Fino al 3 luglio 2022 le Scuderie del Quirinale (Roma, via XXIV Maggio 16) ospitano una mostra dedicata alla Superba Genova e al suo Barocco che si snoda in 10 sale dove vengono presentate circa 120 opere di artisti di primaria importanza nel panorama artistico genovese tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Settecento.
L’esposizione, in collaborazione con la National Gallery di Washington e con il Comune e i Musei Civici di Genova, è curata da Jonathan Bober, Andrew W. Mellon, Pietro Boccardo e Franco Boggero e accompagnata da un catalogo edito da Skira.
Il titolo, “Superbarocco. Arte a Genova da Rubens a Magnasco”, gioca sull’unione dei termini “Superba” e “Barocco”. La città Superba per eccellenza, almeno sin dal 1358 quando Francesco Petrarca la definiva tale, è Genova: protagonisti della mostra sono infatti il capoluogo ligure e la sua arte nell’arco cronologico che parte da Pieter Paul Rubens (1577-1640) sino ad Alessandro Magnasco (1667-1749).
Una prima introduzione su Genova e sul suo contesto storico e culturale è offerta al piano terra. La città a partire dall’inizio del Seicento vide una forte crescita artistica dovuta anche alle ottime condizioni economiche e politiche, favorite dai commerci e dalla posizione strategica del porto sul Mediterraneo.
Ulteriori approfondimenti su varie tematiche, tecniche o luoghi che si incontrano lungo il percorso sono proposti al visitatore tramite l’omaggio di un piccolo libricino intitolato “Cinquanta parole superbe”.

La mostra prende avvio al primo piano, dove la sala intitolata “Un crocevia del Barocco” ha lo scopo di mostrare come la committenza genovese fu in grado di richiamare in città artisti sia italiani che stranieri. Tra i maggiori mecenati spicca Giovan Carlo Doria, meravigliosamente ritratto dal fiammingo Pieter Paul Rubens; di quest’ultimo è presente anche la monumentale tela con i Miracoli del beato Ignazio di Loyola per la chiesa del Gesù. Nella sala sono esposti dipinti di Simon Vouet, Giulio Cesare Procaccini e Orazio Lomi de’ Gentileschi, allo scopo di testimoniare come, a tutti gli effetti, Genova in quegli anni fosse un crocevia del Barocco.
Dopo un incipit di grande impatto, la mostra procede con una sala dedicata agli esordi della scuola genovese, esemplificata con alcune tele di fra Bernardo Strozzi, Gioacchino Assereto e Andrea Ansaldo. Di interesse è la presenza di un versatoio e di tre bacili d’argento: questa tipologia di oggetti è testimonianza di una pratica della Corona di Spagna che saldava i propri debiti con i banchieri liguri tramite l’invio di materiali preziosi. La diffusione degli argenti è dimostrata anche dal versatoio – accostabile a quello esposto – dipinto da Strozzi ne La cuoca.

La sezione successiva è quasi esclusivamente dedicata ad Antoon Van Dyck, ad esclusione di un gruppo di quattro tele con La parabola del figliol prodigo di Cornelis De Wael, artista appartenente al folto gruppo dei fiamminghi che si trasferirono a Genova nel Seicento. Cornelis e il fratello Lucas nel 1621 ospitarono a casa loro proprio Van Dyck. Quest’ultimo divenne un apprezzato autore di ritratti, ma non solo, per la nobiltà genovese: grandi dimensioni, luce radente, attenzione ai dettagli ed estrema eleganza sono le caratteristiche che distinsero e resero celebre la sua ritrattistica. In mostra sono esposte le effigi di Elena Grimaldi Cavalleroni Cattaneo, Agostino Pallavicino, Anton Giulio Brignole-Sale, Paola Adorno Brignole-Sale, solo alcuni tra i tanti committenti che apprezzarono la grande innovazione portata dall’artista di Anversa.

Non poteva mancare una sala dedicata a “Castiglione e la pittura di genere”: accanto a una pittura più strettamente di genere portata avanti soprattutto dai fiamminghi, il genovese Giovanni Benedetto Castiglione, soprannominato il Grechetto durante il suo soggiorno a Roma, sperimentò soggetti più carichi di elementi intellettuali e allegorici, sulla scia di Poussin e Lorrain, come è possibile osservare ne Il sacrificio di Pan, Il sacrificio di Noè e Diogene cerca l’Uomo, accostate a due tele dallo stesso soggetto – La dispensa – del genovese Anton Maria Vassallo e del fiammingo Giacomo Legi.
Più avanti sono presentati gli “Esiti naturalistici” di Giovanni Andrea e Orazio De Ferrari, omonimi ma non parenti, attenti al filone naturalistico che prende le mosse da Caravaggio ma viene stemperato attraverso la lezione di Van Dyck. Definito più visionario, invece, è quel gruppo di artisti che ebbe come capofila Valerio Castello e che si ispirò ai grandi maestri del Manierismo: tra questi troviamo Luciano Borzone e Gioacchino Assereto, ma anche il più autonomo Giulio Benso. Il confronto tra le opere della sezione permette di comprendere ancora meglio la varietà di stili e di stimoli contemporaneamente presenti nella Genova di metà Seicento.

