Realismo magico a Milano: l’incanto della quotidianità

Fino al prossimo 26 febbraio, a Palazzo Reale, Milano, è possibile visitare la mostra “Realismo magico. Uno stile italiano”. L’esposizione, curata da Valerio Terraroli e Gabriella Belli, aggiunge un ulteriore tassello al palinsesto degli approfondimenti dedicati all’arte del Novecento, ricostruendo dettagliatamente le vicende di questa corrente artistica, a partire dai primi esordi degli anni Dieci sino alla fase più matura degli anni Trenta.      
Il percorso si inserisce nella scia delle ricerche effettuate lo scorso secolo dal critico e collezionista Maurizio Fagiolo dell’Arco (Roma, 1939 – 2002), il quale, nel 1986, curò proprio a Palazzo Reale una grande rassegna dedicata al Realismo magico. Viene quindi proposta una rilettura e, allo stesso tempo, una ricostruzione filologica di questo linguaggio, nato e affermatosi, come suggerisce il sottotitolo, nell’alveo della grande tradizione pittorica italiana.
La mostra si articola attorno alla prestigiosa collezione privata dello studioso Emilio Bertonati (Levanto, 1934 – Milano, 1981), proprietario della Galleria del Levante, attiva fra gli anni Sessanta e Ottanta e punto di riferimento per la diffusione della conoscenza dell’arte fra le due guerre. Bertonati, grazie alla propria lungimiranza e alla doppia localizzazione della Galleria, situata a Milano e a Monaco di Baviera, contribuì infatti alla riscoperta del Realismo magico e all’introduzione in Italia della Nuova Oggettività tedesca, movimento che ebbe dei significativi punti di contatto con il panorama culturale nazionale.
Come accennato all’inizio, le vicende del Realismo magico si situano essenzialmente tra gli anni Venti e la metà degli anni Trenta, sebbene i prodromi si fossero avvertiti già dagli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale. Il tumultuoso inizio che aveva caratterizzato il XX secolo, dominato in Europa dalle avanguardie storiche, e l’esperienza della Grande guerra, con i traumi che ne erano derivati, avevano contribuito a determinare in alcuni artisti il desiderio di ripensare il proprio ruolo e ritrovare le certezze e la maggiore solidità della grande tradizione pittorica del passato, in particolare quella che aveva avuto come protagonisti i cosiddetti “primitivi”: Giotto, Masaccio, Piero della Francesca.     
Si apriva così la stagione del cosiddetto “ritorno all’ordine”, che aveva fra i propri capisaldi lo studio del disegno e delle figure, l’attenzione agli equilibri cromatici, alla prospettiva e alla resa dei volumi, anche per imprimere un deciso cambio di passo rispetto alle sperimentazioni e agli intellettualismi delle avanguardie. Portavoce di questo nuovo corso era la rivista “Valori plastici”, diretta da Mario Broglio (Piacenza, 1891 – San Michele di Moriano, 1948), a sua volta pittore, oltre che critico.        

Fig. 1. Carlo Carrà, Le figlie di Loth, 1919, Trento, Mart – Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

Nella prima sala dialogano proprio opere di alcuni dei personaggi più illustri che si raccolsero attorno a “Valori plastici”: questo confronto aiuta a cogliere i numerosi aspetti che gli artisti del “ritorno all’ordine” avevano in comune, ma anche, e soprattutto, a distinguerne le specificità. Vi troviamo così Giorgio De Chirico (Volo, 1888 – Roma, 1978), ideatore della pittura metafisica, caratterizzata da un repertorio di immagini stranianti ed enigmatiche, dall’accostamento spesso incomprensibile, e Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961), i cui dipinti, dagli evidenti richiami al passato classico e dalla monumentalità dei soggetti, preludono al gruppo di Novecento, fondato nel 1922, di cui l’artista sarà uno dei massimi esponenti, insieme allo scultore Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947). Alcuni altri artisti qui esposti, come Carlo Carrà (Quargnento, 1881 – Milano, 1966), proveniente come Sironi dal futurismo e Felice Casorati (Novara, 1883 – Torino, 1963) si cimentarono invece in raffigurazioni dalle atmosfere più quotidiane, meno solenni, le quali, nell’apparente semplicità, sembrano rimandare a un’altra dimensione, oltre l’apparenza: per questo motivo, si inseriscono a pieno titolo nell’alveo del Realismo magico.

Fig. 2. Felice Casorati, Silvana Cenni, 1922, Torino, collezione privata

Proprio la figura di Felice Casorati introduce all’approfondimento di questo linguaggio. Dell’artista novarese sono esposti alcuni dei capolavori, in primo luogo ritratti, generi in cui si distinse: dall’effige di Silvana Cenni ai ritratti di Raja e Cynthia, passando per quelli eseguiti per la famiglia dell’imprenditore Riccardo Gualino. La ieraticità dei soggetti, i voluminosi panneggi delle vesti, l’utilizzo bilanciato di luci e cromie e la presenza di oggetti simbolici o vedute su città rinascimentali richiamano gli esiti più alti del ritratto quattrocentesco.        
La prospettiva si amplia quindi a quanto stava accadendo in quegli stessi anni al di fuori dei confini nazionali, più precisamente in Germania, focalizzando l’attenzione sul 1925. In quell’anno, infatti, a Mannheim venne inaugurata la mostra “Nuova Oggettività” e, allo stesso tempo, il critico Franz Roh (Apolda, 1890 – Monaco di Baviera, 1965) coniò l’espressione Realismo magico, proprio nel tentativo di sintetizzare le sensazioni che le creazioni scaturite dal “ritorno all’ordine” suscitavano, con particolare riguardo a quei dipinti in grado di svelare l’incanto che si cela dietro gli oggetti o scenari quotidiani. Fu lo stesso Roh, inoltre, ad effettuare, nella sua pubblicazione Post espressionismo – Realismo Magico. Problemi della nuova pittura europea, uno studio sistematico dei nuovi sviluppi dell’arte europea, accostando i maggiori esponenti tedeschi con quanto stava emergendo contemporaneamente in Italia.         

