermiglio: recentemente scoperta sul mercato antiquario e attribuita al maestro di origini lombarde, è forse la più fedele ripresa del dipinto di Caravaggio a oggi nota. Data la precocità cronologica di esecuzione, l’artista dovette vedere il dipinto caravaggesco nella collezione di Ottavio Costa, sebbene non sia ancora chiaro come ciò avvenne.

Fig. 3. Giuseppe Vermiglio, Giuditta decapita Oloferne, 1610-15, Loaned courtesy of The Klesch Collection

Si distingue anche la Giuditta (post 1607) di Louis Finson memore, forse, di una copia autografa di Caravaggio realizzata a Napoli. Si susseguono in uno stretto dialogo le Giuditta del francese Valentin de Boulogne, di Trophime Bigot (da alcuni studiosi identificato con il Candlelight Master), di Bartolomeo Mendozzi (precedentemente noto come Maestro dell’Incredulità di San Tommaso) e del napoletano Filippo Vitale. L’eccezionalità del confronto di queste opere con il prototipo caravaggesco permette di dimostrare visivamente che, sebbene Ottavio Costa non desiderasse che venisse fatta copia alcuna del “suo” Caravaggio, l’idea del maestro si fece strada tra gli artisti, tanto da essere più volte oggetto di studio, di rielaborazioni e di riflessioni da parte dei contemporanei.

Fig. 4. Sala 2. “La Giuditta di Caravaggio e i suoi interpreti”

Le due sale successive sono dedicate al secondo nucleo principale dell’esposizione: “Artemisia Gentileschi e il teatro di Giuditta”. La pittrice e figlia d’arte Artemisia Gentileschi nella sua straordinaria opera proveniente dal Museo di Capodimonte (Napoli, 1612 ca.) fu capace di ripensare l’invenzione di Caravaggio in senso personale, dandone un’interpretazione teatrale e cruenta. La donna, vittima di uno stupro commesso dal pittore Agostino Tassi, probabilmente riversò il proprio dramma sulla tela, scegliendo di rappresentare il momento centrale della vicenda, l’uccisione di Oloferne. Nel dipinto di Palazzo Pitti (Firenze, 1615 ca.), invece, Artemisia coglie Giuditta e l’ancella Abra in un momento di pausa dalla fuga verso Betulia: le due donne, complici, sono interrotte e spaventate da un rumore che le fa voltare. Quest’opera dimostra lo stretto legame con quella del padre Orazio conservata ad Hartford (1608-09 ca.), con cui dialoga perfettamente in un gioco di sguardi e pose. Un’ulteriore riflessione e variazione sul tema di Giuditta e la fantesca con la testa di Oloferne da parte dello stesso Gentileschi si riscontra anche nel dipinto proveniente da Oslo (1621-24 ca.).

Certamente memore della Giuditta di Capodimonte è, poi, la tela convincentemente attribuita a Biagio Manzoni in occasione della mostra, e precedentemente data a Giovan Francesco Guerrieri. Nella sala troneggia, inoltre, la Giuditta (1608) monumentale, a figura stante e con il seno scoperto, di Giovanni Baglione, risposta e tentativo di superamento del caravaggismo.

Fig. 5. Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne, 1612 ca., Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

La quarta sala continua il tema del teatro di Giuditta, presentando sette opere. Le tele Giuditta consegna la testa di Oloferne alla fantesca dei lombardi Giuseppe Vermiglio e Bartolomeo Manfredi si affiancano al dipinto del romagnolo Guido Cagnacci e a quello del calabrese Mattia Preti: esse dimostrano, ormai, un superamento di Caravaggio.

L’opera di Pietro Novelli detto il Monrealese è testimone della diffusione di un’altra celebre Giuditta, quella di Pieter Paul Rubens, dalla quale riprende la presenza degli angioletti che osservano la scena dall’alto.

La tela più grande, già attribuita a Theodor Van Loon, e ora data ad anonimo pittore fiammingo, invece, unisce gli stimoli caravaggeschi e di Artemisia in un esito di grande teatralità. Elemento quest’ultimo che non manca nella Giuditta del tedesco Johann Liss, che, di spalle, si volge a osservare lo spettatore con uno sguardo di sfida. 

Fig. 6. Sala 4. “Artemisia Gentileschi e il teatro di Giuditta”

A conclusione, cinque dipinti invitano a riflessioni di più ampio respiro: la relazione tra il tema di Giuditta e Oloferne con quello di David e Golia e di Salomè con la testa del Battista. A partire dal Quattrocento Giuditta e David vennero spesso accostati, anche con significati politici, per via delle virtù che legano i due soggetti, e vennero anche collezionati en pendant, a causa della vicinanza iconografica: se ne vede un esempio nelle due tele di Cristofano Allori (Giuditta) e dell’allievo di Giovanni Bilivert, Girolamo Buratti (David), richiesti dallo stesso committente, Carlo Davanzati. La coppia David e Giuditta di Valentin de Boulogne, invece, testimonia lo studio dei soggetti da parte di uno stesso artista che tocca qui alte corde di erotismo unito all’elogio della virtù dei protagonisti. La mostra si chiude con la Salomè di Francesco Rustici detto il Rustichino, altra figura biblica ma di tutt’altro stampo: l’accostamento con Giuditta, in questo caso, non è dato dalla moralità ma soltanto dall’accostamento iconografico.

Fig. 7. a. b. Valentin de Boulogne, Giuditta con la testa di Oloferne, 1626-27 ca., Toulouse, Musée des Augustins; Valentin de Boulogne, David con la testa di Golia, 1615-16 ca., Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza

La mostra è aperta al pubblico dal martedì alla domenica, dalle 10:00 alle 18:00.
Biglietti: intero 7 € – ridotto 2 €
Per info: https://www.barberinicorsini.org

Chiara Dominioni

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