Il primo piano si conclude con una sala intitolata “Barocco Superbo”, dedicata al passaggio – forzato dalla strage della peste del 1656-57 – a una nuova generazione di artisti. Venuti a mancare Bartolomeo Biscaino e Stefano Magnasco, allievi del Castello, andò ad affermarsi Domenico Piola, la cui Annunciazione è allestita ricreando un altare adornato da un paliotto ricamato. Accanto alla pittura è evidenziato il ruolo della scultura nella diffusione di modelli romani, qui esemplificato dal Ratto di Elena di Pierre Puget, spesso attivo a fianco di Gregorio De Ferrari.
Con quest’ultimo ha avvio il secondo piano della mostra, dove sono presentate opere con cronologie sempre più vicine al Settecento. Al De Ferrari, definito da Roberto Longhi un anticipatore della pittura settecentesca in Europa, viene accostato l’eccentrico Bartolomeo Guidobono; portatori, invece, di un gusto rispettivamente romano ed emiliano sono Paolo Gerolamo Piola e Marco Antonio Franceschini.

L’idea dell’esposizione, tuttavia, è quella di mostrare al pubblico diversi aspetti della cultura barocca genovese, non soltanto la pittura su tela: nelle sale che seguono, infatti, vengono proposti due focus, il primo dedicato alla scultura, il secondo alla grande decorazione ad affresco.
Se nella prima metà del Seicento la scultura non tiene il passo della pittura, l’arrivo a Genova di busti in bronzo di Alessandro Algardi (presenti in mostra) e l’attività del già incontrato Pierre Puget segnano un cambiamento. Tra gli artisti di spicco, Filippo Parodi ebbe un esordio come scultore in legno e, dopo il soggiorno romano, si dedicò al marmo. Forse il più importante rappresentante della scultura barocca genovese è però Anton Maria Maragliano, del quale è presentato il gruppo processionale con il Battesimo di Cristo, che può essere osservato da ogni lato e in cui alle spalle della scena principale sono scolpiti alcuni ragazzi che fanno il bagno nel fiume Giordano, nel tentativo di infondere all’evento sacro un senso di quotidianità. L’atmosfera della sala è arricchita dalla presenza di un gran numero di disegni che spesso, come nel caso di Orfeo incanta gli animali di Sinibaldo Scorza, venivano richiesti quali opere autonome.

Il secondo tema dal quale non si può prescindere parlando di Barocco genovese è quello della grande decorazione ad affresco, che però presenta un oggettivo problema di inamovibilità. I curatori hanno voluto evocare i grandi cicli ad affresco della Superba tramite modelli preparatori, bozzetti e la riproduzione della volta della chiesa di San Siro a Genova, affrescata da Giovanni Battista Carlone: accanto sono presentati alcuni modelli per l’opera, eseguita secondo la tipologia del “quadro riportato”. A partire da Valerio Castello questo genere ebbe un’evoluzione verso un maggiore sfondamento dello spazio, come nell’esito estremo del Trionfo del Nome di Gesù affrescato da Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio presso la chiesa del Gesù di Roma, del quale è esposto il bozzetto. Sono poi protagonisti diversi disegni di Domenico Piola e Gregorio De Ferrari, artisti che lasceranno la propria eredità stilistica a Paolo Gerolamo Piola, Lorenzo De Ferrari e Domenico Parodi. Non manca un piccolo accenno ai frescanti provenienti da altri territori e attivi all’inizio del Settecento nella campagna decorativa di Palazzo Ducale, tra cui il campano Francesco Solimena.

Un altro approfondimento è dedicato all’arredo settecentesco. Nella sala intitolata “Un Barocco sontuoso” sono esposti alcuni pezzi provenienti dalla Grotta del Palazzo Brignole-Sale detto Palazzo Rosso: le sculture di Bernardo Schiaffino con Giove in forma di cigno con Elena e Polluce e di Francesco Biggi con La lupa con Romolo e Remo e un tavolo ovale con piede che finge una roccia elaborato sempre da Biggi su modello di Domenico Parodi, allestiti insieme a un dipinto di Lorenzo De Ferrari. Sulla parete dirimpetto, sono similmente esposti due ritratti e un paesaggio insieme all’eccezionale ed estremamente costoso tavolo da muro con piano in ametista, che in piccola parte ci possono suggerire lo sfarzo degli arredamenti dell’epoca.
La mostra si conclude con “Un epilogo imprevedibile: Alessandro Magnasco”. L’ultima sala, infatti, è dedicata all’artista rivoluzionario che in nessun modo può essere inquadrato in schemi o scuole pittoriche e che merita una riflessione a sé. Sono sette i dipinti del Magnasco, tra cui il celeberrimo Trattenimento in un giardino di Albaro, in cui il pittore fu in grado di cogliere con grande acume il lusso sfrenato e, al contempo, l’effimero tipico della sua epoca. Altrettanto pregni di riflessioni e in contrasto con lo sfarzo nobiliare sono lo Scaldatoio di cappuccini e i due Paesaggi con Domenicani e Cappuccini in meditazione.

“Superbarocco” è una lezione sul Barocco genovese, reso noto in tutte le sue sfaccettature e forme grazie agli oltre cento dipinti, sculture, argenti e altri oggetti esposti. La mostra riesce a tenere viva l’attenzione dello spettatore sino al grandioso epilogo: l’allestimento giocato sui toni del bordeaux, grigio chiaro e oro mantiene un’atmosfera concentrata e neutra, senza creare accesi contrasti di colore con le opere, tra le quali vi sono sufficienti pause e distanze che permettono di apprezzarle al meglio. Vantaggiose, in questo senso, sono le condizioni ottimali degli spazi espositivi offerte dalle Scuderie del Quirinale.
La scelta di mettere in scena una mostra sul Barocco genovese a Roma ha permesso, inoltre, di dare grande visibilità alla Superba e ha consentito al pubblico di entrare in contatto con un aspetto diverso dell’arte Sei e Settecentesca rispetto a quello che solitamente è più noto nella Città Eterna.
Chiara Dominioni
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