Fig. 3. Ubaldo Oppi, I tre chirurghi, 1926, Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati

La mostra cerca proprio di restituire visivamente la portata dei reciproci scambi che avvenivano a livello sovranazionale, mettendo in luce punti in comune e divergenze. Anche nella Nuova Oggettività, infatti, assistiamo al recupero di un linguaggio pittorico figurativo estremamente realistico, ma allo stesso tempo quasi straniante, nel quale i soggetti vengono minuziosamente ritratti anche nei loro aspetti meno gradevoli. Le opere degli artisti tedeschi sono caratterizzate inoltre da una tavolozza più fredda, linee più spigolose e dalla mancanza di profondità che fa apparire le scene come “proiettate” verso lo spettatore. Degli artisti italiani, Ubaldo Oppi (Bologna, 1889 – Vicenza, 1942) fu il più sensibile a questo linguaggio, a testimoniare il fatto che – nonostante l’impronta spiccatamente italiana – anche quanto accadeva oltre i confini nazionali era noto e studiato.

Fig. 4. Carlo Carrà, Pino sul mare, 1921, collezione privata

Il percorso prosegue approfondendo alcuni degli altri temi praticati dagli artisti del Realismo magico, i quali si cimentarono non solo nel ritratto, ma in tutti i generi appartenenti alla grande tradizione del passato.          
Per quanto riguarda il paesaggio, uno degli esiti più elevati è costituito dal celebre Pino sul mare di Carlo Carrà (1921), vero e proprio manifesto del Realismo magico. L’opera ne racchiude tutte le caratteristiche principali: la composizione è molto lineare, ma allo stesso tempo studiatissima, con la presenza del pino che attraversa diagonalmente la scena e il solido edificio sulla sinistra che delimita l’inquadratura. Al centro della scena emerge la presenza di un cavalletto e del telo che lo ricopre: oggetti appartenenti alla quotidianità dell’artista e apparentemente privi di particolare significato, che sembrano tuttavia emanare una sorta di aurea, al di là degli aspetti più reali e pratici.

Fig. 5. Mario Broglio, Il romanzo, collezione privata

Uno dei campi di maggiore esplorazione è il tema del nudo femminile, rivisitato a seconda della soggettività e della sensibilità dei singoli artisti. In alcuni casi, gli esiti richiamano in modo più marcato la classicità; in altre circostanze, come nei dipinti di Cagnaccio di San Pietro (pseudonimo di Natalino Bentivoglio Scarpa; Desenzano del Garda, 1897 – Venezia, 1946), viene messo in luce il lato più scandaloso e straniante. Altre volte ancora, l’atmosfera è irreale e quasi sovrannaturale, come nell’enigmatico Bagno al parco di Mario Broglio.         

Fig. 6. Edita Broglio, I gomitoli, 1927, Courtesy ED Gallery, Piacenza

La medesima pluralità di significati interessa il genere della natura morta, assai praticato nell’ambito del Realismo magico, per le potenzialità insiste nell’esplorazione delle cose appartenenti alla quotidianità, sempre nell’ottica di suggerire una realtà altra e più profonda. In alcune opere prevale il significato simbolico degli oggetti; in altre, a dominare sono lo studiare della composizione, della profondità e degli equilibri cromatici. Emerge in questa sala la presenza di Edita Broglio (Smiltene, Lettonia, 1886– Roma, 1977), artista e co-fondatrice, insieme al marito Mario Broglio, di “Valori plastici”; in alcune delle sue opere, come in quelle di altri artisti, notiamo la presenza dello specchio, che permette di instaurare peculiari giochi di riflessi e sdoppiamenti di immagini.
A conclusione del percorso espositivo si situa una riflessione sugli esiti del Realismo magico: con l’ingresso negli anni Trenta, i suoi stilemi si sovrapporranno sempre più al movimento di Novecento, in cui confluiranno molti degli esponenti. Alcuni altri, però, come Cagnaccio di San Pietro e Antonio Donghi (Roma, 1897 –1963), perseguiranno sulla strada tracciata da questa corrente e ne sono infatti considerati i rappresentanti più longevi. Donghi, in particolare portò il nuovo linguaggio ai suoi vertici espressivi: i suoi dipinti, anche quelli degli anni Trenta e oltre, appaiono permeati da un’atmosfera rarefatta e silenziosa, nei quali l’immobilità assoluta dei personaggi sembra sospesa da un incantesimo.     
Queste ultime opere chiudono la nutrita serie di opere che è possibile ammirare lungo il percorso espositivo. I dipinti selezionati, oltre ad essere di alta qualità, si caratterizzano per la pertinenza rispetto al tema trattato e permettono di approfondire una fase della pittura italiana – e non solo – assai significativa ma, allo stesso tempo, dall’analisi non immediata, a causa della pluralità di linguaggi e di personalità che vi si cimentarono. Il criterio scelto, essenzialmente cronologico ma scandito da interessanti approfondimenti tematici, permette di leggere le vicende che caratterizzarono il Realismo magico su più livelli, seguendone lo sviluppo nel corso degli anni e, allo stesso tempo, apprezzando le particolarità tecniche e la resa pittorica. Non da ultimo, l’esposizione fa luce su un interessante episodio del collezionismo privato italiano, aprendone la conoscenza al pubblico.

Chiara Franchi

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