La scomparsa di Majorana, un “romanzo” a cavallo fra letteratura e giornalismo

Nell’anno del centenario della nascita di Leonardo Sciascia (8 gennaio 1921 – 20 novembre 1989) ho avuto l’occasione di approfondire, per vie traverse, diciamo così, un settore importante del lavoro del grande scrittore e intellettuale siciliano e, cioè, la parte di sua produzione che possiamo collocare a metà fra un discorso letterario puro e un discorso giornalistico. Da qui prende avvio questo articolo che, in particolare, vuole trattare di un grande classico come La scomparsa di Ettore Majorana, portando in luce l’aspetto più puramente documentaristico del testo.

Il lavoro di Sciascia si innesta sulla vicenda realmente avvenuta della scomparsa, appunto, dello studioso e scienziato Ettore Majorana, che, dal 1938, durante un viaggio da Napoli a Palermo, fa perdere le sue tracce. Uso l’espressione “avere fatto” perché, come emerge dalle prime pagine del racconto, è presente sia negli inquirenti incaricati dello svolgimento delle indagini, sia, soprattutto, nella voce narrante dello scrittore stesso, la forte consapevolezza della straordinarietà della persona di Majorana e del suo ingegno talmente acuto che, come dice Fermi: «una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, […] ci sarebbe certo riuscito». E di cadavere si parla perché l’ipotesi del suicidio è quella più accreditata, nonché anche esplicitamente espressa in lettere che lo studioso scrive di suo pugno e indirizza ad amici e familiari. Dal presunto suicidio avvenuto nel 1938 si dirama il resoconto di Sciascia che percorre a volo di uccello, senza però tralasciare dettagli importanti, gli anni universitari di Majorana, la frequentazione dell’Istituto di Fisica di via Panisperna a Roma, i viaggi in Germania, a Lipsia, l’amicizia con Heisenberg e l’incontro con Bhor e si spinge infine ad aggiungere personalmente un tassello importante alla vicenda: la possibilità che Majorana si fosse isolato dal mondo in un convento di frati certosini, inscenando come copertura il suo suicidio.

Fig. 3 Articolo sulla scomparsa di Majorana scritto da Salvatore Nicolosi su “Visto” del 1959.

Il lungo elenco di aspetti e momenti della vita di Ettore Majorana che vengono riportate in queste poche pagine di libro comprende due categorie di elementi: i fatti, le testimonianze, gli stralci di dichiarazioni che hanno come base fondante il loro essere veri e realmente accaduti e una più fine e sottile analisi dell’animo non solo di Majorana studioso di grande calibro, ma anche e soprattutto, di Ettore come persona, individuo riservato, misantropo, consapevole, sì, delle sue capacità fuori dall’ordinario, ma restio a esibirle e darne prova di fronte al mondo intero. Veridicità mista a una riflessione che sconfina i rigidi confini della realtà, questo è il nucleo che informa La scomparsa di Majorana e lo fa rientrare nella categoria della così detta non fiction novel.
All’inizio degli anni sessanta del secolo scorso, infatti, in contemporanea alla corrente del new journalism che si concentra sul modo di raccontare avvenimenti accaduti con uno stile diverso dallo stringato metodo giornalistico del Chi? Cosa? Quando? Dove? e Perché?, inizia a muovere i passi anche la non fiction novel. Sebbene oggetto di questa seconda strada siano sempre fatti reali riportati giornalisticamente, tuttavia non sono assenti commistioni con uno stile più letterario e con la scrittura creativa. Le incursioni che Sciascia compie nella indole di Majorana, infatti, si discostano dalle fredde citazioni di verbali della polizia, lettere di commiato e, in generale, testimonianze dei “ragazzi di via Panisperna”, e si configurano invece come finestre aperte su una dimensione altra, quella forse più spirituale, dove prendono forma convinzioni, sensazioni, vocazioni.

E poi, tra il gruppo dei «ragazzi di via Panisperna» e lui, c’era una differenza profonda: che Fermi e «i ragazzi» cercavano, mentre lui semplicemente trovava. Per quelli la scienza era un fatto di volontà, per lui di natura. Quelli l’amavano, volevano raggiungerla e possederla; Majorana, forse senza amarla, la portava. Un segreto fuori di loro – da colpire, da aprire, da svelare – per Fermi e il suo gruppo. E per Majorana era invece un segreto dentro di sé, al centro del suo essere, un segreto la cui fuga sarebbe stata fuga dalla vita, fuga della vita.

All’affresco di stati d’animo e sentimenti che Sciascia inserisce nella fredda ricostruzione degli eventi, poi, come accennato sopra, si aggiunge anche una nuova diapositiva, quella del viaggio che l’autore e Vittorio Nisticò, direttore de “L’Ora” di Palermo e collega al tempo di Sciascia, compiono per raggiungere un monastero di frati cappuccini. Qui Nisticò ricorda di aver passato un’estate da bambino e di aver sentito che, fra le mura dell’edificio, si nascondesse uno scienziato. Un risvolto, questo, che ci trasporta in una atmosfera di mistero al limite del fantastico. Un reportage nato sulla base di una suggestione, di un fugace ricordo d’infanzia che però sembra rivelarsi un risvolto della vicenda Majorana più coerente dell’ipotesi del suicidio. Non manca infatti nelle pagine subito precedenti anche la precisa ricostruzione delle ultime azioni compiute dallo scienziato prima di scomparire.

Altro elemento da tener presente contro la tesi del suicido, Ettore Majorana portò con sé passaporto e denaro. […] Poco prima del 25 marzo, giorno in cui era partito per Palermo annunciando il suicidio, aveva preso gli stipendi da ottobre a febbraio che fino a quel momento non si era curato di ritirare. Non aveva il senso del denaro […] ma che l’acquistasse proprio alla vigilia di suicidarsi, non sembra verosimile. C’è una sola, semplice spiegazione: ne aveva bisogno, per quel che intendeva fare.

Appare ancora qui questo mischiarsi di elementi giornalistici e letterari tipico della non fiction novel. L’elenco asettico dei fatti è il trampolino di lancio per quella che è pura speculazione sugli sviluppi del caso Majorana. A confermarci l’entrata nel territorio della finzione è anche lo stile adottato nelle ultime pagine del lavoro, dove il certosino che guida i due visitatori ci sembra custode di segreti impenetrabili, guardiano dall’animo sereno e dallo sguardo enigmatico che non ci straniremmo per nulla di incontrare tra le pagine di un romanzo.
E “romanzo” è proprio il termine che fino ad ora ho evitato di riferire a La scomparsa di Majorana, un lavoro che, però, pur appartenendo a un genere di mezzo come la non fiction novel, esercita una sorta di magnetismo sia sul lettore già informato dei fatti di cronaca sia su chi, più inesperto, si approccia alla vicenda del fisico italiano. La puntuale sintesi degli avvenimenti con l’aggiunta dei portati psicologici permette infatti non solo di portare a termine il libro con una certa scorrevolezza, ma di avere anche una visione a tutto tondo su quello che, ancora oggi, rimane un mistero irrisolto.

Federica Rossi

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